Le strade non erano sicure; una
contrada, presso Palermo, Portella di mare, era diventata tristamente famosa
per l’audacia dei malandrini; e alla forca dello Sperone si vedevano assai
spesso pendere le membra, orribilmente oscene e sanguinose, dei ladroni di
strada squartati dalla giustizia. Chi viaggiava, dunque, o si faceva accompagnare
dai propri campieri, guardie dei feudi, che costituivano una milizia baronale,
o dai militi delle compagnie rurali del regno, specie di cavalleria campestre,
reclutata tra il fiore dei bricconi per dar la caccia quando la davano, ai
malandrini.
Oltrepassando il ponte dell’Ammiraglio
la strada era deserta: a mala pena, fra gli oliveti e i giardini, si vedeva qua
e là, fino a monte Grifone, qualche casa colonica, o qualche torre; poi più
nulla. La strada mal tenuta, fangosa d’inverno, polverosa d’estate, or
procedeva all’aperto, coi monti da un lato, il fiume dall’altro, declinante
verso il mare; or si incassava fra rupi gialle e rosse, o correva sulla china
di una giogaia, qua e là fiancheggiata da macchie folte e selvagge; o da siepi
naturali e intricate di fichi d’India irti di spine, e di zabare dai
pungiglioni simili a punte di lance.
Oltrepassata Bagaria, or sì, or no,
costeggiava il mare e scopriva tutta la curva del golfo di Termini, col
promontorio di Cefalù in fondo e, dietro, il dorso dei contrafforti delle
Madonie; poi, a un tratto, l’azzurro del mare e la spiaggia, dove Aspra di
scogli neri e pittoreschi, sparivano dietro un poggiolo.
I tre cavalli andavan all’ambio,
scotendo le sonagliere ritmicamente; quando la strada saliva, allentavano il
passo, trascinandosi dietro la carrozza pesante, che si dondolava sulle forti
cinghie di cuoio, fatta ancor più pesante da due grandi valigie e da una cesta
di provisioni da bocca.
La fanciulla, che viaggiava per la
prima volta, sporgeva il capo dallo sportello, ammirando il paesaggio sempre
nuovo e diverso, di quella bellezza selvatica che ha la natura vergine, anche
dove l’orrido le dà un aspetto spaventevole e minaccioso.
Al suono delle sonagliere, allo
scalpitio di cinque cavalli, al rumore delle ruote, che l’eco sonora delle
rocce ripeteva nel silenzio deserto, si levavano dai fichi d’India o dai
crepacci delle prossime rupi stormi di uccelli, con un frullìo rumoroso d’ali
che si perdeva nel cielo luminoso.
La carrozza aveva oltrepassato il
castello di S. Nicola, con la sua torre a specchio sul mare, entrando in una
gola, fra due pareti di rocce silicee, dalle cui spaccature pendevano fichi
selvatici e cespi di capperi. Saliva lentamente. I due campieri erano passati
innanzi, con lo schioppo sulle cosce. L’uscita della gola era traditora: le
rocce finivano a un tratto e la strada usciva all’aperto fra due piaggie
lievemente inclinate, delle quali una saliva fino ai monti, foracchiati da
grotte nere, l’altra finiva in un poggiuolo, oltre il quale discendeva
nuovamente fino al mare. Della gente si poteva appiattare dall’una parte e
dall’altra dello sbocco, senza esser veduta da chi stava ancora dentro la gola;
e poteva cogliere alla sprovvista.
Si sapeva che quello era uno dei
passaggi pericolosi; epperò la carrozza andava di passo, e i due campieri le si
erano posti dinanzi, il servo aveva preparato lo schioppo e il marchese aveva
posto sul sedile le pistole, montate.
Donna Aurora a questi preparativi era
diventata bianca come la cera, e si era cacciata in fondo alla carrozza,
tremando di quell’ignoto che li minacciava.
A un tratto cacciò un urlo di
spavento....
Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. L’opera è la trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
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