giovedì 24 giugno 2021

Luigi Natoli: Palermo, via Toledo nel 1820. Tratto da: Braccio di ferro, avventure di un carbonaro.


Che folla pel Toledo! Eh sì, che quell’anno – 1820 – il mese di giugno era in Palermo più arroventato del solito. Ma era giorno di festa e la folla aspettava il passaggio di una processione promossa dai Gesuiti in onore di S. Luigi Gonzaga, alla quale prendevano parte tutti i giovanetti delle loro scuole. La processione doveva percorrere la lunga, diritta e bella strada, che dal cinquecento in poi era stata chiamata col nome del vicerè don Garsia de Toledo e lo serbò fino al 1860, quando gli sostituirono quello di Vittorio Emanuele. Era allora la strada principale della città; la via Maqueda che la taglia in croce, bella e lunga ugualmente, non avea che il secondo posto. Le più ricche botteghe, i palazzi più cospicui, le chiese più belle erano – e sono ancora – sulla via Toledo; in essa palpitava la vita della città: ma l’aspetto era allora un po’ diverso da quello d’oggi, perché molte botteghe avevan sulla porta una pensilina – con voce dialettale “pinnata” – che talvolta era sorretta da pilastrini e avevano la porta divisa in due palmi ineguali da una colonna: dalla parte minore sporgeva per circa due palmi sul marciapiedi il banco; e pensiline e banchi ingombravano e impedivano alla vista di correr liberamente. In compenso offrivan ombra e sedili alla folla nei giorni di sole e riparo in quelli piovosi. 
Quel giorno, sotto le pensiline e sui banchi si assiepava la folla. Era un alternarsi, un sovrapporsi, un confondersi di vesti bianche, rosa, cilestri trasparenti e vaporose; di scialletti di crespo di seta che parevan tessuti di nuvola; di cuffie bianche e di cappelloni di paglia; uno sventolìo di piccoli ventagli d’osso e d’avorio luccicanti di pagliette d’argento; interrotto, frammezzato dalle macchie turchine o verdi o color di foglia secca, che mettevano i vestiti maschili fra quelli donneschi. La stessa folla di colori si vedeva agli sbocchi dei vicoli, lungo la via, su nei balconi; e per tutto era un cicaleccio, un ronzio confuso, sul quale a quando a quando interrompevano più forti e distinte le grida dei venditori ambulanti d’acqua gelata, di semi di zucca, di fave tostate, di ciliege e di dolciumi. 
Quelle grida cadenzate, musicali, metaforiche e gioiose sgorgavano sul ronzio afoso come freschi zampilli nell’arsura del sole. Ai Quattro Canti la folla era più densa, trattenuta dai granatieri, schierati di qua e di là, per lasciar libero il passo alla processione, e sorvegliata dai birri armati di bastone: ma si accalcava intorno ai palchetti rizzati sulle fontane, dai quali i musici avrebbero intonato “la cantata”; e dinanzi al Caffè di Sicilia, dove si faceva un gran sorbire di gremolate e di acquetta di amarena. 
Tullio Spada, come ogni buon cittadino palermitano amante di feste e di spettacoli, attraversati i Quattro Canti andò a fermarsi a pochi passi di lì, quasi all’angolo della “Calata dei Musici”, che metteva in comunicazione la piazzetta Pretoria con la via Toledo; si chiamava così perché vi era il convegno dei professori d’orchestra e dei virtuosi di canto e, per dirla con una parola moderna, la borsa di lavoro o il sindacato di quei disperati. 
Egli aveva tre ragioni di fermarsi in quel luogo; prima di tutto perché i Quattro Canti erano il punto di riunione, di sosta, di ritrovo di tutti i cittadini e dei “regnicoli”, ossia dei provinciali che venivano a Palermo; il cuore, e per certi aspetti, anche il cervello della città; poi, perché, essendo un bel giovane elegante, non gli dispiaceva essere ammirato; e infine – questa era la vera ragione principale e più forte – perché di lì guardando un balcone al primo piano d’un palazzo di fronte, poteva vagheggiare Rosalia. 
Rosalia era la sua fidanzata, e stava al balcone aspettandolo. Una simpatica e graziosa fanciulla, di sedici o diciassette anni, capelli neri che incorniciavano l’avorio del volto ovale, ed occhi nerissimi che avevano nella profondità appassionata dello sguardo qualcosa di timido e dolce. 
Quel giorno, sebbene festivo, non era uno di quelli assegnati per la visita, e Tullio doveva contentarsi di veder la sua Rosalia da lontano, scambiar con lei qualche sorriso, qualche gesto furtivo, e dirsi con gli occhi tutte le parole tenere che le bocche non potevan pronunziare. La gente, che aspettava la processione, non gli badava: qualche amico, passando, e dato uno sguardo, barattava una parola, salutava, e tirava innanzi per non essere di troppo; ma due cadetti di cavalleria, che si eran già fermati anch’essi in quei paraggi a poca distanza da Tullio, ed avevan sorpreso qualche segno telegrafico delle dita, cominciarono fra loro a ridere e a fare delle smorfie canzonatorie, che fecero più volte aggrondar le sopracciglia e arrossir il giovane per la stizza...


Luigi Natoli: Braccio di ferro, avventure di un carbonaro. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1820, al tempo della Rivoluzione e delle Vendite carbonare; il tutto vissuto attraverso le avventure del protagonista, Tullio Spada. L’opera è la fedele riproduzione romanzo originale, pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1930 ed è arricchita dai disegni di Niccolò Pizzorno.
Prezzo di copertina € 22,00, pagine 342
Fa parte anche del volume dedicato alla Trilogia del Risorgimento, che comprende inoltre I morti tornano... e Chi l'uccise?
Copertina e illustrazioni di Niccolò Pizzorno
Prezzo di copertina € 24,00, pagine 882
Tutti i volumi della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli sono disponibili al sito ibuonicuginieditori.it È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia.
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