giovedì 10 giugno 2021

Luigi Natoli: La vendetta di Giovanni Chiaramonte. Tratto da: Mastro Bertuchello. (Latini e Catalani vol. 1)


La corte era in quei giorni andata a Catania. Giovanni si mise a cavallo, e accompagnato da alcuni familiari e vassalli partì a quella volta. Ma prima di lui v’era già stato messer Francesco; aveva presentato al re Franceschello, Aldoino e Manuele, tre spade consacrate al servizio della sua Maestà; glieli aveva raccomandati; e, esposti i suoi casi e il dovere di riconoscere come legittimi quei giovani e le loro sorelle, aveva ottenuto dal re l’approvazione e l’assenso al divorzio e alle nuove nozze. Forte di questo messer Francesco spingeva innanzi con fretta e con ardore le pratiche presso l’arcivescovo, profondendo denari a ogni lieve ostacolo che i teologi della curia arcivescovile sollevavano. Egli desiderava che tutto fosse bello e compiuto prima che i Chiaramonte ritornassero dalla impresa di Toscana; e proprio quando Giovanni Chiaramonte viaggiava verso Catania, messer Francesco celebrava nella cappella del castello di Geraci le nozze con Margherita Consolo.
Re Federigo ascoltò con benevolenza Giovanni Chiaramonte; ma invece di convenire con lui, che il conte di Geraci avesse commesso una mala azione e che i Chiaramonte avessero ragione di tenersene offesi, giustificò la condotta di quello, per gli obblighi che aveva verso la numerosa figliolanza, e confortò il giovane ad accettar con rassegnazione quel che era avvenuto, che certo non lo sarebbe stato senza la volontà di Dio a cui tutti siamo obbligati.
Stupito e dolente di queste parole, Giovanni si lasciò sfuggire qualche minaccia, ma il re lo ammonì severamente. Uscì dalla reggia col cuore gonfio d’ira, agitando propositi di vendetta, che gli dovevan tralucere dagli occhi e dal passo concitato, se gli attiravano addosso gli sguardi dei cortigiani, che stavano nelle anticamere.
Giovanni Chiaramonte, pochi giorni dopo salpò per Pisa, dove ancora si trovava Ludovico il Bavaro. Offerse i suoi servigi; fu accolto; posto a capo di una parte dell’esercito; militò valorosamente, sì che l’imperatore lo prepose al governo della Marca d’Ancona, col titolo di marchese(3).
Tra le guerre e le cure del governo, gli ardori della vendetta intiepidirono: qualche lettera che riceveva dai Palizzi lo persuadeva ad aspettare; l’imperatore poi, che lo aveva sempre più caro, gli affidava incarichi delicati e difficili. Così passarono quattro anni, quando verso la metà di marzo gli giunse la notizia che Costanza si era spenta nel monastero, come un povero fiore intristito dall’arsura. Non era vero, ma questa notizia rinnovò la bramosìa di una sollecita vendetta, non dubitando punto che la morte della dolce sorella fosse dovuta all’accoramento profondo che l’aveva consumata. Messer Francesco gli era perciò debitore anche di questo. Non era più tempo d’indugi e di aspettazioni; o col re o senza il re o contro il re, l’ora della vendetta era giunta. Spedì messi all’imperatore che era già ritornato in Germania, per ottenere il permesso di partire; e avutolo, assoldata una schiera di lance alemanne, nei primi di aprile del 1332 Giovanni partì per la Sicilia.
Re Federigo era a Palermo con la corte: e v’erano i Palizzi.
Se quella schiera di lance, pezzi di uomini fieri d’aspetto e d’armi, con la quale Giovanni Chiaramonte, sbarcò al vecchio Molo, fu oggetto di curiosità nel popolo; nel re invece destò apprensioni e sospetti. Ricordando la negata ragione al giovane conte, il modo con cui questi se n’era andato, il malumore che serpeggiava nella larga famiglia dei Chiaramonte, temette che ne potesse nascere qualche disordine, tanto più che aveva convocato per quei giorni i suoi principali baroni, per consultarli.
Bisognava prevenire ogni ragione di contesa e diffidare i due rivali e lor congiunti, metterli in condizione di non poter nuocere. Rappacificarli dopo tanti anni, obbligarli con giuramento a vivere in buona amicizia, gli sembrò il miglior partito. Mandò per Giovanni Chiaramonte, che, per non dar sospetti era andato a Caccamo; e per Francesco Ventimiglia che se ne stava a Geraci, perché venissero in corte il 25 di quel mese di aprile. La lettera lasciava trasparire l’animo del re. Giovanni Chiaramonte sorrise e commentò:
- Tu hai paura!



Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 e 2 (Mastro Bertuchello e Il Tesoro dei Ventimiglia) – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli anni 1925 e 1926.
Mastro Bertuchello – Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
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