La corte era in quei giorni andata a Catania. Giovanni si mise a cavallo, e accompagnato da alcuni familiari e vassalli partì a quella volta. Ma prima di lui v’era già stato messer Francesco; aveva presentato al re Franceschello, Aldoino e Manuele, tre spade consacrate al servizio della sua Maestà; glieli aveva raccomandati; e, esposti i suoi casi e il dovere di riconoscere come legittimi quei giovani e le loro sorelle, aveva ottenuto dal re l’approvazione e l’assenso al divorzio e alle nuove nozze. Forte di questo messer Francesco spingeva innanzi con fretta e con ardore le pratiche presso l’arcivescovo, profondendo denari a ogni lieve ostacolo che i teologi della curia arcivescovile sollevavano. Egli desiderava che tutto fosse bello e compiuto prima che i Chiaramonte ritornassero dalla impresa di Toscana; e proprio quando Giovanni Chiaramonte viaggiava verso Catania, messer Francesco celebrava nella cappella del castello di Geraci le nozze con Margherita Consolo.
Re Federigo ascoltò
con benevolenza Giovanni Chiaramonte; ma invece di convenire con lui, che il
conte di Geraci avesse commesso una mala azione e che i Chiaramonte avessero
ragione di tenersene offesi, giustificò la condotta di quello, per gli obblighi
che aveva verso la numerosa figliolanza, e confortò il giovane ad accettar con
rassegnazione quel che era avvenuto, che certo non lo sarebbe stato senza la
volontà di Dio a cui tutti siamo obbligati.
Stupito e dolente di
queste parole, Giovanni si lasciò sfuggire qualche minaccia, ma il re lo ammonì
severamente. Uscì dalla reggia col cuore gonfio d’ira, agitando propositi di
vendetta, che gli dovevan tralucere dagli occhi e dal passo concitato, se gli
attiravano addosso gli sguardi dei cortigiani, che stavano nelle anticamere.
Giovanni Chiaramonte,
pochi giorni dopo salpò per Pisa, dove ancora si trovava Ludovico il Bavaro.
Offerse i suoi servigi; fu accolto; posto a capo di una parte dell’esercito;
militò valorosamente, sì che l’imperatore lo prepose al governo della Marca
d’Ancona, col titolo di marchese(3).
Tra le guerre e le
cure del governo, gli ardori della vendetta intiepidirono: qualche lettera che
riceveva dai Palizzi lo persuadeva ad aspettare; l’imperatore poi, che lo aveva
sempre più caro, gli affidava incarichi delicati e difficili. Così passarono
quattro anni, quando verso la metà di marzo gli giunse la notizia che Costanza
si era spenta nel monastero, come un povero fiore intristito dall’arsura. Non
era vero, ma questa notizia rinnovò la bramosìa di una sollecita vendetta, non
dubitando punto che la morte della dolce sorella fosse dovuta all’accoramento
profondo che l’aveva consumata. Messer Francesco gli era perciò debitore anche
di questo. Non era più tempo d’indugi e di aspettazioni; o col re o senza il re
o contro il re, l’ora della vendetta era giunta. Spedì messi all’imperatore che
era già ritornato in Germania, per ottenere il permesso di partire; e avutolo,
assoldata una schiera di lance alemanne, nei primi di aprile del 1332 Giovanni
partì per la Sicilia.
Re Federigo era a
Palermo con la corte: e v’erano i Palizzi.
Se quella schiera di
lance, pezzi di uomini fieri d’aspetto e d’armi, con la quale Giovanni
Chiaramonte, sbarcò al vecchio Molo, fu oggetto di curiosità nel popolo; nel re
invece destò apprensioni e sospetti. Ricordando la negata ragione al giovane
conte, il modo con cui questi se n’era andato, il malumore che serpeggiava
nella larga famiglia dei Chiaramonte, temette che ne potesse nascere qualche
disordine, tanto più che aveva convocato per quei giorni i suoi principali
baroni, per consultarli.
Bisognava prevenire
ogni ragione di contesa e diffidare i due rivali e lor congiunti, metterli in
condizione di non poter nuocere. Rappacificarli dopo tanti anni, obbligarli con
giuramento a vivere in buona amicizia, gli sembrò il miglior partito. Mandò per
Giovanni Chiaramonte, che, per non dar sospetti era andato a Caccamo; e per
Francesco Ventimiglia che se ne stava a Geraci, perché venissero in corte il 25
di quel mese di aprile. La lettera lasciava trasparire l’animo del re. Giovanni
Chiaramonte sorrise e commentò:
- Tu hai paura!
Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 e 2 (Mastro Bertuchello e Il
Tesoro dei Ventimiglia) – Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo
del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco
Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra
fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere
originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli
anni 1925 e 1926.
Mastro Bertuchello –
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
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