Quel giorno nella bottega di don
Saverio La Monica, essa aveva seguito dapprima con curiosità, poi con
meraviglia e con attenzione, il racconto di quell’avvelenamento con l’acqua pei
pidocchi; e tornandosene a casa ci ripensava. Quell’acqua che costava tre, quattro
grani, aveva una potenza micidiale che poteva spacciare un uomo alla sua
insaputa e irreparabilmente. Foschi pensieri le scomponevano e ricomponevano la
fitta rete di rughe che le solcavano il viso per ogni verso; e le accendevano
tristi lampi negli occhi; la bocca le si moveva, come se biascicasse parole non
dette. Ricordava lontane storie di veleni potenti: l’acqua di Teofania d’Adamo;
i veleni di Francesca La Sarda, quelli della za’ Chiavedda, che era stata
impiccata due anni prima che Giovanna Bonanno nascesse: acque misteriose
anch’esse, che facevano morire senza lasciar tracce. Come mai quelle donne si
erano lasciate scoprire e prendere? Dovevano essere state imprudenti; se
avessero saputo fare le cose bene, avrebbero potuto arricchire. Forse si erano
prestate a vendette: e ciò era male. Avrebbero dovuto somministrare i veleni
soltanto a fin di bene: c’eran infatti nel mondo tanti imbrogli, tante
disonestà, tante condizioni familiari così tristi, che soltanto la morte di uno
poteva far cessare, e dar la pace e la tranquillità a molti. Così esse
avrebbero commesso un delitto, e almeno dal buon Dio, che vede il cuore,
potrebbero essere perdonate... E poi... perché i signori specialmente
pagherebbero con fior di denaro un simile servizio; certo si poteva vivere
senza stenti, senza bisogno di andare elemosinando, e trascinare una vita
miserabile, in una vecchiaia squallida, senza altra prospettiva che la morte in
quel canile, priva di aiuto, sola, abbandonata.
Questi pensieri le ruminavano per la
mente, anche quando, giunta a casa, si mise a preparare un po’ di minestra
d’erbe. Sì, un po’ di quell’acqua terribile mescolata nel brodo, o nel vino...
Ma era poi certo che la morte fosse rapida e sicura? Bisognava provare. Su chi?
Ecco! Un cane randagio, solito a ricevere i rifiuti di quel povero desco, entrò
nella stamberga. La fronte della vecchia si rischiarò: aveva trovato su chi
fare l’esperimento.
Il domani andò a comperare da don
Saverio La Monica una caraffina d’acqua pei pidocchi. Tre grani; piccola spesa.
Tornata a casa prese del pane rinsecchito e lo immollò in un tegamino con
acqua, nella quale versò il medicinale. Aspettò che il cane venisse; e quando
lo vide entrare, lo accarezzò…
Nella foto: Particolare della copertina di Niccolò Pizzorno.
Luigi Natoli: La vecchia dell'aceto. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine 700
La storia di Giovanna Bonanno, l'avvelenatrice passata alla storia come "La vecchia dell'aceto", nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1927.
Pagine 562 - Prezzo di copertina € 22,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
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