martedì 28 gennaio 2020

Luigi Natoli: Una marcia notturna... Inizio del romanzo Alla guerra!

La pattuglia precedeva di circa cento metri la compagnia d’avanguardia della colonna uscita da Givet; aveva oltrepassato Notre Dame, valicato l’Huille e percorreva lo stradale, diretta a Rochefort.
Era una notte senza stelle. Le nubi coprivano il cielo; nubi grigie, quasi nere, pesanti, dalle quali ogni tanto qualche goccia cadeva sul volto dei soldati.
Per un pezzo marciarono in silenzio, coi fucili capovolti, infilati al braccio per la cinghia, o tenuti su la spalla per la canna. Di tanto in tanto bisbigliavano fra loro. Quando furon lontani dalle case, uno di essi cominciò a canticchiare qualche aria popolare del suo paese nativo; un dolce e tenero sospiro d’amore; forse eco inconsapevole di memorie e ricordi, che gli si ridestavano e affollavano nell’anima vagante verso una casa lontana, fra un gruppo di olmi e di ontani, in una campagna verde e soleggiata. E intanto i piedi andavano al ritmo del passo, appesantito dallo zaino ricolmo, per una strada ignota.
Al bivio della Dogana la pattuglia piegò a destra per Beauraing.
La strada era fiancheggiata di alberi per un buon tratto; e di qua e di là sorgevan colline rocciose, alcune ripide, come tagliate a picco, si protendevano verso lo stradale, e pareva volessero sopraffarlo e schiacciarlo. Sulle colline spesso una massa più nera, informe: forse un vecchio castello.
Nell’ombra notturna alberi, rocce, castelli neri, coi contorni più larghi, si confondevano col nero del cielo, apparivano più mostruosi; spiravano il senso di orrore misterioso dell’infinito.
Non s’udivan rumori, salvo quello della cadenza dei passi, quel canto dolce e malinconico e lo stornire, ogni tanto, delle fronde.
L’ufficiale andava innanzi; con la sciabola sotto il braccio, l’occhio vigile.
Non v’era certamente paura di imbattersi nel nemico; le linee tedesche eran assai lontane; ma gli ulani si spingevano audacemente qua e là, improvvisi e fulminei, spargendo il disordine e il terrore fra le popolazioni.
Eran piccoli drappelli di otto, dieci cavalieri; non si sapeva donde venissero; pareva che la terra li spremesse dal suo grembo. Attraversavano galoppando un borgo, un villaggio, una piccola città indifesa e tranquilla; uccidevano; passavano oltre, messaggeri di distruzione; uno, due cadevano, sotto i colpi dei gendarmi o di pochi territoriali; si abbattevan rovesci, con gli occhi spalancati al cielo, sulla lancia insanguinata; e i gendarmi toglievan loro l’elmetto, come un trofeo.
Gli altri si dileguavano, correvano altrove, spargevan nuovi terrori; lasciavan altre vittime.
Così per tutta la vasta fronte degli eserciti, fin dal principio della guerra; così anche, ma più raramente, oltre le linee di battaglia.
Quella strada si prestava a tranelli. Dove le rocce si addossavano, l’ombra era così densa e profonda, che non si sarebbe mai potuto vedere, a una certa distanza, chi vi si nascondesse.
L’ufficiale aveva per questo mandato innanzi un soldato, che si teneva a una cinquantina di passi dalla pattuglia, e altri ne aveva mandato ai fianchi, come esploratori. Ma in verità era una precauzione piuttosto formale; lì non c’era nessuna paura neppure degli ulani.
La guerra non era ancora penetrata in quella regione: e se non fosse stato per quella colonna che marciava di notte, nulla avrebbe fatto supporre che una minaccia di distruzione si librasse sopra quelle terre.
La notte sebbene umida e piovosa era tranquilla: le case che si incontravano lungo il cammino dormivano; le fattorie serbavano il loro aspetto consueto: sulle aie, in mezzo ai covoni ammonticchiati, le trebbiatrici aspettavano; dagli stabili vicini allo stradale s’udiva talvolta il respiro largo e pieno dei bovi. Poi, a un tratto, qualche gallo destato al rumor dei passi insoliti, gittava il suo canto, al quale da lontano rispondeva via via il canto di altri galli. Quando il drappello rasentava una fattoria, qualche cane si spingeva verso il drappello, da prima annusando, brontolando, al rumore dei passi, latrando furiosamente col muso contro i ferri, al vedere i soldati. 
Il comando serbava un grande silenzio sulle mosse delle truppe, per paura di indiscrezioni: i soldati non sapevan mai dove eran diretti: gli ufficiali inferiori sapevano il nome dei grandi alti più vicini che si sarebbero trovati sulla direttiva. Rochefort era il primo. Gli ufficiali intelligenti indovinavano in qualche modo qual fosse la meta.
Del resto che cosa importava saperlo prima? Importava raggiungere un dato luogo a una data ora precisa, senza un minuto di più o di meno, importava ubbidire rigidamente, senza discutere, andare innanzi; uccidere, lasciarsi uccidere… Questa era la guerra; e così bisognava farla: così la facevano i tedeschi… Ne convenivano; ma in Francia ufficiali e soldati, invece discutevano e criticavano… Era il loro difetto. Vecchio difetto. Ma questa volta bisognava discutere meno.
Intanto altri soldati, presi dal contagio s’eran messi a canticchiar anche loro. La cadenza dei passi segnava il ritmo. S’erano accordati, senza volerlo, per istinto, in un coro sommesso, che pareva venisse di sotterra; pareva la voce della terra dolente, che presentiva l’orrore del sangue; la voce della madre che accompagna il figlio lontano, sul quale incombe la minaccia della morte; la voce della gran pace umana lacerata dallo scoppio delle granate e dalle punte della baionette: ed era anche la voce del paese nativo coi suoi ricordi, con le sue care e tenere ricordanze: la chiesa, il campanile alto ad aguglia, la piazza con la farmacia e la mairie, l’officina del maniscalco e del carradore, la scuola, e più in là il mulino; il vecchio mulino dalla enorme ruota, su la quale precipitava spumeggiando l’acqua; e più in là, nell’aperta campagna, l’opificio, con gli alti camini fumanti. V’era in quel canto come l’eco del suono delle campane all’alba e alla sera; l’eco del martello picchiante sull’incudine; del fischio della sirena…
E tenere visioni si ridestavano in fondo alle anime. Chi è là? una vecchietta rugosa, sotto la cuffia dalle bianche ali delle donne di Normandia, o quella graziosa e singolare delle donne di Arles. Ella caccia con la verghetta le oche, che si dimenano sulle zampe gialle, crocchiando… Mamma Ghita?... No, non è Mamma Ghita, è invece un volto roseo di giovanetta, ombreggiato da un largo cappello di paglia infiorato di rosolacci. Ella ride… Forse no, ora non ride più: domanda al portalettere se ha una cartolina illustrata di lui...
Una commozione di tenero rimpianto penetra in quei cuori, mentre le mani stringono le armi omicide.
- Silenzio! – ordinò l’ufficiale.
Anche lui pensava; la visione aveva uno sfondo diverso; ma il sentimento che destava era forse il medesimo.


Luigi Natoli: Alla guerra! Romanzo storico "contemporaneo" ambientato nella Francia della Prima Guerra mondiale. 
Unicamente pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914, è raccolto in unico volume nel 2014 (in occasione del centenario della Prima Guerra) ad opera de I Buoni Cugini editori, in un volume di 954 pagine. Il volume è impreziosito dai disegni e dalla copertina di Niccolò Pizzorno
Prezzo di copertina € 31,00
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica
Disponibile su Amazon, Ibs e tutti i siti vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 

Nessun commento:

Posta un commento