Era
bellissima. Sebbene la moda di quei tempi, con le maniche a sbuffi, col busto
serrato, con la gonna larga, togliesse sveltezza e libertà alle forme del corpo
ella aveva qualcosa di molle e sottile, come di un candido giglio. I bei
capelli castani ondulati e raccolti indietro in trecce, e fermati da un
cerchietto d’argento, incorniciavano un volto di pure forme classiche, dolcemente
pallido, nel quale gli occhi grandi, neri profondi lucevano in una specie di
umidore languido e pieno di mistero e la bocca tumida e corallina pareva
aspettasse dolcezze ignote.
La
prima cura di donna Eufrosina era di veder se aveva buona cera, indizio di
buona salute; la seconda era di farsi bella.
Intanto
che ella si guardava nel piccolo specchio, girando il volto da una parte e
dall’altra, esaminando le labbra, la lingua, gli occhi; le due schiave
preparavano in uno stanzino accanto una ampia tinozza, e la riempivano d’acqua
tiepida e di latte e preparavano la pasta di mandorle amare, per ammorbidire la
pelle, e l’acqua d’arancio per profumarla, mentre la cameriera disponeva la
tavoletta, con gli alberelli per tingere le ciglia, e le cerusse per darsi il
bianco; il cinabro per le labbra e per le gote; metteva in ordine i pettini, la
cuffietta quadrangolare di velluto, contornata di perle e i cerchietti
d’argento per fermare le trecce, le boccole a pendagli di filigrana e perle, e
la collana col grosso smeraldo nel mezzo.
Ella
parve soddisfatta del primo esame. Una sirena fra le bianche spume delle onde
agitate, o Venere seduta nella conchiglia; tale appariva, col busto nudo fuor
dell’acqua, con le belle braccia raccolte sui seni perfetti, simili a rosei fiori
ancor chiusi. Le due schiave le bagnavan le spalle e petto, e con finissime
spugne la stropicciavano, ed ella volgeva ora una spalla, or un fianco, or le
braccia; poi si levò in piedi perché le schiave stropicciassero tutte quante le
membra; e le due donne, già esperte in quell’ufficio, si affaticarono, con
movimenti rapidi e lievi, che producevano in donna Eufrosina dei fremiti lunghi
e piacevoli.
E
mentre menavan le spugne tutt’intorno, le schiave la adulavano, vantando
bellezza di ogni membro, con l’immaginoso linguaggio del loro lontano oriente:
il che aggiungeva un altro piacere al primo.
Quel
bagno durò più di mezz’ora; ella ne uscì tutta odorosa; e ravvolta in un
mantello tiepido. Sedette dinanzi la tavoletta, per lasciarsi pettinare,
porgendo intanto ora un piede ora l’altro alle schiave perchè la calzassero,
mentre la cameriera le discioglieva i lunghi capelli di un color caldo castano,
che la coprivano come un manto.
Durante
l’abbigliamento, la cameriera la informava di tutti i pettegolezzi, raccolti
nel giorno innanzi e nella serata. Era quella appunto l’ora della cronaca, la
quale si occupava di tutto e di tutti.
L’operazione
durò quasi un’ora, in capo alla quale la bella dama fu bella e vestita, col
busto serrato nella fascetta, il giustacuore di velluto azzurro aperto davanti
e allacciato sopra una camicetta bianchissima e finemente ricamata, il cui
ampio colletto, ornato di un bel pizzo di Venezia, le cadeva su le spalle e un
po’ su le grandi maniche a sbuffi, con risvolti di raso color d’arancio e
passamani d’argento; la gonna anch’essa di velluto azzurro, aperta sul davanti,
così da lasciar scoperto un largo telo della sottogonna dello stesso raso
arancio, ornata di passamani e ricami d’argento.
Ella
infatti aveva un sorriso e una parola per tutti e per tutto; accettava le lodi
e le volate poetiche di giovani cavalieri non meno esperti a far sonetti
petrarcheschi, che a usare le armi; parlava di mode e di spettacoli;
stuzzicava, la maldicenza sui piccoli scandali mondani.
Luigi Natoli: La dama tragica. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1600 al tempo del vicerè Marco Antonio Colonna, tra i protagonisti del romanzo.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1930
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