Alla spicciolata, senza parere,
alcuno, vi erano guizzati dentro; qualche altro era venuto dalla porticina
posteriore: erano una mezza dozzina. C’era fra loro don Benedetto Sacco e don
Francesco Sarcì. Sedevano intorno ad una tavola, in modo però che un lato
rimaneva vuoto. In mezzo stava un uomo sulla sessantina, alto, segaligno, con
un viso asciutto, con occhi penetranti, una espressione seria, imperiosa,
autoritaria, mal temperata da un atteggiamento bonario. Lo chiamavano lo zu’
Andrea: era proprietario di una fornace di tegole e mattoni e di un podere
piantato ad aranci e limoni in quelle contrade. Era il più “cristiano” dei
“cristiani”; rispettato e temuto. Né il papa era più infallibile, né il re più
ubbidito: quando lo zu’ Andrea aveva parlato, era Vangelo. Ai suoi lati
sedevano altri due “cristiani”: lo zu’ Michele Ciaravella, castaldo del
principe di Cattolica e Bartolo Saraceno, proprietario di mezza dozzina di
carrozze da piazza, e di due altre grandi e pesanti che facevano i viaggi fra
Palermo e Termini. V’era don Agostino Caracciolo, e infine il fratello del
morto Gaetano La Paglia, don Peppino.
Lo zu’ Andrea volgendo lo sguardo ora all’uno or all’altro dei suoi colleghi che gli stavano ai lati, come per averne il consentimento, osservò che la condotta di don Agostino poteva soltanto giudicarsi, quando si sapessero le mancanze che verso di lui aveva commesso don Gaetano.
Lo zu’ Andrea volgendo lo sguardo ora all’uno or all’altro dei suoi colleghi che gli stavano ai lati, come per averne il consentimento, osservò che la condotta di don Agostino poteva soltanto giudicarsi, quando si sapessero le mancanze che verso di lui aveva commesso don Gaetano.
Il quale aveva raccolto, dopo minuta
indagine, che l’uccisore era stato il cavaliere don Giovanni, che don Agostino
si trovava presente all’uccisione del fratello, e non ne aveva preso le difese,
come avrebbe dovuto, pel comparatico che lo legava a don Gaetano. Don Agostino
aveva dunque mancato al suo obbligo, tanto più che non aveva ancora cercato di
vendicare il morto. Queste sue lagnanze erano state riferite a don Agostino,
che era andato a trovare Peppino, per dare le sue spiegazioni, non per scusarsi
o per paura, che non era uomo da aver soggezione di chicchessia; ma perché
infine non aveva ragione di considerare più don Gaetano come fedele al San
Giovanni; e perché la morte era avvenuta dopo regolare sfida. Comunque la
condotta di lui, don Agostino, verso il cavaliere, non era affare che
riguardava don Peppino. Poiché il ragionamento minacciava di degenerare in una
zuffa, gli amici comuni, che assistevano, s’interposero, proponendo di far
giudicare la quistione a uomini di grande autorità in queste materie. Questo
era il motivo di quella riunione. Lo zu’ Andrea, il Ciavarella e il Saraceno,
formavano quella singolare corte d’onore, alla quale avrebbe dovuto intervenire
anche il cavaliere don Giovanni, accusato di doppia slealtà: l’una di aver
adoperata un’arma diversa, l’altra di aver aggredito l’avversario prima che si
fosse messo in guardia. Cosicché non poteva dirsi di avere ucciso don Gaetano
in duello, ma di averlo assassinato. E questa era condotta da “carognone”. Ma
il cavaliere non si faceva ancora vedere, cosa che al La Paglia pareva una
mancanza di riguardo verso lo zu’ Andrea e gli altri rispettabili amici. Lo zu’
Andrea, che aveva ascoltato attentamente l’uno e l’altro, quando ebbero finito
di parlare domandò al Sacco e al Sarcì come si era svolta la quistione. Fedeli
all’adagio che “il morto è morto e s’ha d’aiutare il vivo”, essi fecero
risaltare la condotta fegatosa, aggressiva e provocante di don Gaetano; ma non
occultarono nè attenuarono quella che era secondo loro slealtà del cavaliere.
Di don Agostino non potevano dire altro, che si era tenuto estraneo alla
quistione; ma non potevano darne nessuna spiegazione nè apprezzamento.
La vecchia dell’aceto – Romanzo storico siciliano ambientato
nella Palermo del 1700. La storia di Giovanna Bonanno, l’avvelenatrice passata
alla storia come La vecchia dell’aceto.
L’opera
è costruita e trascritta dal romanzo originale, pubblicato a puntate in
appendice al Giornale di Sicilia nel 1927.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 562 – Prezzo di
copertina € 22,00
Disponibile dal catalogo della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it; è possibile acquistare con messaggio w.a. al 3894697296 oppure alla mail ibuonicugini@libero.it. Consegna a mezzo corriere in tutta Italia.
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