martedì 2 febbraio 2016

Gli inediti di Luigi Natoli: La signora di Carini. Novella pubblicata per la prima volta sul Giornale di Sicilia del 31 agosto 1910 rivive oggi all'interno del volume La Baronessa di Carini

A 105 anni di distanza rivive oggi la novella inedita di Luigi Natoli "La signora di Carini", pubblicata per la prima e unica volta nel Giornale di Sicilia del 31 agosto 1910 con lo pseudonimo di Maurus e inserita oggi nel volume "La baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue...".
"La signora di Carini" che vede come protagonista Laura Lanza, e la cui trama è totalmente diversa da "La Baronessa di Carini" sempre dello stesso Luigi Natoli, (la cui protagonista è invece la giovanissima Caterina La Grua) narra il tragico caso di Carini del 04 dicembre 1563 secondo gli studi svolti da Giuseppe Pitrè. Vi proponiamo il primo paragrafo della novella:
 
I.

In silenzio, nell’ombra della sua camera, la fanciulla piangeva. Un dolore disperato le lacerava il cuore. Non avrebbe mai sospettato una perfidia di quel genere, che le squarciava a un tempo la cara e dolce fiducia in coloro che essa amava di più, e il velo che le avvolgeva ancora agli occhi verginali il dolce e indefinito mistero dell’amore. Anzi aveva tolto all’amore quel profumo di ignoto che era la fonte di quell’incantevole malinconia nella quale vagavano i suoi pensieri e i suoi sogni.
Ella aveva veduto!
E i sogni si erano infranti miseramente; e l’orrore, l’angoscia, lo sgomento imprimibile di ciò che aveva veduto, di quello che aveva perduto irreparabilmente, la gittavano singhiozzando col volto affondato sui guanciali.
Oramai in quel castello si sentiva estranea; qualche cosa aveva violentemente troncato tutti i legami che la univano alle persone con le quali coabitava, alle quali aveva fino allora portato un affetto fiducioso, sincero, profondo, devoto.
Tutto era finito! finito!
Egli le appariva un uomo mostruoso; la tenera poesia di cui lo aveva circondato si era dileguata a un tratto. Nessun colpo di vento spazzò così gagliardamente nebbia o fumo, come la orribile visione aveva fatto della sua poesia.
Ora si domandava affannosamente:
- Che fare?
Sì, che cosa doveva fare?
Rimanere e tacere?
Lo sdegno, la dignità offesa, il ribrezzo, le imponevano nel suo cuore:
- No; tu non devi restar più di un’ora in questa casa infame!
Andarsene dunque e rivelare il perché?
La collera, l’odio, la gelosia, la vendetta, le ruggivano:
- No! tu devi restare; rivelare la bruttura che offende te, la tua casa, tuo padre, l’onore del tuo nome, e trarne vendetta!
Ma un’altra voce, rimprovero, ammonimento, preghiera a un tempo, le suggeriva con tono accorato:
- È tua madre, Caterina!... tua madre!
Ah sì! era sua madre! Lo sapeva bene ella e questo appunto inacerbiva la sua piaga e la rendeva folle.
Così trascorse la notte; al mattino, uscì dalla sua camera con gli occhi rossi e gonfii, il volto disfatto, pallido. La vista della madre la fece ancor di più impallidire e quasi quasi venir meno.
- Che cos’hai? – le domandò la madre premurosamente.
A questa domanda e alla voce materna si riscosse, una espressione di fierezza sdegnosa le si dipinse sul volto.
Rispose seccamente:
- Nulla, signora madre.
Disse la parola madre, con una amarezza e con un fremito di orrore.

Maurus.

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