giovedì 18 febbraio 2016

Fioravante e Rizzeri: prefazione di Luigi Natoli.


Articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia il
16 dicembre 1936 

Quanti hanno letto il magnifico libro dei “Reali di Francia”?

Il trovarlo sui muriccioli, stampato Dio sa come, o nelle case dei contadini e degli umili, che se ne fanno assidua lettura, disdegna le anime gentili di comprarlo o di guardarlo. Né si trova dai librai. Essi vi hanno bensì l’ultima “creazione” moderna, che è morta prima di nascere, ma che rechi la cantafera di una qualche signora, piuttosto un libro che ha novecento anni addosso, quanti ne ha la “Divina Commedia”.

Perché i “Reali di Francia”, nella  veste che lor diede Andrea da Barberino, rimontano al trecento, e sono citati fra i testi classici, e costituiscono per noi la nazionalizzazione della materia epica francese, che sarebbe per il nostro cantafavole italiano.

Che narrano i “Reali di Francia” infatti?

Narrano la storia come da Costantino imperatore romano derivasse per naturale discendenza tutti i principi illustri che governarono la Francia da quell’epoca fino a Carlo Magno, e con loro i valorosi che li accompagnarono e che ne furono il più bello ornamento. Orlando, che è il maggiore eroe, e diventò l’immagine del valore, della cortesia e della fede, che riassume il sentimento nazionale francese, nasce per i “Reali” in Italia, e in una grotta in Sutri, dove lo partorì Berta moglie di Milone conte di Anglante, e sorella di Carlo Magno, fuggendo l’ira di costui. Così egli è italiano non soltanto per discendenza, ma anche per nascita; italiano e cittadino romano. E l’orifiamma, la gloriosa insegna che si trasmette da re a re, e che evidentemente è il vessillo, in cui Costantino fece scrivere le famose parole “In hoc signo vinces”, e che forma il centro della storia, è pur esso italiano.

Fioravante e Rizzeri sono come Buovo d’Antona e come Orlando una parte dei “Reali”, e, come quelli, la più popolare. Non è il caso di investigare se Andrea da Barberino abbia attinto ad altri poemi, di cui era ricca la Marca Trivigiana e di cui si servivano i cantafavole nelle piazze; chi ha la pazienza di leggere lo studio che precede il “Fioravante”, nella Collezione dei testi di lingua, e gli studi sulla Epopea francese e sull’ “Orlando” di Pietro Raina, e i maggiori scrittori della storia letteraria d’Italia, può farlo; per noi il romanzo di Andrea da Barberino è tutto; noi non facciamo dell’erudizione; prendiamo quello che con tanta grazia e ingenuità narra lo scrittore toscano; e se di una cosa ci maravigliamo, è appunto che esso non sia letto oggi più dei romanzi gialli.

Io lo lessi giovanotto e ricordo che non potevo, se non difficilmente tralasciare la lettura; lo rilessi ora, e provai il medesimo diletto al racconto delle avventure subite e affrontate da Fioravante e da Rizzeri suo compagno e maestro, primo paladino di Francia e uomo senza macchia e senza paura. Comincia Fioravante con una monelleria, che lo spinge a lasciare il tetto paterno del re Fiorello; e di là si partono le sue avventure. Liberazione di giovanette, uccisione di nemici della fede, perdita di armatura rubatagli da un ladrone, prigioniero del re di Scondia, innamoramento con Drusolina, il suo valore come incognito e via via quello che gli succede da re, le persecuzioni di sua madre Biancadoro, che voleva dargli moglie, le avventure di Drusolina, che sola abbandonata, dà alla luce due gemelli, uno dei quali le viene rubato, e il duello dei due fratelli che non si conoscono, tutto ciò frammezzato di tanti episodi forma il romanzo, che spira un senso di giustizia e solleva gli animi nelle regioni del sogno. I nomi delle contrade non si sa dove trovarli, le distanze di parecchie migliaia di chilometri si percorrono in un tempo irrisorio, gli eserciti sono così innumerevoli da superare il numero degli abitanti delle città che li armano... Che importa? Siamo nelle sfere del sogno, nel quale ci piace navigare.

Qualche volta, passando per una stradetta, sopra una porta, vedo pendere un cartellone con dipinti in quadri alcuni episodi di quello che si rappresentava la sera nel teatro delle marionette; e vi leggevo i nomi di Fioravante e di Rizzeri. La storia di Andrea da Barberino si era rifugiata lì: Fioravante e Rizzeri erano tramutati in teste di legno, come tutti gli altri campioni del valore e della fede; ma anche in quelle vesti che destano in noi un sapore di cose nuove. In un quadro v’erano due guerrieri, che abbassavano le armi e un leone fra loro in atto di separarli; in un altro, una folla di popolo e una regina condotta al rogo: i cavalieri erano vestiti con le armature del cinquecento, con un salto di mille e duecento anni. Non importa nulla. Pel popolo abituato a quel teatro e pel puparo, ossia per l’ “oprante” tutte queste differenze sparivano nell’antico, in cui tutto accadeva senza distinzione di tempo, di luoghi, di costumi: ma l’onda di poesia che scaturiva anche da quelle piccole teste di legno era possente e riecheggiava nelle anime semplici degli spettatori.

Ora anche adesso questo giornale si ispira alle avventure di Fioravante, e lo riproduce attraverso un “oprante”; e intreccia l’antico con il moderno; e le avventure di Lillì fanno contrasto con quelle di Drusolina, e quell’onesto puparo sembra foggiato con l’anima dei suoi pupi. C’è riuscito? È quello che vedrà il lettore. Ma se non è immodestia dirlo, coloro che mi hanno seguito attraverso i diciotto o venti romanzi, da me pubblicati su questo giornale, sanno per prova che un certo interesse so trovarlo.

 Maurus o Willam Galt

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