Nel castello di Baida si era in gran faccende, per preparare la roba
al barone che doveva partire per recarsi al Parlamento convocato
dall’imperatore in Capua per la fine di novembre di quell’anno 1227. Il barone,
messer Gualtiero de Urziliana, se ne stava seduto su un seggiolone di quercia,
presso una finestra, dalla quale si dominava la vallata, che scendeva tutta
verde verso il mare non lontano. Mentalmente tracciavasi l’itirenario per
recarsi a Palermo, dove si sarebbe imbarcato, coi suoi cavalli, il suo
scudiere, i suoi servi. Dal castello a Castellammare non c’eran che quattro
miglia; a Castellammare avrebbe trovato l’antica strada consolare per Alcamo,
donde per Partinico e per Monreale, in un paio di giorni, per non stancare i
cavalli, sarebbe arrivato nella capitale.
Il bando del Parlamento in verità non lo aveva esaltato: se non fosse
stato per una sua norma di vita, di non discutere e tanto meno disubbidire ciò
che ordinava l’Imperatore, sarebbe rimasto volentieri in quel suo castello
torreggiante sui colli, col mare innanzi, i gioghi del monte Sparagio dietro. Messer
Gualtiero non era più giovane; aveva superato i cinquant’anni, e tra i capelli
e la barba d’un castano rossiccio, biancheggiavano troppi fili di argento.
Nella sua giovinezza aveva combattuto, specialmente nelle fazioni contro quel
barbarico Marckwald, che Arrigo VI aveva condotto e lasciato in Sicilia, e che
aveva, forse, sognato di strappare la corona al piccolo Federico. Messer
Gualtiero era di origine normanna, e devoto alla imperatrice Costanza, ultima
della stirpe regale degli Hauteville. Quando il maresciallo tedesco col
pretesto di assumere la tutela di Federico invase la Sicilia, e accampatosi
alla Cuba, minacciava la reggia, messer Gualtiero, accorso come tutti i baroni
siciliani alla difesa del trono, inginocchiatosi dinanzi all’imperatrice, con
la spada sguainata nelle mani, le disse:
- Madonna, sulla croce di questa spada, io fo sacramento di non
deporre l’arme, e non concedermi riposo, se prima il ladrone alemanno non sarà
morto o cacciato con suo disonore dal regno.
E mantenne la promessa.
Morta l’Imperatrice Costanza egli si ritrasse nel suo castello di
Baida. Non amava Federico, perché gli pareva che avesse molto del padre: gli
pareva che il sangue tedesco prevalesse in lui sul normanno: ma quando
l’Imperatore bandiva o parlamento o servizio militare, messer Gualtiero
inforcava gli arcioni, e via. Egli era vassallo, aveva prestato omaggio, e
doveva ubbidire. Ma, nell’agosto, per sue ragioni non era andato a Brindisi,
per prender parte alla spedizione di Terra Santa, morta sul nascere, per la
pestilenza scoppiata fra i crociati e la malattia dello stesso Imperatore, che
imbarcatosi era dovuto tornare indietro. Per cui era stato scomunicato.
Luigi Natoli: Viva l'Imperatore! Romanzo storico ambientato nell'epoca di Federico II, tra Palermo e le crociate di Gerusalemme
Il volume è la fedele riproduzione dell'opera originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1925.
Pagine 527 - Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni)
Nessun commento:
Posta un commento