venerdì 17 dicembre 2021

Luigi Natoli presenta ai lettori l'Abate Meli (Nel 206° anniversario dalla morte: 20 dicembre 1815)

Nel suo modo di fare poesia:
Io non ho inteso né di scrivere una vita, né di illustrare i tempi del poeta; ma semplicemente e puramente di esaminare nel modo più completo donde e come proceda l’arte sua, perché egli indipendentemente dal suo genio poetico sia sempre una grande figura de la nostra istoria letteraria, perché egli sia grande non solo come poeta ma come scienziato. Vi ha in questo poeta tutta la spontaneità graziosa de la poesia popolare, che ei studiava attentamente, tutta quella felicità di linguaggio evidente, contemperata da la matura riflessione de l’artista; da un gusto finissimo e veramente greco e da una mollezza voluttuosa che sa de l’oriente. E tal poesia che schiude i profumi de la zagara e dei gelsomini fra i severi e maestosi intercolonni dei templi greco-siculi; armonica fusione di una forma popolare e di una successione di imagini scelte con discernimento fine, amalgamate in seno a la ebbrezza del sentimento eccitato.  Così egli vela modestamente il desiderio intenso dei sensi, senza strozzarlo ipocritamente con quei lagni evirati degli accademici onde era infestata l’arte italiana...
(Giovanni Meli: Studio critico) 

E simpaticamente nel romanzo storico: 
"Questa acciuga è ottima, e ac­compagnata dal pane è squisita, non c'è che dire. Però, mi piacerebbe di più se avessi una credenza o un riposti­glio, dal quale potrei prendere un bel pezzo di caccia. La quistione è che io sono un poeta, e perciò vivo quasi nella miseria: “Pictores, sculptores et cantores” con quel che segue. Vero è che mi danno del genio, ma preferirei che me lo mutassero in danari. Col genio non si vive. Per esempio, ho una sorella pazza che mi lascia senza desinare. Bene. Apro il ripostiglio e prendo un altro desinare, dai maccheroni alla frutta, senza tralasciare gli intingoli e i “piattini”... Quei domenicani hanno festeggiato il loro nuovo provinciale con un banchetto di ventiquattro piatti, settanta piattini, oltre i gelati e la frutta... Non dico che questo mi sarebbe piaciuto e toccato, ma... Il genio!... Se mi dessero l’equivalente, io non patirei tanto..."
 Beatu iddu chi campa sfacinnatu
Comu l’antichi, e cu li propri soi
Si cultiva lu campu ereditatu...
“Io non ebbi nemmeno questo: la casa che acquistò mio padre, buon’anima!
E passa in libertà li jorna soi
tranquillu, senza debiti, né pisi,
senza suggizioni e senza noi!... (*)
“Ah! un vivere sì beato! Che ci vorrebbe? Una bella e buona abazia, che mi fornisca tanto da vivere come gli antichi. Invece, ho da fare il medico! E debbo insegnare la chimica ai giovani! La medicina e la chimica non sono amiche delle Muse...
(Tratto da: L'Abate Meli. Romanzo storico siciliano) 

In poche righe ne elabora il pensiero
“Saggio è colui che parla poco e opera molto e bene; e che si è educato alla scuola dell’esperienza, dello studio, delle avversità; chi non insuperbisce di sé stesso, chi non mente, chi ama e si lascia amare, chi gode e lascia godere; chi non attuffa la vita nella malinconia o nella bile; chi insomma ubbidisce ai sacri dettami della natura e a quella conforma la sua vita. 
“Saggio è infine chi più di ogni altro bene apprezza la pace, e tutto fa per conquistarla: poiché nella pace dell’animo è la felicità della vita, e per la pace, tu puoi gustare le gioie continue che la vita alimentano”.
(Tratto da: Giovanni Meli. Studio critico) 

E ce lo presenta nel romanzo: 
Don Giovanni Meli, se ne stava nel suo studio mode­stamente arredato scartabellando un volume di medicina per una consulta che doveva fare. Era medico.
In quel tempo abitava una casa die­tro il coro della Chiesa dell'Olivella, casa modesta, dove erano vissuti suo padre, sua madre, due zie che erano morti, e l'avevano lasciato con due fra­telli, Stefano e Tommaso che si era fat­to frate nei domenicani e una sorella pazza.
Giovanni era il dotto della fami­glia, e il suo nome era famoso in tut­ta la Sicilia, come quello di un gran poeta.
Era un uomo di circa 50 anni, di statura media, bruno di volto, coi ca­pelli quasi neri, con parecchi fili d'ar­gento tirati indietro e legati con un na­stro, gli occhi nerissimi, vivaci; un'aria modesta, non curante di sè, ma pulita. Vestiva di nero, alla guisa degli abati ed infatti lo chiamavano «l'abate Me­li». Ma non lo era, anzi non era nep­pure chierico, nè aveva i quattro ordi­ni e la tonsura, che prese l'ultimo an­no di sua vita per ottenere l'abazia che non ottenne. Era semplicemente il «dottor Meli», e si vestiva da abate per avere libero accesso nei monasteri, do­ve non si entrava, se non si appartene­va alla Chiesa, in un modo qualunque.
Di tanto in tanto in quella che scar­tabellava, guardava, pensando, nella parete, di contro, ove era una libreria con pochi volumi di medicina e molti di letteratura.
In quegli sguardi forse c'era un pen­siero medico, per la consulta che dove­va farsi, o piuttosto c'era un'immagine poetica che egli perseguiva, e che si frammezzava alla medicina?



Luigi Natoli: L'Abate Meli. 
Per la prima volta in un solo volume abbiamo riunito il romanzo di Luigi Natoli L’abate Meli, (fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia ndal 29 settembre 1929), Giovanni Meli Studio critico (fedele trascrizione dell'opera originale pubblicata con la tipografia Il Tempo nel 1883) e tutte le poesie che il grande scrittore palermitano scelse e inserì nel trattato Musa siciliana (casa editrice Caddeo 1922) a dimostrazione della grandezza umana e culturale di questi due grandi letterati di Sicilia. 
Introduzione a cura di Francesco Zaffuto
Traduzione delle poesie di Giovanni Meli a cura di Francesco Zaffuto
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 702 - Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store online.
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Piazza Leoni), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi) 

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