venerdì 17 dicembre 2021

Omaggio a Francesco Zaffuto, uno dei più cari e validi collaboratori de I Buoni Cugini editori

Ci ha lasciati il poeta Francesco Zaffuto, uno dei più cari e validi collaboratori de I Buoni Cugini editori, oltre che zio dell'editore Ivo Tiberio Ginevra. Il suo entusiasmo per il progetto della Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli ci ha tante volte dato la forza per andare avanti, in un percorso spesso difficile e faticoso in cui i suoi suggerimenti ci sono stati preziosi. 
Poeta e studioso del dialetto siciliano, amava la figura del poeta Giovanni Meli. E grazie a lui abbiamo aperto la Collana dedicata alle opere di Giovanni Meli, con le sue pubblicazioni: L'aceddi (tutte le poesie che Giovanni Meli scrisse sugli uccelli, con traduzione in italiano a fronte) e L'origini di lu munnu (il poema sulla creazione del mondo con traduzione in italiano a fronte e note. Copertine e illustrazioni di Dafne Zaffuto).
Francesco Zaffuto ha collaborato nella pubblicazione del volume di Luigi Natoli L'abate Meli, che comprende tutta l'opera del grande romanziere palermitano su Giovanni Meli detto l'abate. Ovvero: il romanzo storico (nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal settembre 1929), Giovanni Meli studio critico (pubblicato dalla tipografia Il Tempo nel 1883), tutte le poesie di Giovanni Meli pubblicate in Musa siciliana (casa editrice Caddeo 1922) di cui ha curato la traduzione in italiano e l'introduzione delle note, oltre che l'ampia ed esaustiva prefazione, che in parte vi proponiamo di seguito:

"La scelta di inserire in un solo volume il romanzo di Luigi Natoli “L’Abate Meli” e il saggio critico di Natoli su Giovanni Meli permette di prendere visione di due opere che si completano a vicenda. 
La cultura distratta e di moda del secondo Novecento non ha saputo riconoscere il patrimonio letterario lasciato da Natoli ed ha dimenticato uno dei più grandi poeti della letteratura italiana, relegandolo al ruolo di poeta dialettale. Meli viene conosciuto per qualche aneddoto mal raccontato, per qualche poesia che simpaticamente si recita per il tono allusivo, e per l’essere il poeta dell’Arcadia (un mondo poetico considerato ormai lontanissimo). 

Il romanzo di Natoli “L’Abate Meli” venne pubblicato a puntate dal Giornale di Sicilia a partire dal 16 settembre 1929 e questa edizione dei Buoni Cugini Editori fa riferimento ai testi originali di quella pubblicazione. 
Non è un romanzo biografico sul poeta siciliano, è un particolare intreccio narrativo per evidenziare la poetica e la filosofia del Meli. Il romanzo scorre su due binari: quello di un’ intricata vicenda avventurosa e amorosa dove i buoni sono perseguitati ingiustamente; e quello della vita del poeta Giovanni Meli che interviene in aiuto solidale per dovere e simpatia. Il Meli è il protagonista indiretto, interviene con la sua fama, con le sue poesie e con i pochi denari a sua disposizione in aiuto di individui che sarebbero travolti dagli eventi. Alcuni episodi documentati della vita di Meli, come: la sorella pazza, il furto subìto, le sue ristrettezze economiche, vengono intrecciate con le altre vicende del romanzo. 
Nella costruzione del romanzo Natoli mantiene una netta dicotomia tra il male e il bene come se fossero due entità mitologiche che si confrontano: da una parte Don Bartolo che riassume tutto l’assurdo del male capace di generarsi nella specie, che si caratterizza per l’attaccamento al denaro, vive nella falsa coscienza dell’onore, con ottusità, senza pensiero, con eccessi di ira, ed arriva fino al delitto; dall’altra parte il Meli che si caratterizza per l’empatia, la gratuità, che si rivolge al pensiero e alla ragione, e vuole coniugare il dovere con l’amore. Meli è l’astro dell’illuminismo in Sicilia, mentre scorre la barbarie della storia, un astro povero, armato solo dei suoi versi. 
Spesso Natoli nel suo romanzo, all’interno delle vicende, cita le poesie del Meli che diventano il filo conduttore in diversi momenti narrativi, e la poesia che esprime il profilo etico del poeta è la Pace. Il senso della pace che percorre Meli non può prescindere dal senso della giustizia ed è un tutt’uno con questa. 
 Meli non fu mai ricco e spesso le difficoltà lo costrinsero, come Giuseppe Parini, a bussare alla porta dei potenti; Natoli lo descrive in questo bussare ai potenti anche per aiutare gli altri. Usa la sua poesia per penetrare nel cuore degli uomini e conoscendo il cuore delle donne, come terreno più adatto ai sentimenti, non manca di dedicare versi alla bellezza e al cuore di una dama per cercare un aiuto per i suoi protetti. 
 Natoli nel romanzo ci presenta l’Abate Meli a 50 anni: vestito sempre con l’abito scuro di religioso, ma in realtà poeta, scienziato e medico; soprattutto poeta. 
Sul titolo di Abate di Meli, Natoli nel secondo capitolo così narra: “Vestiva di nero, alla guisa degli abati ed infatti lo chiamavano “l’abate Meli”. Ma non lo era, anzi non era neppure chierico, né aveva i quattro ordini e la tonsura, che prese l’ultimo anno della sua vita per ottenere l’abazia che non ottenne. Era semplicemente il “dottor Meli”, e si vestiva da abate per avere libero accesso nei monasteri …”. Da questo passo si desume che Natoli, nel suo romanzo del 1929, continua a sposare la tesi biografica di A. Gallo che affermava che il poeta prese gli ordini nell’ultimo anno di vita. Tesi confutata dalla ricerca storica di Edoardo Alfano che, con il suo studio pubblicato nel 1914, dimostrava la totale assenza di menzione sulla presa degli ordini di Meli nei i documenti degli archivi della chiesa palermitana.
 Certo fu lo stesso Meli che affermò in un suo memoriale poetico di aver preso gli ordini; nel settembre del 1815 inviò al duca d’Ascoli il memoriale affinché lo presentasse al Re per perorare l’affidamento di un’abazia in Palermo. In questo memoriale in versi intitolato “Siri” si possono leggere questi versi:

... Prezzi e bisogni criscinu, e mancanti
Su l’introiti, e addossu nun si trova 
Chi lu vacanti titulu d’abbati,
Chi impignari ‘un po’ pi pani e ova,
Si supra na cummenna la bontà
Di Vostra Maestà non ci lu nchiova.
Iddu è già preti chiù di la mità:
La tunsura e quatt’ordini ingastati
Dintra di l’arma si li trova già...

(Prezzi e bisogni crescono, e mancanti/ sono gli introiti, e addosso non si trova/che il vuoto titolo d’abbate/ che non può utilizzare per il pane e le uova, / se sopra una commenda la bontà / di Vostra Maestà non ce l’appende. /Lui è già prete per più della metà: / la tonsura e quattro ordini incastonati/dentro nell’anima se li trova già.

Non sappiamo perché Natoli, scrittore e storico attento, preferisce parlare di voti presi l’ultimo anno della sua vita, mantenendo la tesi del Gallo, comunque sono fatti successivi al periodo di tempo narrato nel romanzo e Natoli ben descrive un Meli sensibile al fascino femminile e alle pulsioni della vita. La “cicala” Meli non rinunciò alla vita e a tutti gli aspetti della sua bellezza, volle vivere e poetare, nella sobrietà, nella pace e nella giustizia; e se Meli dice che “dintra di l’arma” (dentro la sua anima) è Abate, non dice una bugia, se si considera il suo rigore morale e il profondo senso di cristianità che è riuscito a legare con il suo pensiero illuminista.
Meli portò quel modesto abito scuro che era comune ai medici e agli abati, esercitò la sua attività di medico per 5 anni a Cinisi in provincia di Palermo (e forse quell’appellativo di Abate iniziarono a darglielo in quel paese); a Palermo continuò a portare quell’abito scuro e modesto che lo distingueva dagli uomini della sua epoca (fine settecento) che si ornavano di parrucche, merletti e calze di seta; Natoli nel descriverlo in una sala di nobili, avvolto nel suo abito scuro, dice che pareva un calabrone in mezzo a tanti fiori; nello spettro dei colori rovesciato della coscienza Meli diventava il fiore più luminoso in mezzo a tante ombre.

Lo Studio critico dedicato a Giovanni Meli, pubblicato nel 1883, Natoli lo scrisse quando aveva appena 26 anni. Studio prezioso per la conoscenza delle opere e per l’attenta documentazione, può essere utile a chi non conosce il poeta siciliano e anche a chi lo conosce in profondità. E’ uno studio condotto a tutto campo, che va dalle opere maggiori fino agli inediti e alle lettere del Meli. Presenta il grande poeta siciliano nella sua centralità filosofica e letteraria e lo libera dal luogo comune di solo rappresentante dell’Arcadia, prendendo le distanze anche da esponenti della critica letteraria del calibro di De Sanctis. 
Meli fu arcade se si guarda al suo repertorio metrico, ai riferimenti alla tradizione classica, allo sfondo agreste delle sue liriche; ma per lo spirito e per la sua impronta morale e filosofica fu un poeta ben più complesso. Natoli dimostra questa complessità evidenziando l’opera “L’Origini di lu munnu”, dove la dissertazione di Meli spazia su tutte le teorie filosofiche.
Nell’esaminare la “Bucolica” Natoli coglie che in Meli “il centro è l’amore delle cose che scherza nella varietà, ne l’incostanza, nel disordine; e in quell’armonia dilettosa, che egli il poeta, formavasi nel suo cervello, nel sentirsi concorde ed uno con la natura”. 
Colloca il Meli nel suo periodo storico; Meli visse a Palermo in anni in cui si sentivano arrivare da lontano gli echi della Rivoluzione francese e successivamente quelli delle campagne napoleoniche, non fu investito direttamente da quegli eventi, inveì dalla lontana Sicilia contro gli eccessi della Rivoluzione francese e contro le sanguinose campagne napoleoniche; predicò la pace e prese il meglio di quell’epoca, il pensiero illuminista.
Nella parte finale del suo saggio Natoli cita la lettera di Meli al barone Refhuens dove parla delle sue aspirazioni di vita, del suo rapporto con la poesia, delle sue disgrazie, delle sue amarezze, del suo rigore: “nonostante, mercé di un parco vivere ho tirato avanti decorosamente, senza aver contratto mai un soldo di debito, e senza avere obbligo ad anima vivente della mia tenue sussistenza, salvo alle mie fatiche…”
Oltre allo Studio critico e al romanzo, Natoli dedica un ampio spazio a Giovanni Meli nel suo trattato sulla poesia siciliana “Musa siciliana”, e per fare conoscere il poeta lo presenta con un insieme di poesie che caratterizzano tutte le sue espressioni poetiche: dalle Favole Morali alle Odi, dalle Elegie alla Bucolica, dagli Epigrammi ai Sonetti dedicati alla vita di Palermo, aggiungendo stralci del Ditirammo e del Don Chisciotte. In questo volume sono state riprodotte in appendice tutte le poesie che Natoli scelse e inserì ne la “Musa siciliana”. 
Il Saggio critico, il romanzo “L’Abate Meli” e il trattato “Musa siciliana”, dimostrano come Natoli considerasse Meli un grande poeta, filosofo e maestro di vita; e questa poderosa pubblicazione, grazie a I Buoni Cugini Editori, può contribuire alla riscoperta di un narratore e di un poeta che dovrebbero essere meglio conosciuti in tutta l’Italia e anche nella loro Sicilia. 

Palermo 04/06/2015
Francesco Zaffuto

Ma non si ferma qui la collaborazione di Francesco Zaffuto con I Buoni Cugini editori: amante dell'Opera dei Pupi, è autore dell'introduzione al romanzo Fioravante e Rizzeri di Luigi Natoli, che riportiamo di seguito in parte: 
Siamo tutti pupi, dirà Pirandello, contemporaneo del Natoli, nel suo Berretto a sonagli,  ed ogni pupo vuole difendere la sua onorabilità, la sua immagine; e don Calcedonio nella vita è pupo come tutti gli altri e vuole mantenere una rispettabilità nel sociale.  Le trame antiche del suo teatro gli suggeriscono l’azione, la voce forte, il farsi giustizia con un bastone; e più di una volta il puparo si comporta come uno dei suoi pupi in scena.  Ma questo romanzo-tragedia di Natoli va oltre la maschera sociale ed umana; è il conflitto esistenziale del padre, del grande puparo, dello stesso Creatore.   Il puparo si aspetta che i pupi si muovano secondo il movimento che ha impresso con la mano, secondo le finalità della commedia che si deve rappresentare. Don Calcedonio si danna perché nella realtà ogni pupo ha la sua vita propria e lui non riesce, con tutta la sua buona volontà, a dare un indirizzo, un consiglio neanche alla sua unica ed amata figlia.
 Don Chisciotte muore quando il sogno scompare, il puparo Calcedonio alla fine riesce a conciliare la vita e il sogno:  lascia ogni attaccamento, anche quello che aveva per il pubblico e per le pareti decorate del suo teatro, ama i pupi di carne e di latta per quello che sono, risolve con la pietà  il suo problema di deità.  
 Ogni scrittore in qualche modo è un puparo, costruisce ed ama le scene e i suoi personaggi; il grande puparo Luigi Natoli con “Fioravante e Rizzeri” ha costruito un romanzo difficile, originale e di notevole grandezza.


Ed ancora ha curato la traduzione in italiano e l'inserimento delle note nelle opere teatrali di Luigi Natoli in dialetto siciliano raccolte nel volume Suruzza! di cui scrive una nota sulla traduzione che riportiamo in parte: 
"Le quattro opere teatrali di Luigi Natoli in siciliano, trovate negli archivi, e venute alla luce  grazie al paziente lavoro di ricerca degli editori I Buoni Cugini di Palermo, sono di grande preziosità anche per l’uso fatto dal Natoli del siciliano. È un siciliano della fine ottocento parlato ancora abbondantemente a Palermo, e che Natoli ben padroneggiava come lingua madre. L’autore lo volle esprimere in tutta la sua forza espressiva e spesso curò nel dialogo l’inserimento di particolari modi di dire, proverbi e motti in uso.
Le opere teatrali in siciliano sono quattro: due drammi, “Suruzza” e  “L’umbra chi luci” e due commedie, “Quattru cani supra un ossu” e “L’Abate Lanza”.
Nei due drammi anche le indicazioni di scena sono scritte in siciliano, nelle due commedie il siciliano è usato solo nei dialoghi.
Il dramma “Suruzza” è ambientato in un paesino della Sicilia nel periodo post unitario, dove erano ormai lontani gli ideali risorgimentali ed avanzava uno strato sociale di avventurieri senza scrupoli, collusi con ambienti malavitosi e appoggiati da rappresentanti di istituzioni e da politici conniventi. Contro quella cornice diabolica e contro gli esponenti  corrotti si poteva  lottare, e l’invito ad una lotta coraggiosa fatta da Natoli era esplicito, ed era  possibile anche una vittoria. E vale anche per i nostri giorni. La cosa più crudele però resta la sorte, una sorte maledetta che a volte distrugge  i deboli e gli innocenti;  e Carmela, la giovane sorella del protagonista Giovannino (Suruzza) è la vittima di questa sorte e  il centro di questo dramma.
Nell’altro dramma “L’umbra chi Luci”, il nodo è il ritorno dei reduci dalla prima guerra mondiale. Su questo conflitto Luigi Natoli arrivò a scrivere uno dei suoi romanzi più poderosi “Alla guerra!”; e non fu solo un osservatore esterno di questa tragedia, ma ne venne colpito profondamente negli affetti. 
In “L’umbra chi luci”, ambientato in un paesino siciliano, c’è chi torna orrendamente mutilato, c’è il racconto delle azioni e dei morti, ci sono quelli in attesa di partire, e tra questi ultimi c’è chi intende disertare. Il centro del dramma è l’infedeltà coniugale di Agata, moglie di Filippo Montoro, un reduce cieco di guerra; la donna, pur volendo tornare ad essere fedele al marito e dedicarsi alla sua cura, è ostacolata dal suo ex amante. In questo dramma Natoli accentua al massimo la dicotomia tra giusto ed ingiusto e pone nell’ingiusto chi non voleva sacrificarsi alla Patria. 
Nelle due commedie invece si rivela un Natoli insolito, pieno di spunti ironici e divertenti.
In “Quattro cani supra un ossu”, il commediografo palermitano costruisce, in un ambiente della vecchia Palermo, un insieme di personaggi tutti tesi ad approfittare di un ricco vecchietto che vuole testardamente restare arzillo. C’è chi vuole prosciugare le sue ricchezze dandogli in sposa la giovane figlia, e c’è chi ne vuole approfittare minacciandolo con le possibili punizioni dell’inferno. Il vecchietto  ondeggia, ma nel rondò finale vincerà, con uno Sciatara!, lo stato di fatto. 
Dove Natoli esprime al massimo tutta la potenza del siciliano come lingua è “L’Abate Lanza”, in cui regna l’intreccio tipico della commedia degli equivoci;  l’eroe questa volta è un eroe negativo, ed è inusuale per il mondo narrativo di Natoli. Il protagonista Ottavio Lanza, seduttore di nobildonne, suore e villane, è ben chiaro nello spiegare la motivazione del suo comportamento; e lo fa subito nel primo atto. Poi nel corso della commedia si stenta a credere all’artifizio del suo gioco, che si combina sempre in suo favore. La commedia, ambientata in una Palermo del 1747, ci presenta uno stuolo di nobili che parlano un siciliano di alto livello, e villani che parlano un siciliano popolare; e il tutto nella cornice di un mondo settecentesco, decadente e pieno di vizi e ipocrisie. Il finale dell’Abate Lanza è rutilante e degno della migliore vaudeville.  
Per incarico de I Buoni Cugini Editori, ho provveduto a tradurre in italiano queste quattro opere di Natoli, per permetterne la fruizione a chi il siciliano non lo conosce, ed anche ai tanti siciliani che della loro lingua ormai conoscono ben poco. Ho cercato il più possibile di essere aderente al testo e spesso ho lasciato la stessa costruzione delle frasi tipiche del siciliano. 
Un’ultima considerazione sul dialetto che usa Natoli in queste opere. Si tratta sempre di un dialetto siciliano, ma piuttosto vario. Infatti ne L’abate Lanza usa un dialetto piuttosto colto e vario a seconda dei personaggi, mentre in Quattru cani supra un ossu, è piuttosto popolare e attinente a quello palermitano. In Suruzza e L’umbra chi luci identifichiamo un dialetto “paesano”. Infatti, più volte l’autore parla di “sceni paisani”
Spero che questa traduzione possa invogliare tanti lettori a cimentarsi nella lettura della versione originale.
 
Francesco Zaffuto

Caro professore Zaffuto, la tua cultura e la tua sapienza vivranno per sempre nelle opere per cui hai lavorato, della cui collaborazione, siamo sicuri, Luigi Natoli e Giovanni Meli sono orgogliosi. Grazie.

I Buoni Cugini editori
Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra 




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