Era la sera del 22 luglio
1517, antivigilia della festa di Santa Cristina, patrona della città che i
Palermitani si affaccendavano a celebrare, come facevano ogni anno, nella
maniera più sontuosa imbiancando cioè i muri delle case, e appendendovi festoni
di fronde; innalzando per le strade che la processione doveva percorrere archi
trionfali, anch’essi di verdi fronde; e preparando coperte e panni e, chi li
aveva, arazzi, da stendere sulle finestre, e lanterne e torce resinose per far
la luminaria.
Questa era la festa
principale, e più solenne per la città; cominciava la vigilia, col Vespro solenne
che si cantava nel Duomo, e si svolgeva il giorno della festa, cioè il 24, con
la “cappella reale” e la messa cantata, di mattina, e immediatamente dopo la
processione. Cappella reale significava che alla funzione religiosa interveniva
il vicerè o il luogotenente, come rappresentante del sovrano, in gran pompa;
sedeva sul trono e riceveva l’incenso nelle forme prescritte dal cerimoniale.
Tanto nell’andare al Vespro solenne, quanto alla messa cantata, l’intervento
del vicerè era per se stesso uno spettacolo che attirava la folla: perché egli
vi andava con le insegne della carica, con gran seguito di cavalieri e di
creati: ed era ricevuto alla porta del Duomo dall’Arcivescovo: e perché andando
il vicerè in veste ufficiale, a esercitare un atto di sovranità, ci si recavano
anche le alte magistrature del regno, e il Senato, anch’esso in gran pompa.
Il popolo, dunque, faceva
i preparativi per addobbare le strade specialmente quelle che la processione
avrebbe percorso, secondo prescriveva il bando del Senato. E quell’anno era
prescelto il quartiere del Capo, o come si diceva, di Civalcari.
Qua e là, dove c’era gente
che o imbiancava, o sul bianco dipingeva certi ornati rossi e turchini, che
parevano ai riguardanti bellissimi, si formavano crocchi, che ciaramellavano
delle cose più disparate; uno più numeroso se n’era fatto presso la chiesa di
Sant’Agostino, dove addobbavano di verdi fronde d’arancio e di palme un arco
trionfale; ma un uomo vestito da frate, messosi a parlare ad alta voce sui
gradini della chiesa, aveva attirato a sé quel crocchio, che era man mano
diventato folla, e pareva che prendesse gusto al discorso del frate.
Il quale era mastro
Iacopo, camuffatosi a quel modo per poter percorrere le vie, senza intoppi. Lì
s’era fermato e pareva predicasse. Una predica buffa, se faceva ridere. Ora
egli continuava a dire:
- Dovete sapere, amici
miei, che una vota, saranno cento e cento e cento anni i Cristiani andavano nel
paese dei Turchi per togliere loro i Luoghi Santi, dove nostro Signore Gesù
Cristo fu crocifisso da quei cani di giudei. E combatti oggi, combatti domani
vinsero la battaglia, e liberarono il Santo Sepolcro. E che trovarono!... Tutti
gli strumenti della Passione di nostro Signore!... – Dicono: – “questi per non
litigare fra noi, dobbiamo portarli al Papa, e penserà lui a dividerli”. Detto
fatto: portarono ogni cosa al Papa, il quale composta una bella nota di tutti i
regnanti e principi fece la distribuzione e mandò ad ognuno una reliquia, come
vi dirò. Voi mi domanderete: E tu come li sai quanti regnanti e principi
c’erano in quel tempo? – Io non li sapevo, ma l’ho udito nominare dal padre
lettore di San Francesco. Dunque, all’Imperatore mando la Croce; al re di
Francia la Corona di spine; al re di Castiglia la colonna dove Gesu fu flagellato;
al re di Navarra la Catena, al re d’Inghilterra i tre chiodi; al re d’Ungheria
il Martello; al re di Cipro la Scala, al re d’Aragona la lancia; al re di
Scozia la spugna, al re di Boemia il velo; al re d’Apollonia la corda; al
Delfino di Francia la camicia; al principe di Taranto i trenta denari; al Duca
di Scozia la fanara di fuoco; al Duca di Calabria i dati; al Duca di Borgogna
il guanto di ferro; al Duca di Bretagna la canna; al Duca di Milano la
lanterna; al Duca d’Orleans le tanaglie; al Gran Maestro di Malta la trombetta;
al Conte di Armaniaceo il secchio; al Conte di Tusca la borsa. E i flagelli
con cui il povero Gesù fu ridotto una piaga dalla testa ai piedi? I flagelli,
amici miei, li lasciò al Vicerè di Sicilia; sapendo che voi, come tanti Cristi
legati alla colonna, vi lasciate flagellare, senza parlare. Pigliateveli dunque
in pace i colpi che vi portano via la pelle a pezzo a pezzo, e bene vi stia!...
La gente che dapprima
ascoltava ammirata tutta quella filastrocca, alla fine inaspettata, dalla quale
capiva l’arguzia ironica, mormorava, e commentava. Qualcuno diceva:
- Eh! frate mio, hai
torto, perché sai bene che a don Ugo gliel'abbiam strappato il flagello...
Luigi Natoli: Squarcialupo – Opera
inedita. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1517,
quando Giovan Luca Squarcialupo, patriota, sognò e realizzò anche se per poco,
un governo repubblicano. L’opera, mai pubblicata in libro, è costruita e
trascritta dal romanzo originale, pubblicato a puntate in appendice al Giornale
di Sicilia nel 1924.
Pagine 684 – prezzo di
copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile al sito www.ibuonicuginieditori.it, la feltrinelli.it, Amazon Prime e tutti i siti vendita online.
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133) La Nuova Bancarella (di fronte La Feltrinelli), Libreria Sciuti (Via Sciuti n. 91/f), Libreria La Vardera (via N. Turrisi 15)
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