mercoledì 23 ottobre 2019

Luigi Natoli: Mastro Cecco affresca il chiostro di San Domenico. Tratto da: Il Paggio della regina Bianca.

Mastro Cecco picchiò alla porta del convento; una piccola porta ogivale, ornata di una cornice intagliata a fogliami, e di quattro colonnine sottili, addossate agli stipiti. Sul vertice dell’ogiva un piccolo scudo recava in bassorilievo l’immagine del cane con la fiaccola in bocca; stemma dei padri domenicani, che avevano voluto, effigiando il sogno simbolico della madre di S. Domenico, celebrar la gloria di lui, fiaccola del mondo.
Il sogno intendeva significare la “fiaccola per illuminare, per diffondere la vera luce nel mondo”; ma più tardi fra Tommaso Torquemada e fra Pietro Arbues dovevano vedervi una fiaccola da ardere roghi…
Nel 1401 la chiesa di San Domenico, che sorgeva presso a poco dove sorge l’odierna, non era molto grande: era stata edificata da cento anni, da quando i frati abbandonarono il piccolo convento di basiliane, che si trovava sul Cassaro, dove fu poi eretta la chiesa di S. Matteo. Della chiesa antica non rimane più nulla, pei successivi rifacimenti e ingrandimenti; ma restano ancora tre lati del chiostro, coi loro piccoli archi acuti sorretti da doppie colonnine varie di forma e di capitelli, come sono i chiostri siciliani di quel tempo.
Mastro Cecco dipingeva una parete del chiostro, per incarico di quei frati. Non era un gran pittore; e nel disegno e nel colore aveva quella ingenuità infantile dei pittori primitivi, in un tempo in cui la pittura aveva avuto Giotto, e s’avviava a quello sviluppo che fece grandi i quattrocentisti.
Un devoto aveva legato una somma al convento, con l’obbligo ai frati di far dipingere in una parete del chiostro, un soggetto tra storico e sacro: il conte Ruggero che libera Palermo dai mussulmani e vi ripristina il culto cristiano.
Mastro Cecco aveva trovato nel tema un vasto campo per sfogarvi la sua fantasia; e tra i guerrieri che si accalcavano intorno al fortunato venturiero normanno aveva raffigurato i fondatori delle grandi case signorili, che la tradizione o la vanità diceva venuti col normanno.
Attraverso il palco di legno, sul quale il pittore lavorava, la sua rappresentazione pittoresca si travedeva a brani. Un lato, quello dove erano Ruggero e i personaggi del suo seguito, era dipinto: il maestro attendeva ora a dipingere i Saraceni, dai volti bruni o neri, secondo la tradizione popolare, coperti di grandi turbanti. Nel mezzo c’era il vescovo Nicodemo, tratto dalle tenebre delle catacombe, per ribenedire e riconsacrare al culto l’antica chiesa cristiana, convertita dai musulmani in moschea.
Il giovane era rimasto meravigliato dinanzi alla vivacità dei colori, profusi con fanciullesca intemperanza sulla parete, sui quali predominavano il rosso, l’azzurro, il verde e il giallo.
Ma la sua attenzione fu attratta da un guerriero, il cui scudo portava per arma tre monti d’argento in campo rosso.
- Non è quello lo stemma dei Chiaramonte, maestro? – domandò vivamente.
- Appunto. Come lo sai?


Luigi Natoli: Il paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1400.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1921
Pagine 726 - Prezzo di copertina € 23,00
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