mercoledì 9 ottobre 2019

Luigi Natoli: Mastro Bertuchello. Tratto da: Latini e Catalani vol. 1


L’ometto era piccolo, magro, coi capelli neri, che gli scappavano a lunghe ciocche sul collo da sotto la cuffia. Il suo volto lungo con un muso di faina, raso, aveva un’età indefinibile. Gli si potevano dare venti o quarant’anni. Dal naso al mento, pei solchi che si affondavano sulle guance, per la piega amara e beffarda delle labbra aveva quarant’anni; ma gli occhi grandi, vivaci, che ridevano anche quando la bocca pareva più amara, eran quelli di un giovane a venti anni.
La sua cuffia di velluto nero, qua e là spelato, teneva buona compagnia alla zimarra, che aveva ai gomiti e sul petto una lucidità, indizio di una età venerabile e di un lungo servizio; e alle sfilacciature e a qualche strappo mal rammendato rivelava le condizioni economiche dell’ometto, non molto prospere, in vero. Ma eran cose alle quali egli non badava: pareva anzi che quella povertà fosse indispensabile a quell’aria di sdegnosa fierezza che gli splendeva sulla fronte ampia e impavida. Si chiamava Mastro Bertuchello. Nessuno, neppur lui sapeva perché avesse questo nome. Era forse un soprannome? Un’ ingiuria? Da bambino lo chiamavano Bertuchello; e continuavano a chiamarlo così, ed egli stesso si sottoscriveva “Mastro Bertuchello” sebbene la sua mamma gli avesse detto che egli era stato battezzato dalla chiesa madre di Geraci, col nome di Giovanni e che a suo padre, Maso Mangialavacca, “borgese” di Geraci, era stato tramandato quel curioso nome da uno zio canonico del duomo di Cefalù.
Mastro Bertuchello era veramente giovane; aveva ventitré anni ed era venuto in Palermo da pochi mesi, dopo più d’un anno dalla catastrofe del conte suo signore. Egli era stato uno dei familiari della casa del conte. Messer Francesco lo aveva tenuto a sue spese allo studio di Bologna; e pensava forse di fargli ottenere qualche ufficio nella Curia, o di farne un notaro, dacché Bertuchello aveva dichiarato di non sentir nessuna vocazione per la chierica o pel saio. Ma la rovina del conte, la confisca dei beni, le persecuzioni, le prigionìe, i supplizi con cui furono perseguitati i congiunti, i seguaci, i familiari del nobile signore, lo balestrarono da prima a Cefalù, e da Cefalù a Palermo. A Palermo c’era per altro un lontano parente di sua madre, chierico di san Michele Arcangelo. Bertuchello andò a trovarlo: e per suo mezzo, nel novembre del 1338 ottenne dal Comune l’incarico di insegnar grammatica ai fanciulli, nella scuola di S. Domenico.
E così mastro Bertuchello, se non potè essere scriba nella Curia o notaro, diventò maestro di scuola; e vi era già da un anno.
Per altro quest’ufficio non gli spiacque. Stando allo studio di Bologna Bertuchello aveva preso amore agli studi letterari. Oltre agli studi di diritto e di teologia, ai quali era obbligato, ne faceva altri per suo conto, procurandosi libri, e copiandoseli in bella scrittura. Nella baraonda degli studenti, che convenivano in quell’Archiginnasio, da ogni parte d’Italia, ve n’erano che preferivano leggere Virgilio e Ovidio, e che scrivevano rime volgari per le loro belle, e satire latine contro i loro maestri. Tra le sbornie, i tumulti, le coltellate e le lezioni di diritto, Bertuchello acquistava così una cultura più larga e più umana; che diventava passione, di mano in mano che egli capitava qualche autore latino, e che se lo ricopiava.

Luigi Natoli: Latini e Catalani vol. 1 - Mastro Bertuchello. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1300
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg nel 1925
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