giovedì 24 ottobre 2019

Luigi Natoli: Gli ebrei costretti a lasciare Palermo. Tratto da: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue

Sotto il viceregno di Ferdinando de Acuna, giunto in Palermo il 28 febbraio 1489, avvenne un fatto memorando per tutti gli stati della monarchia. Era in Spagna e alla Corte divenuto potentissimo fra Tomaso Torquemada, domenicano, fanatico fino alla ferocia, che fisso nell’idea di purificare il cattolicesimo, aveva riformato l’Inquisizione, e creato quel terribile Istituto, che acquistò dominio su tutto il Regno e sui Sovrani stessi. Musulmani ed ebrei eran la lebbra che bisognava distruggere col fuoco. Nell’animo del Re si confusero la superstizione e la necessità di denaro, sì che cedette alle insistenze violente e minacciose del frate, il quale, pretese che il Re cacciasse gli Ebrei da tutti gli Stati. Il bando fu promulgato il 31 marzo del 1492 ed ordinava che uscissero fra tre mesi, ma lasciando denari, vasellami e ogni loro cosa, per quanto misera. I miseri tentarono ottenere la sospensione offrendo grandissima somma, ma il feroce Torquemada non volle: e il Re ubbidì. Circa settantamila ne partirono dall’Aragona: parecchie migliaia che si erano convertiti, forse in apparenza, accusati di professare occultamente la religione degli avi, furono bruciati vivi. (Luigi Natoli)

La giornata era plumbea; tutta la notte era piovuto, e le strade eran rigate da rivoletti fangosi. Le acque della Cala torbide ed agitate si orlavano di una spuma gialliccia; e le galee all’ancora si dondolavano sui fianchi. Per l’aria si sentiva l’umidore freddo della stagione, e tutte le case intorno avevano un color grigio pieno di tristezza. Il castello sorgeva sul porto, coi suoi cannoni massicci, le sue bombarde, i suoi terrapieni coperti di un’erba verde, che nell’ombra grigia di quel mattino invernale metteva una nota di gaiezza primaverile.
Il porto, a Piedigrotta e per la piazza che si estendeva innanzi al Castello, era gremito di gente. I Giudei della Giudeca di Palermo si affrettavano a partire: con loro quelli delle città interne dell’isola, venuti il giorno innanzi in Palermo per quell’esodo doloroso.
Avevano tutti il taled con la rotella rossa sulla spalla, le donne recavano il segno cucito sul petto; aggiravansi in silenzio per la spiaggia, guardandosi mestamente, guardando il mare, le galee, l’orizzonte, poi, dall’altro lato, le torri, le cupole, le case, i monti lontani. Di quando in quando giungeva una frotta di Giudei stanchi, infangati; venivano da qualche lontana Giudeca; i compagni li accoglievano in silenzio, senza muoversi dal posto; si guardavano, scotendo il capo, e ogni nuovo fratello che sopravveniva, aumentava la fierezza del dolore universale.
In disparte gli ufficiali del governo sopraintendevano all’imbarco: i soldati castigliani appoggiati alle alabarde, guardavano senza mostrar commozione alcuna; intorno, frammisti agli ebrei si aggiravano i cittadini, alcuni mossi della curiosità, altri punti da pietoso sentimento, altri dall’amicizia.
Venne l’ora. Essi non avevano robe da caricare sulle galee; il re non aveva lasciato altro a loro che le vesti che avevano indosso, e un miserabile assegno, per non gravarsi la coscienza di averli fatti morire di fame. Qualcuno recava con sé alcune masserizie, legate in un fazzoletto, e reggeva su la spalla l’involto infilato a un bastone.
Cominciarono a entrar nelle barche. Alcuni vinti dall’emozione sentivano empirsi gli occhi di lacrime, e romper in singhiozzi il petto; altri nascondevano la faccia tra le mani; pochi conservavano una certa fierezza, celavano l’ambascia dell’anima. Oh come erano dolorosi gli addii; e come lunghi i baci, e intense le strette di mano!... Essi salutavano i cittadini cristiani, e in quel punto dimenticavansi gli odii religiosi, le differenze di razza, e si abbandonavano al dolore profondo della sventura, che colpiva coloro che per quattordici secoli erano vissuti insieme.
- Perché non vi fate cristiano e non rimanete con noi? – chiedeva qualcuno.
Il Giudeo levava alteramente il capo, e il volto lacrimoso prendeva subito una espressione di fiera rassegnazione.
- Tradire i miei fratelli, la mia fede?
- Ma altri l’han fatto...
- Peggio per loro! Dio li sperderà!...


Luigi Natoli: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue. Raccolta di storie e leggende, nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Pedone-Lauriel nel 1892 con il titolo "Storie e Leggende"
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