giovedì 18 luglio 2019

Luigi Natoli: Suruzza! Una nota sulla traduzione a cura di Francesco Zaffuto.

Le quattro opere teatrali di Luigi Natoli in siciliano, trovate negli archivi, e venute alla luce  grazie al paziente lavoro di ricerca degli editori I Buoni Cugini di Palermo, sono di grande preziosità anche per l’uso fatto dal Natoli del siciliano. È un siciliano della fine ottocento parlato ancora abbondantemente a Palermo, e che Natoli ben padroneggiava come lingua madre. L’autore lo volle esprimere in tutta la sua forza espressiva e spesso curò nel dialogo l’inserimento di particolari modi di dire, proverbi e motti in uso.
Le opere teatrali in siciliano sono quattro:
due drammi, “Suruzza” e  “L’umbra chi luci”
e due commedie, “Quattru cani supra un ossu” e “L’Abate Lanza”.
Nei due drammi anche le indicazioni di scena sono scritte in siciliano, nelle due commedie il siciliano è usato solo nei dialoghi.
Il dramma “Suruzza” è ambientato in un paesino della Sicilia nel periodo post unitario, dove erano ormai lontani gli ideali risorgimentali ed avanzava uno strato sociale di avventurieri senza scrupoli, collusi con ambienti malavitosi e appoggiati da rappresentanti di istituzioni e da politici conniventi. Contro quella cornice diabolica e contro gli esponenti  corrotti si poteva  lottare, e l’invito ad una lotta coraggiosa fatta da Natoli era esplicito, ed era  possibile anche una vittoria. E vale anche per i nostri giorni. La cosa più crudele però resta la sorte, una sorte maledetta che a volte distrugge  i deboli e gli innocenti;  e Carmela, la giovane sorella del protagonista Giovannino (Suruzza) è la vittima di questa sorte e  il centro di questo dramma.
Nell’altro dramma “L’umbra chi Luci”, il nodo è il ritorno dei reduci dalla prima guerra mondiale. Su questo conflitto Luigi Natoli arrivò a scrivere uno dei suoi romanzi più poderosi “Alla guerra!”; e non fu solo un osservatore esterno di questa tragedia, ma ne venne colpito profondamente negli affetti.
In “L’umbra chi luci”, ambientato in un paesino siciliano, c’è chi torna orrendamente mutilato, c’è il racconto delle azioni e dei morti, ci sono quelli in attesa di partire, e tra questi ultimi c’è chi intende disertare. Il centro del dramma è l’infedeltà coniugale di Agata, moglie di Filippo Montoro, un reduce cieco di guerra; la donna, pur volendo tornare ad essere fedele al marito e dedicarsi alla sua cura, è ostacolata dal suo ex amante. In questo dramma Natoli accentua al massimo la dicotomia tra giusto ed ingiusto e pone nell’ingiusto chi non voleva sacrificarsi alla Patria.
  Nelle due commedie invece si rivela un Natoli insolito, pieno di spunti ironici e divertenti.
In “Quattro cani supra un ossu”, il commediografo palermitano costruisce, in un ambiente della vecchia Palermo, un insieme di personaggi tutti tesi ad approfittare di un ricco vecchietto che vuole testardamente restare arzillo. C’è chi vuole prosciugare le sue ricchezze dandogli in sposa la giovane figlia, e c’è chi ne vuole approfittare minacciandolo con le possibili punizioni dell’inferno. Il vecchietto  ondeggia, ma nel rondò finale vincerà, con uno Sciatara!, lo stato di fatto.
Dove Natoli esprime al massimo tutta la potenza del siciliano come lingua è “L’Abate Lanza”, in cui regna l’intreccio tipico della commedia degli equivoci;  l’eroe questa volta è un eroe negativo, ed è inusuale per il mondo narrativo di Natoli. Il protagonista Ottavio Lanza, seduttore di nobildonne, suore e villane, è ben chiaro nello spiegare la motivazione del suo comportamento; e lo fa subito nel primo atto. Poi nel corso della commedia si stenta a credere all’artifizio del suo gioco, che si combina sempre in suo favore. La commedia, ambientata in una Palermo del 1747, ci presenta uno stuolo di nobili che parlano un siciliano di alto livello, e villani che parlano un siciliano popolare; e il tutto nella cornice di un mondo settecentesco, decadente e pieno di vizi e ipocrisie. Il finale dell’Abate Lanza è rutilante e degno della migliore vaudeville. 
 Per incarico de I Buoni Cugini Editori, ho provveduto a tradurre in italiano queste quattro opere di Natoli, per permetterne la fruizione a chi il siciliano non lo conosce, ed anche ai tanti siciliani che della loro lingua ormai conoscono ben poco. Ho cercato il più possibile di essere aderente al testo e spesso ho lasciato la stessa costruzione delle frasi tipiche del siciliano.
Un’ultima considerazione sul dialetto che usa Natoli in queste opere. Si tratta sempre di un dialetto siciliano, ma piuttosto vario. Infatti ne L’abate Lanza usa un dialetto piuttosto colto e vario a seconda dei personaggi, mentre in Quattru cani supra un ossu, è piuttosto popolare e attinente a quello palermitano. In Suruzza e L’umbra chi luci identifichiamo un dialetto “paesano”. Infatti, più volte l’autore parla di “sceni paisani”
Spero che questa traduzione possa invogliare tanti lettori a cimentarsi nella lettura della versione originale.
 
Luigi Natoli: Suruzza! Raccolta delle opere teatrali inedite in dialetto siciliano, con testo in italiano a fronte a cura di Francesco Zaffuto. 
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