mercoledì 10 ottobre 2018

Luigi Natoli: Sogno d'amore al Castello di Calattubo. Tratto da: Squarcialupo

O come scorrevano dolci i giorni nel castello di Calattubo, che pareva remoto ed estraneo a quanto accadeva nel regno! Tristano e Aldonza vivevano come in un sogno; la felicità che era sembrata loro così lontana, della quale anzi disperavano, era venuta improvvisamente inaspettata, e li aveva abbagliati e inebriati. Il mondo che pur viveva intorno a loro, pareva avvolto in una nube impenetrabile che lo nascondeva ai loro occhi. Non ne avevano nessuna sensazione.
Il signor Giovan Paolo pareva che un incantesimo l’avesse mutato; era diventato ciarliero e irrequieto come un fanciullo: andava, veniva, si prendeva cura di ogni cosa, faceva ripulire il castello, diceva che bisognava abbellirlo, disegnava con la parola e col gesto i mutamenti che voleva introdurvi; avrebbe chiamato l’architetto di Roma, quello stesso che aveva curato la fabbrica della chiesa dell’Annunziata; pensava di andare a Messina e a Catania per acquistare certa seta, da rinnovare padiglioni e tappezzerie. Anche il borgo voleva migliorare. Quelle povere case dei villani, di rozza pietra e di fango, voleva che fossero migliorate, intonacate di dentro e coi soffitti di tavole; e voleva dotare il borgo di una fontana. La chiesa, poi! dal momento che Aldonza vi aveva celebrate le nozze, la chiesa erasi nobilitata, e bisognava che portasse il segno della sua nobiltà: ordinerebbe a mastro Antonio di Domenico Gagini una statua della Madonna, da ornarne l’altare. E non si arrestava a questo ma voleva dotarla di altri paramenti. Quanto ai suoi figli, parlava di acquistar altre terre, per lasciare un patrimonio più vistoso al nipote che egli ora aspettava.
Il nipote! Ecco il pensiero fisso che dominava e guidava ora la vita del già testardo e intrattabile barone; e gli inteneriva il cuore: il nipote, una nuova generazione, sangue di sua figlia, che era sangue suo. Lo aspettava con impazienza; e doveva essere un maschio, che doveva chiamarsi Giovan Paolo, come lui. E l’avrebbe educato lui: cavallo, spada, balestra, anche l’archibugio, un giovane forte, valente, coraggioso. Precorreva i tempi; e in questa aspettazione puerile, colmava di tenere premure la figlia, ed abbondava di manifestazioni di simpatia Tristano, del quale non era più geloso. Non poteva però dire di amarlo. Ancora no, non lo amava; ma ne aveva cura, lo trattava con riguardo, lo carezzava, perché era proprio lui che doveva fargli avere il piccolo erede. Era necessario. Il signor Giovan Paolo aspettava che gli annunciasse il grande evento; e ogni mattina lo guardava negli occhi per leggergli la notizia.
Aldonza era felice; e quel che aumentava la sua felicità era il mutamento radicale avvenuto nel padre. Abituata a vederlo sempre burbero, nero, ostinato nelle sue idee, geloso di tutto e di tutti, ora a quella trasformazione si stupiva; ma nel tempo stesso si sentiva l’animo pieno di gioia. Tra l’amore del padre e quello di Tristano, che cosa poteva desiderare di più?
Chi però qualche volta vedeva una nube offuscargli la felicità era Tristano.
Gli rincresceva quella vita a carico del suocero, che non gli permetteva nessuna spesa; gli pareva come un viver da parassita, e gli toglieva una certa libertà di disporre secondo la sua volontà. Egli occupava parte delle sue giornate alla caccia, che allora in quei boschi abbondava: e vi conduceva talvolta Aldonza, che a errare pei boschi, a cavallo, armata anch’essa, provava una grande gioia. Una volta li accompagnò anche il signor Giovan Paolo.
Erano, oltre i servi, i soli compagni. Giovan Luca era partito, e aveva condotto con sé mastro Piededipapera. Giovan Luca non poteva relegarsi in quel castello; aveva la mente piena di idee, alcune delle quali confidate a Tristano. Egli non poteva acquetarsi all’idea che quel movimento da lui immaginato come l’inizio della liberazione dell’isola, fosse finito con la cacciata del vicerè Moncada; e che nobili e plebei si fossero così pacificamente sottomessi al luogotenente duca di Monteleone, più temibile di quello perché il Moncada era violento e non celava i suoi atti; il duca invece mostrava un viso benigno e modi concilianti, che celavano l’insidia. E avrebbe stretto più solidamente le catene della servitù. Non era venuto per governare con giustizia, e sanare le piaghe aperte dal vicerè Moncada, ma per fare le vendette del re, e opprimere il regno. No; egli, Giovan Luca, non poteva restarsene inoperoso.
Quanto a Piededipapera aveva dichiarato che non si poteva vedere fra quei villani, che non avevano scarpe da rattoppare, perché portavano “zampitti”. Egli era nato cittadino, avvezzo a camminare nelle vie lastricate o acciottolate di Palermo, tra i bei palazzi, le belle chiese, i mercati; tra le processioni e gli spettacoli. Dov’era a Calattubo il Senato coi suoi contestabili, i mazzieri, i musici? Dov’era l’arcivescovo con la sua corte? E il vicerè col consiglio, con la Magna Curia, il Patrimonio? E le cavalcate dei cavalieri, e la fiera di Santa Cristina, che sarebbe caduta fra mesi o poco meno? E il mare? Dov’era il mare? No, no; egli fuori della sua città era un pesce fuor d’acqua!...
E così, Giovan Luca e mastro Iacopo se n’erano andati: e la loro partenza aveva lasciato più solo e più silenzioso il castello. Ma quando Tristano sentendo questa solitudine, diventava malinconico, le braccia di Aldonza lo cingevano ed egli allora dimenticava tutto, e riviveva nel suo sogno d’amore. 


Luigi Natoli: Squarcialupo. 
Nella versione originale pubblicata per la prima ed unica volta a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924. Raccolto in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori. 
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 


Nessun commento:

Posta un commento