Io volli aprire nei primi dell’anno 1782 una loggia
egiziana, in tutta la pompa dei simboli, e operare con la “colomba”, per
guadagnare – ora che lo potevo – al mio rito tutti i Liberi Muratori di
Strasburgo.
Quella seduta rimase celebre, e qualche gazzettiere,
pur esagerando un poco, ne lasciò memoria.
Feci illuminare la sala con candele preparate da me,
che diffondevano e alternavano luci diverse, e producevano delle illusioni
ottiche: in fondo alla sala feci porre un paravento, e dinanzi a esso il
tavolino d’ebano nero. Scelsi poi alcuni fanciulli e alcune fanciulle fra i
sette e gli otto anni, che vestiti di bianco e profumati dovevano essere le
“colombe”.
Quando la sala fu piena di liberi muratori e di dame
affiliate anch’esse, io mi vestii delle insegne che avevo immaginato e fatto
eseguire. Tunica di seta nera ornata di geroglifici rossi; cuffia egiziana, con
le bande pieghettate di tela d’oro, fermata su la fronte da un cerchio d’oro
tempestato di gemme. Un cordone verde smeraldo, seminato di scarabei e di
caratteri dipinti di metallo cesellato, scendeva sul petto. Dalla cintura di
seta rossa pendeva una larga spada da cavaliere, con l’elsa a forma di croce.
Sotto queste vesti avevo un aspetto venerabile e
imponente, e il mio sguardo appariva così terribilmente maestoso, che al mio
ingresso corse per tutte le vene un fremito, e si fece un silenzio profondo e
religioso.
Due dei miei valletti, vestiti da schiavi egiziani,
come sono rappresentati nelle sculture di Tebe, si posero accanto al tavolino
d’ebano.
Questo apparato potrebbe sembrarvi in contraddizione
coi miei principi di rigenerazione fisica e morale; ma io so per esperienza che
niente agisce con così pronta efficacia e con tanta persuasione sulle anime,
quanto uno spettacolo straordinario ed illusivo. Gran parte della sua efficacia
la chiesa deve appunto alla magnificenza dei suoi riti.
Io vidi che gli spiriti di disponevano già allo
straordinario.
Lione
fu la città dove io diedi veramente un vigoroso impulso alla massoneria
egiziana, e dove gittai le basi per coordinare le varie logge che avevo fondato
qua e là, in una grande famiglia; e mettere il mio rito sopra qualunque altro.
Le
esperienze compiute qua e là, la forza che io possedevo, l’ascendente che
esercitavo, gli stessi errori commessi e dai quali avevo preso insegnamento,
tutto ciò mi affidava, ed io vedevo già in via di avverarsi il mio sogno di
dominio.
Essere
il capo, il condottiero, il profeta, l’agitatore di un vasto e forte esercito
reclutato fra le classi più possenti per ricchezza, stato, sapere; poter
muovere questo esercito a mio talento, con un sol cenno; non è forse questa una
bella e magnifica ambizione per uno spirito intraprendente, capace di compiere
grandi cose?
Non
mi sarei occupato di massoneria, se non mi ci avessero spinto il Balì signor de
Loras, l’ambasciatore di Torino e monsieur de Nean incaricato d’affari di
Francia; che mi conoscevano per fama.
Istigato
da costoro apersi e inaugurai una loggia di rito egiziano; ma ciò non valse a
trattenermi. Napoli non mi attirava. Avevo preso gusto alla vita più libera e
più progredita delle grandi città della Germania, Francia, dell’Inghilterra, e
l’aspetto dei lazzari seminudi e le immondizie accumulate nelle vie mi ripugnavano.
Fu
questa la ragione per la quale non tornai in Spagna. Troppa miseria, troppa
superstizione, molto ozio, nessuno spirito di novità.
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