Esso sorgeva nel Toledo,
dirimpetto la piazza Bologni; passato poi ai principi di Pandolfina, fu da
questi venduto al barone Riso, ed oggi è inteso con questo nome. Il Marvuglia
ne cancellò le vecchie forme, che si possono vedere in una stampa del 1736, e
gli diede quelle neo-classiche che conserva tuttavia.
Quando Fabrizio vi giunse
non era l’ora consueta delle conversazioni. Esse cominciavano molto tardi e si
protraevano fino alle prime ore mattutine. Ma Fabrizio andava semplicemente a
partecipare al principe l’esito del duello, come aveva promesso, e poteva ben
presentarsi a quell’ora indebita. Il principe lo accolse con un viso lieto, e
le mani stese, dicendo:
- Non ho bisogno di
domandarvi come è andata, dal momento che vi vedo sano e salvo. Vi ringrazio
della vostra premura, che mi ha tolto da una grande preoccupazione. Roccasparta
gode reputazione di buon schermitore.
Francesco Ventimiglia era uno dei maggiori patrizi
di Palermo, che fra non molto avrebbe avuto una pagina principale nella storia
della Sicilia; era ritornato la notte innanzi da Napoli.
In casa Belmonte si
giocava forte, e a dispetto dei bandi si giocavano i giuochi proibiti, come in
tutte le case nobili. Il principe era stato un giocatore perduto, e aveva
subito non poche e non lievi perdite: i viaggi, facendogli nascere l’amore per
gli studi sociali, e il matrimonio avevano temperato la sua passione: pure di
tanto in tanto cedeva alla tentazione di buttare un mucchio d’oro su una carta.
Poco dopo il servitore
venne ad annunziare che sua eccellenza era lieta di conoscere il cavaliere. La
principessa era in un suo salottino tappezzato di stoffa azzurrina fra riquadrature
di legno bianco filettato d’oro, con un fregio bianco sparso di ghirlandette e
festoni dorati.
- Mia cara – disse il
principe – vi presento il cavaliere di Torralba, che qualche ora fa ha regalato
due colpi di spada a quel Roccasparta che a Napoli faceva paura ai giovani
cavalieri.
La principessa sorrise e
porse la mano al giovane, che la baciò commosso, come se quel sorriso fosse
stato il premio della sua vittoria.
- Spero, – gli disse la
principessa con uno spiccato accento francese, – che vi vedrò nel mio
circolo...
- Oh signora, – esclamò il
giovane con uno slancio lirico, – mi parrà di trovarmi nel tempio di una dea.
Carlotta di Belmonte era figlia di un Ventimille di Francia, morto
cavaliere d’onore della contessa d’Artois. Il principe di Belmonte nei suoi
viaggi per l’Europa la conobbe a Parigi, nei primi anni della rivoluzione, e la
sposò. Fu un matrimonio d’amore. Ma avvenuta la catastrofe della monarchia, e
cominciate le stragi del 1792, gli sposi, con la contessa di Verac, sorella di
Carlotta, scampati per miracolo alla ghigliottina, attraversata la Francia fra
mille pericoli, se ne vennero in Italia. Uno scrittore contemporaneo che la
conobbe, e dal quale attingiamo questi particolari e molti aneddoti storici che
si troveranno nel corso di questo romanzo, dice di non aver mai conosciuto una
donna più amabile, un cuore migliore, uno spirito animatore più del suo. Amica
intima di Maria Carolina era il rovescio di lady Hamilton. “Questa consigliava
il male e i massacri, e, quel che è peggio, vi spingeva un personaggio di tanto
merito, come lord Nelson;... la principessa pure sposando come suoi
gl’interessi della regina, le consigliava il bene e l’indulgenza”.
La principessa Carlotta
volle sapere, se non era la sua una indiscrezione, il perché del duello, e come
era proceduto: e Fabrizio raccontò la verità, un po’ festevolmente, pieno della
gioia di narrare una sua prodezza a una bella dama che pareva se ne
interessasse. E nel racconto dei colpi dati e scansati v’era una spensieratezza
un po’ spavalda e così perfettamente giovanile che la principessa ne sorrideva.
Fabrizio lasciò il palazzo
Belmonte incantato dall’accoglienza ricevuta e della conoscenza di quella dama;
e tra sé pensava in che modo avrebbe potuto frequentare il suo circolo, se a
due ore di notte doveva trovarsi a casa. Ahimè, egli aveva accolto con
entusiasmo l’invito, senza pensare a suo padre: l’ingresso nel tempio della dea
gli era sbarrato da un mostro irremovibile e spaventevole, che aveva il volto
arcigno e duro del conte di Torralba! E pure, dopo aver avuto un duello, egli
meritava una maggiore considerazione; doveva essere ritenuto come un uomo;
emancipato dall’aio, padrone di sé, libero di andare dove voleva. Così pensava.
E un’altra cosa pensava: che probabilmente, anzi certamente in casa della
principessa, avrebbe incontrato la sua bella incognita, l’immagine della quale
gli stava fitta nel cuore. Ah quale tirannia non esercitava suo padre sovra i
suoi cadetti, e come appariva odiosa a Fabrizio, e quali spiriti di ribellione
gli agitava nell’animo!
“Quel principe di Belmonte
gode di una grande popolarità; specialmente da quando ha fatto elevare
l’Accademia degli studi al grado di Università”.
Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba.
Pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 1 febbraio 1926 e raccolto in unico volume ad opera della casa editrice I Buoni Cugini editori.
Pagine 460 - prezzo di copertina € 24,00
Disponibile in libreria e in tutti i siti di vendita online.
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Nessun commento:
Posta un commento