Gli toccherebbe qualche
decina di nerbate? Queste era risoluto a non farsele dare. Intanto aveva fame.
Era solito ogni mattina mangiare dei crostini di pane abbrustolito bagnati nel
caffè: certo non poteva pretendere che gli preparassero i crostini: ma il caffè,
santo Iddio! Lo pretendeva. Se il suo signor padre aveva il gusto di tenerlo
chiuso, ebbene, pagasse le spese del trattamento! Si avvicinò alla porta per
picchiare; ma proprio in quel momento essa si aprì, e Fabrizio vide presentarsi
due ceffi, due di quei facchini carcerieri – che con un sorriso sguaiato gli
dissero:
- Il padre Geronimo la
desidera.
Fabrizio intuì che lo
aspettava il nerbo. Si piantò sulla soglia vigilando, e rispose:
- Andate a dirgli che a
momenti andrò a trovarlo.
L’atteggiamento risoluto,
e la vigorìa che si rivelava nel gesto, stupirono i due manigoldi, che si
guardarono, e poi guardarono Fabrizio, che li vigilava, temendo che quelli lo
assalissero di sorpresa: e non s’ingannò. Improvvisamente quelli balzarono
nella stanzetta: la sedia piombò con la stessa velocità, uno dei manigoldi
mandò un urlo e barcollò con la fronte inondata di sangue; l’altro non aspettò
il colpo e fuggì. Fabrizio richiuse la porta, ma si accorse che non c’era
catenaccio o altro serrame interno. Allora pensò di sbarrare l’ingresso
trascinandovi il tavolino per traverso, e dietro il tavolino, il letto. L’urlo
intanto aveva fatto accorrere gli altri prigionieri, tutti giovani, ai quali
non pareva vero che un recluso aveva rotta la testa a uno degli accoliti di
padre Geronimo.
Il quale giunse, seguito
dall’altro manigoldo. Era furibondo e brandiva ferocemente il nerbo. Aprì
violentemente la porta, e vista la barricata, si fermò stupito. Dietro di essa
stava Fabrizio, che sfasciata la sedia s’era armato di uno dei piedi più
lunghi, e stava in atto di difesa.
- Che cos’è questo? – urlò
il frate respingendo la barricata.
- È – rispose Fabrizio –
che qui non entrerà nessuno. Se vostra reverenza vuol parlarmi, lo faccia di
costì e dopo che avrà mandato via quel brigante!...
- Chi siete voi per
comandare qui dentro? Qui comando io!...
- Lei comandi pure; ma
nerbate a me non me ne darà. Mandi a dirlo al mio signor padre. Con me,
reverendo mio, non si scherza.
Quel linguaggio nuovo e
risoluto, l’energia che traluceva negli occhi e gonfiava la salda muscolatura
di Fabrizio, se stupivano e aumentavano maggiormente la collera del frate,
suscitavano fra i giovani un mormorio di gioia, preludio forse a una sollevazione
generale che non attendeva se non una spinta. Padre Geronimo lo intese, capì
che ce ne andava di mezzo la sua autorità, e che per mantenere il suo prestigio
doveva domare subito quel ribelle…
Il padre Geronimo scaraventò un calcio sul
tavolino, e lo respinse con tale violenza, che anche il letto indietreggiò. Il
carceriere vergognandosi e credendosi difeso dal frate, tentò di respingere
ancora la debole e informe barricata; ma la mazza di Fabrizio gli piombò sulle
mani; e il malcapitato mandò uno strido che non parve umano, e se ne fuggì,
invocando:
- Mamma mia! mamma mia!...
Padre Geronimo perse il
lume degli occhi, con un balzo rovesciò l’ostacolo, parò col braccio muscoloso
il colpo di Fabrizio, e alla sua volta menò una grande nerbata. Non potendo il
giovine scansarla con un salto, per la strettezza dello spazio, la rese fiacca
e vana, cacciandosi sotto, e abbrancandosi al corpulento frate. E allora la lotta
prese un altro aspetto. Il frate più robusto, più grande, più pesante, non
potendo adoperare il nerbo, rovesciò Fabrizio, tempestandolo di pugni; ma
Fabrizio gli si appese alla lunga barba, e a ogni pugno dava uno strattone che
al frate faceva vedere le stelle in pieno giorno:
- Ah figlio di satanasso!
Ah canaglia – urlava disperato; aveva le guance e il mento pieni di sangue, e
dovette cedere. Si alzò ansante, tastandosi le guance, fremendo, bestemmiando.
Anche Fabrizio si rizzò: era pesto, ma per orgoglio, con uno sforzo di volontà
non mostrò alcuna debolezza; raccattò la mazza che gli era caduta, e minacciò
il frate:
- Senti, padre Geronimo,
tu hai visto con chi hai da fare: puoi dunque lasciare da parte il tuo nerbo,
se non vuoi che io ti metta in rivoluzione tutta la casa. Se sei ragionevole,
potremo intenderci; e sarà meglio per te...
- Io ti mando alla Vicaria!
Luigi Natoli: I mille e un duelli del bel Torralba.
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