lunedì 23 luglio 2018

Luigi Natoli: La rivolta diventa sommossa. - Allo Steri! Allo Steri! - Tratto da: Squarcialupo.


Lo Steri sorgeva lì a pochi passi con la sua massa bruna, le sue belle trifore, le sue decorazioni bicromatiche; e torreggiava nel cielo serotino, sopra le case basse e sparse in giro della vasta piazza. Della gente, curiosi i più, si accodò a quel manipolo, che correva verso lo Steri; la porta del quale, che non era dove è oggi, ma dalla parte che guarda lo spiazzo della Dogana, era serrata. I congiurati cominciarono a gridare: 
- A morte i traditori!
Ma le grida si perdevano nello spazio: alcuni picchiavano fortemente al portone, vi tiravano dei sassi; intanto altra gente accorreva, per la voce che di quel tumulto s’andava diffondendo per la città; e ciò, alimentando le speranze dei congiurati, aumentava i loro sforzi. Allora a una finestra si affacciò il duca di Monteleone, pallido e pauroso. 
- Signori miei...
Il clamore delle voci gli mozzò la parola:
- Vogliamo i traditori! Vogliamo quelli che han fatto morire i Conti! – Non vogliamo vostre chiacchiere...
Il duca accennava con le mani che lo ascoltassero. 
Questo interesse pei conti di Golisano e di Cammarata non era che una trovata per eccitare il popolo che s’andava raccogliendo e che riteneva i due conti come i suoi difensori. Esso non capiva nulla della politica, o la concepiva sotto l’aspetto della diminuzione dei balzelli, del pane a buon mercato e di peso; cose che la cacciata di don Ugo, della quale il conte di Golisano era stato il protagonista, aveva ottenuto; e che dal luogotenente duca di Monteleone gli erano stati ritolti, con l’aggravante dei castighi crudeli, o piuttosto delle vendette che le anime dannate di don Ugo esercitavano largamente e quasi con voluttà. 
E quell’affermazione che il conte di Golisano fosse stato assassinato non mancava dal produrre una effervescenza, dall’eccitare una reazione, dal suscitare un mormorio minaccioso. Qualche grido uscì dalla folla, e fu il colpo di sprone; quelli che erano accorsi per curiosità di spettatori, si tramutarono in attori: 
- Morte ai traditori dei Conti!... Morte!...
Il duca di Monteleone vide il pericolo accrescersi; e siccome qualche sasso volò contro la finestra, si ritrasse per paura d’essere colpito. 
A un tratto squilla alla vicina chiesa della Gancia un tocco. L’avemaria? La gente si scopre per recitare la salutazione angelica: ma a quel tocco ne seguono altri più violenti; e la chiesa della Catena, e la chiesa di san Nicolò della Kalsa, rispondono: e poi altre chiese più lontane. E sulla città passa come un rombo di tempesta lontana. Campane a stormo! Il popolo esce dalle case: gli uomini si armarono; un invito corre di bocca in bocca: 
- Allo Steri! Allo Steri!
L’ombra notturna che già era calata si rompe alle finestre fumose delle torce, che illuminano a sprazzi biechi profili di gente che ha una rivincita da prendere, una vendetta da esercitare. Il tumulto si tramutava in sommossa. Giovan Luca guardò la folla che veniva armata da ogni parte e se ne compiacque.
E già intorno allo Steri ondeggiava ora una folla, che pareva cozzasse contro le mura incrollabili, come i marosi contro gli scogli. Alcuni preso un trave, se ne servivano come di ariete di guerra, e cozzavano contro la porta per sfondarla; e ai colpi sonori si mescolavano gli urli e la minaccia. I di Benedetto, Girolamo Fàssaro, Iacopo Girgenti aizzavano la folla: i più feroci propositi esaltavano gli animi dinanzi alla resistenza della porta. Finalmente essa cedette, e un grand’urlo di trionfo ne salutò lo spalancarsi fragoroso: un torrente furioso si rovesciò nel varco; pareva che tutti avessero fretta di entrare; ognuno cercava di oltrepassare l’altro, per arrivar primo, i portici, la scala s’empirono; tutto il palazzo pareva tremare e gridare. Dov’erano i giudici? Dov’era il luogotenente? Li volevano nelle mani Nicola Cannarella, Tommaso Paternò, Gerardo Bonanno, Priamo Cavozzi, il conte di Adernò, don Giovanni de Luna, Blasco Lanza... tutti odiati mortalmente, perché partigiani di don Ugo, perché si ernao sfogati in rappresaglie e vendette, sotto la protezione del duca di Monteleone, che li secondava. Li cercavano per tutto il palazzo. In uno stanzino appartato scovarono il duca. 
- Eccone uno!... Abbiamo preso don Ettore!...
Egli non offrì nessuna resistenza; si lasciò spingere, trascinare fra le minacce, pallido e tremante. Gli gridavano intorno che era un assassino, che proprio lui aveva scritto al re per far uccidere i conti; che aveva ordinato ai giudici di essere feroci contro la povera gente, che voleva opprimere e distruggere il popolo coi balzelli. Qualcuno gli metteva i pugni sotto il viso: qualche altro gli faceva balenare dinanzi agli occhi la lama di un coltellaccio. Egli vedeva già prossima l’ultima sua ora, e recitava mentalmente le sue orazioni per raccomandar l’anima a Dio. Ma un clamore più alto e uno spettacolo più miserando fermò coloro che lo spingevano: da un’altra sala veniva una folla imbestialita che trascinava due uomini insanguinati: erano i giudici Cannarella e Paternò; li avevano scovati nascosti in una stanza degli uffici, dietro gli scaffali; li avevano tempestati di colpi; una voce aveva gridato: 
- Dalla finestra! Bisogna buttarli dalla finestra!...
E l’orrenda proposta era stata accolta con entusiasmo. Ora li trascinavano al nuovo supplizio; ma quei due non davan segno di coscienza; grondanti di sangue dalle ferite, col capo chino e dondolante sul petto, sarebbero sembrati morti, se un lamentarsi rantoloso con avesse rivelato che vivevano ancora. Nessuno si oppose a quell’atto di inutile crudeltà; e i due corpi furono spinti fuori. Un urlo di trionfo accolse la loro caduta.   
La folla ubriacata dal sangue, corse altrove. Bisognava trovare gli altri giudici, due vittime sole non bastavano: dov’era Gerardo Bonanno? Qualcuno si accorse di un uomo che cercava di appiattarsi, lo rincorse: 
- È Bonanno! – gridò. 
- Bonanno! – È preso! È preso! – ripetè la folla precipitandosi. Il malcapitato s’era travestito per non essere riconosciuto, ma non gli valse: una mazzata gli ruppe il cranio, e lo abbattè. Allora un uomo gli si precipitò addosso, gli fregò le vesti, lo mutilò; e alzando quel miserabile trofeo di carne sanguinante, gridò al cadavere: 
- Va’ ora a disonorare le povere figlie nostre! 

Cercavano, invano, Blasco Lanza, Giovanni de Luna e Priamo Capozzo. Giovanni de Luna, all’avvicinarsi della procella, non aveva voluto lasciarsi prendere in gabbia: era fuggito dallo Steri, a cavallo, e varcata la Porta dei Greci, s’era messo in salvo. Il conte di Adernò s’era allontanato qualche giorno prima; Blasco Lanza era scappato appena saputo che i congiurati erano nella chiesa della Catena. Il popolo gli attribuiva la più parte dei mali, se non tutti, lui consigliere di don Ugo; lui difensore di lui, e accusatore dei conti; lui suggeritore del duca di Monteleone. Frugarono tutto lo Steri, senza trovarlo.
- Deve essere andato a nascondersi a san Domenico!...
Nella chiesa di san Domenico c’era la sepoltura dei Lanza: la folla vi si recò in furia: invase la chiesa e il convento; cercò nella sepoltura: non vi trovò Blasco, ma vi trovò il suo tesoro.
Egli ve lo aveva nascosto fin da quando don Ugo fu cacciato, temendo che il popolo gli saccheggiasse la casa; e credeva di averlo salvato. La folla si gittò su quella ricchezza, avida e selvaggia, contendendosi denari e argenterie a pugni, a morsi, a coltellate. Chi aveva potuto cacciarsi nel potto qualche cosa, fendeva violentemente la calca e fuggiva; ma qualcuno era inseguito, raggiunto da tre, quattro, che lo assalivano come cani rabbiosamente affamati. Per la chiesa, pel chiostro, fuori si moltiplicavano queste lotte spesso per la miserabile preda di una moneta d’argento. In pochi minuti del tesoro non rimase più nulla: ma quelli che non avevano potuto strappar nulla, pensarono che c’era da rivalersi sulla casa.
- Andiamo a casa di Blasco!...
Un urlo accolse la proposta: quella fiumana di gente si riversò impetuosamente nella strada: correvano tutti a gara, per arrivar prima al saccheggio. Sfondata la porta del palazzo, l’onda barbarica ubriacata invase le stanze. Tutto fu strappato, spezzato, portato via, buttato sulla strada; la magnifica biblioteca ereditata in gran parte da Leonardo di Bartolomeo, ricca di codici, e ce n’erano anche di Dante e del Petrarca, parve a quei vandali non contenesse che quella dottrina male adoperata da Blasco a vantaggio dello straniero; e accumulati i libri vi diedero fuoco. Poi, quando videro le fiamme apprendersi alla casa, se ne andarono: e uccisero Priamo Capozzo, e diedero fuoco al palazzo del conte di Adernò: e i rossi bagliori degli incendi illuminarono quella notte di stragi…

Luigi Natoli: Squarcialupo. Per la prima volta in unico libro nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 02 febbraio 1924. 
Pagine 684 - Prezzo di copertina € 24,00
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