Martino, duca di Montblanc, bieco,
crudele, avido, era uno spirito politico acuto e scaltro, che pur di
raggiungere uno scopo, non si arrestava dinanzi ad alcun mezzo, per tristo che
fosse. Egli possedeva la scienza dello stato, che doveva più tardi trovare la
sua perfetta espressione in un suo conterraneo, Cesare Borgia. Aveva da lungo veduto il trono di Sicilia
quasi vuoto.
Non vi sedeva che una giovinetta, Maria,
figlia di Federico III, regina di nome, ombra di un potere che era esercitato
da quattro potenti baroni, i quali col titolo di vicari s’eran diviso il regno
di Sicilia e vi governavano da signori indipendenti: il che aveva immerso
l’isola nell’anarchia.
Ridare alla regina la sua autorità,
sottomettere il baronaggio, reintegrare il governo poteva apparire come una salvazione.
Bisognava però avere il diritto di intervenire. Guglielmo Raimondo Moncada, uno dei
quattro Vicari, venuto in discordia coi colleghi, fingendo di liberare Maria
dalla soggezione in cui la teneva Artale Alagona, rapì la regina e la diede al duca
di Montblanc, che ne fece la moglie del suo giovanissimo figlio Martino: e
allora padre e figlio vennero in Sicilia con un forte esercito, e più coi
raggiri che col valore, a poco a poco sottomisero il regno; e col supplizio di
Andrea Chiaramonte nel 1392 posero fine alla indipendenza del regno e
all’anarchia baronale.
Martino il giovane fu riconosciuto re: ma
era troppo giovane per reggere il regno; e Maria, sebbene assai più matura
d’anni, era troppo semplice e troppo malata per guidarlo. Di fatto regnò il
vecchio duca, finchè la morte del re d’Aragona non lo chiamò a succedergli.
Dinanzi agli occhi del re Martino il giovane si rinnovava la visione della tragedia chiaramontana.
Egli stava col padre a una finestra dello
Steri; la piazza Marina era gremita di popolo che gli arcieri e i picchieri
catalani a stento frenavano, perché non invadesse il palco sul quale il boia, appoggiato
alla scure larga e luccicante aspettava le vittime.
Poi dalle prigioni del palazzo uscì il
corteo. I confrati col cappuccio, le guardie, il carro; e nel carro, diritti,
fieri, Andrea Chiaramonte e Antonio delle Favare suo segretario.
Il carro giunse ai piedi del palco.
Andrea Chiaramonte, sebbene avesse le braccia legate dietro le reni, balzò
svelto dal carro, senza bisogno d’aiuto, e montò la scala del palco, senza dar
segno di commozione.
Guardò il suo palazzo: i suoi occhi si
fissarono sulla finestra e cercaron gli occhi del duca e del re.
Martino sentiva ancora il lampo di quegli
occhi, che esprimevano una minaccia lontana; e ne provava un turbamento
indefinibile... - Il Paggio della regina Bianca di Luigi Natoli edito da I Buoni Cugini editori. (www.ibuonicuginieditori.it)
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