Di nome era certo che il
tavernaio lo conosceva. Ma non così di figura. Parrebbe incredibile come i diversi
quartieri della stessa città fossero estranei, quasi appartenenti a città
diverse e lontane; v’era gente del Cassaro che non era andata mai alla Loggia;
e si possono ancora trovare nell’Archivio Comunale istanze del Pretore perché
si impedisse a quelli, mettiamo,
dell’Albergheria di andare in contrada della Conceria. Per questa ragione
Geronimo, le cui gesta erano limitate nel mercato e nei dintorni, era sicuro di
non essere conosciuto di persona.
Il titolo di “signore”
lo pretendeva, perché Re della Bocceria e perché era ben voluto a corte; era,
diceva lui, amico del Vicerè.
Nella taverna di S. Domenico,
sua abituale dimora e luogo, esercitava il suo ufficio di "re". Era per così
dire la taverna regina degna di accogliere il re; non era affumicata quanto le
altre, e oltre alla prima stanza, che serviva al pubblico ne aveva una seconda,
dove Geronimo “riceveva”; imbiancata così per dire, non aveva che una tavola e
tre o quattro seggiole sudice e sbilenche. Aveva una finestra e un usciolino,
che davano in un vicoletto di quelli che s’intersecano intorno al largo che fu
detto della Lumia; usciolino strategico in caso che venisse alla polizia il
desiderio di farvi una capatina, cosa che non capitava mai.
Gli avventori che
frequentavano la taverna la mattina e la sera, appartenevano alla categoria dei
sudditi del Re della Bocceria; il tavernaio era della stessa combriccola, e
viveva di un tanto per cento sulle oneste entrate di quegli onestissimi
avventori.
Quando Geronimo era
entrato, due di quelli avevano appunto messo mano ai coltelli e si studiavano,
mentre quattro altri si erano disposti in giro per assistere al duello. Ma
all’ingresso di Geronimo i due abbassarono le armi. Geronimo li guardò un
minuto, e disse:
- Ebbene, perché non
continuate?...
La sua voce era
tagliente come un rasoio, e quei due sorrisero a denti stretti, divenendo un
po’ pallidi; poi il Giolluso disse per scusarsi:
- Scherzavamo, signor
Geronimo, scherzavamo! È vero, Facciatripposa?
- Che possa esser privo
della vista degli occhi!
- Sì, eh? Allora
prendetevi questa; – e appioppò due paia di calci a ciascuno, aggiungendo: – Un’altra
volta non vi permettete più di scherzare a quel modo.
- Le dico io la verità...
– stava per dire Nunzio lo Sbirro, ma Geronimo gli diede sulla voce.
- Zitto! mi ha
raccontato tutto Facciatripposa.
- Che vuole che le dica?
Fu per sei grani…
(Un grano era sei denari
ed equivaleva circa tre centesimi).
- … che il Gialluso
aveva riscosso in più giocando a dadi.
- E per sei grani tu,
Facciatripposa, mettevi a repentaglio la tua vita e quella del Gialluso? O
miseria! E non c’ero io per risolvere la quistione? Datemi i sei grani. Ne do
tre per uno, e fate la pace.
Cominciò poi ad
ascoltare le imprese che, avevano compiuto i presenti, e a mano a mano ne
giungevano altri che confessavano, come le cose più naturali, i delitti commessi
nella notte. Erano confidenze di furti, di ferimenti, di rapine; vi appariva
qualche omicidio; due avevano scalato il monastero di S. Vito per rapire una
suora, ma era andata male, perché le suore s’erano destate, e avevano scacciato
quei due, munendosi di molle, di spiedi, di manichi d’ombrelli e di
baldacchini.
Dopo la confessione,
deponevano nelle mani di Geronimo quello che avevano ricavato dall’impresa
compiuta, e Geronimo ne riteneva una parte per sé, e il resto lo dava
all’autore del misfatto. Poi domandò ai due fuggiti dinnanzi alle monache:
- Per chi vi eravate
impegnati?
- Pel conte di Luna.
- E vi ha dato?
- Tre scudi; e se gli
portavamo la suora, ci aveva promesso altri tre scudi.
- Siete stati due
gaglioffi a contentarvi di così poco...
Luigi Natoli
Il Capitan Terrore edito da I Buoni Cugini Editori - Unica edizione originale, integralmente tratta dal Giornale di Sicilia del 1938. - Pubblicazione Agosto 2014.
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