Al quarto piano il professore Benoist, già allievo della Scuola Normale,
ora insegnante di storia nel Liceo Carlomagno, una specie di misantropo:
giovane ancora, non brutto, anzi a guardarlo bene d’un viso regolare e
benfatto; ma barbuto, arruffato, con gli occhiali azzurrognoli e le tasche
piene di libri...
- La guerra è una cosa
scellerata; è il più grande delitto che i popoli possano commettere; è un
ritorno alla barbarie, alla violenza. Tutto il cammino lento e glorioso della
civiltà, per sostituire alla forza violenta e sanguigna delle armi, il diritto,
la legge, si arresta a un tratto: l’uomo ridiventa l’animale primitivo… Ahimè! il
torto è anche della scuola, dico scuola nel senso più largo, come educazione
degli spiriti; letteratura, arte, tradizioni, costumi, monumenti, nomi di
strade, i libri sui quali impariamo perfino i primi elementi del leggere, tutto
glorifica la guerra, esalta l’eroismo guerresco, perpetua quella ammirazione
per la bravura, che in fondo è, dirò così, una qualità inferiore dello spirito;
è una virtù comune con le bestie feroci, che anzi sono più forti e più
coraggiose dell’uomo… Non è vero? Fra il genio che distrugge centinaia di
uomini, e quello che li salva, il primo eccita più la fantasia e il sentimento;
ma perché non abbiamo ancora saputo e voluto guardare in faccia la realtà; e
perché si copre di scherno e d’ignominia il sogno nostro: non più guerra!...
non più armi! tutti fratelli!... Tutti un popolo, un gran popolo!... Ecco
perché gridai a M.r Guy quelle parole!...
Parlando, il suo volto
si colorava, i suoi occhi illuminati dall’idea, avevano un’eloquenza più
suggestiva delle parole; il suo aspetto si trasformava, come quello di un
ispirato; si abbelliva di una espressione, di un carattere.
Benoist guardava. Quanta
miseria!... e quanta abbiezione!... Era un altro quadro che la guerra gli
offriva; un quadro assai diverso dal quello che Montmartre già quartiere della
gaia scienza del piacere, gli aveva rivelato; era la fine del lavoro pacifico e
produttivo, donde scaturiva il largo fiume della ricchezza della Francia; un
cataclisma tellurico, sommergeva quella sorgente e arrestava a un tratto il
corso di quel fiume. Tutta quella gente lacera, solcata dai disagi e dalla
fame, avvilita dalla paura e dall’incertezza del domani, spinta verso l’ignoto
che riceveva un pezzo di pane per carità; era per quella che aveva fino a ieri
prodotto la ricchezza!... Le locomotive
fischiavano; pareva dicessero: “Ora vi porteremo via!” Dove? In Italia? In
Svizzera? più lontano ancora? dove?
Luigi Natoli.
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