giovedì 2 aprile 2015

Luigi Natoli: Ferrazzano. Prefazione di Rosario Palazzolo.



Nel senso che prima o poi, io, me l’aspettavo, una cosa del genere, così odiosa, che qualcuno bussasse e mi dicesse, un giorno, Senti, siccome ti stimo eccetera eccetera e allora volevo chiederti una prefazione eccetera eccetera. Ché mai io avrei scritto prefazioni, pensavo – e probabilmente mai più ne scriverò, beninteso –, neanche sotto tortura ne avrei scritte, ché non mi figuravo proprio, io, nell’atto di scrivere prefazioni, ecco, e non perché io abbia mai avuto una particolare idiosincrasia nei confronti delle prefazioni, magari solo un pochino, e pure la parola “prefazione”, ora che ci penso, non l’ho mai sentita particolarmente minacciosa, magari solo un pochino, è che sicuramente avrei dovuto scrivere bene, di quel libro lì, nella prefazione, ché mica avrei potuto scrivere ciò che pareva a me, e insomma avrei dovuto fare buon viso a cattivo gioco, come si dice, per favorire colui che mi aveva proposto una cosa del genere, ossia la prefazione, e così non avrei potuto scrivere Che schifezza di libro, signori lettori, per esempio, e Proprio non lo comprate, compratene uno di Palazzolo, mettiamo, se tenete ai vostri soldi, e perciò, nell’ipotetica prefazione, qualora il libro m’avesse dato il voltastomaco, avrei dovuto giocare di fino, inserire sotterfugi semiologici affinché i più avveduti comprendessero che Va bene il libro fa schifo ma tu certo non potevi mica dirlo, che fa schifo, d’accordo, intesi, non lo compreremo, ma poveraccio che non sei altro, dovevi non scriverla, questa prefazione, rifiutarti, visto e considerato. E insomma era un problema di libertà, il mio, il solito problema della libertà, che viene omessa, il più delle volte, per cortesia, specie quando si parla di opere letterarie, di roba fatta di parole, di arte. E perciò, io, nell’attesa che ciò capitasse, che qualcuno mi proponesse di scrivere una prefazione, pregustavo il momento in cui avrei rifiutato, il momento in cui avrei detto Mi spiace, ma io non scrivo prefazioni, è risaputo, ne scrivessi direi certamente sì. Ma poi è arrivato Ferrazzano. Ed è arrivato nel momento meno opportuno, quello in cui oramai avevo abbassato la guardia poiché Si sarà sparsa la voce che non amo scrivere prefazioni, pensavo, fra me e me, con un ottimismo che non sapevo di possedere. E in un istante – vi giuro in un istante – io ho risposto Sì, va bene, la faccio, la prefazione. Ciò è accaduto perché doveva accadere, ché maledizione le cose accadono a prescindere dalla tua volontà, certe volte, e spesso accadono quando hai ormai acquisito la consapevolezza necessaria che ti fa dire Questa cosa sarà così, caschi il mondo, ché poi, puntualmente, quella cosa non è così e il mondo, incredibilmente, non casca. Nel mio caso è successo che l’autore di Ferrazzano, quel Luigi Natoli che leggete in copertina, era l’autore preferito da mio padre, e perciò in un attimo ho pensato a tutte le volte che mio padre, quando ero ragazzo, mi diceva Sei inflessibile e testardo anzi zuccone, e mi diceva Leggi Natoli, è bravo Natoli, è appassionante Natoli, a tutte le volte che avevo rifiutato l’invito preferendogli i classici e i contemporanei e chissà chi, bastava solo che fossero particolarmente eversivi e sgominatori di luoghi comuni e trasfiguratori del buon senso e io li leggevo, e Figuriamoci se ora perdo il mio tempo con Natoli, mi dicevo, Con uno che parla di Palermo e dintorni e racconta di come la gente viveva a Palermo e dintorni e intesseva trame fittissime piene di dintorni ché poi erano proprio tutti ’sti dintorni che non sopportavo, e difatti mai letto Natoli, in vita mia, nonostante abbia ereditato l’intera opera sua, io, di mio padre, da quasi diciotto anni. E invece ho detto sì, stavolta, perché sebbene io sia dichiaratamente allergico a ogni forma di romanticismo, certo non potevo che dire sì, stavolta, ché è stato come se lui, mio padre, m’avesse dato l’ultima possibilità di dire sì, ché era così, mio padre, ostinato. E dunque Ferrazzano è un romanzo che parla di Palermo, è vero, e che non ci fa mancare la solfa dei dintorni, dei dintorni sviscerati e anatomizzati e poltiglizzati, dei dintorni che dopo un po’ pensi Sì, va bene, l’ho capito, va’ pure avanti, Natoli bello… ma poi capita improvvisamente il contrario, capita che lui, Natoli, dopo un po’, comincia a ignorarli, i dintorni, e tu che leggi è come se li pretendessi, adesso, è come se ti mancassero quelle descrizioni di facce e stati d’animo e palazzi e strade, ché ti paiono delle dilatazioni temporali appropriate, adesso, Ché doveva essere proprio così il tempo di allora, se paragonato al nostro, pensi, Un tempo vuoto di necessità, esoterico e lattiginoso, come se la gente avesse troppa poca vita a disposizione, e che fosse pertanto necessario dilatarla, quella vita, particolareggiarla. E Natoli fa questo, ci porta nel ’700, ci dice le strade e i palazzi, ci racconta di duchi e principi, di duchesse e di marchesi, ci parla di cavalier serventi, criticando un’etica che non c’era e un’estetica che pretendeva di essere in ogni luogo, proprio come oggi, più o meno, e lo fa con Ferrazzano, un uomo che è forse esistito o forse no, che forse è colui che è esistito o forse no, un comico esilarante e picaresco, comunque, che la gente ama, ma che di esilarante e picaresco ha ben poco, stando alla narrazione di Natoli, un uomo ordinario, furbo quanto basta, che vorrebbe solo una quotidianità serena, in compagnia della figlia acquisita Floristella, un uomo che è invece invischiato in una trama arditissima, piena di colpi di scena, con un finale degno di un noirista contemporaneo, e dunque, giunti qui, alla fine, sono sempre del parere che scrivere prefazioni sia una vera afflizione, tutto sommato, e che se fossi in voi non leggerei mai le prefazioni, come del resto faccio io ché per me non sono mai esistite, le prefazioni, e che tutto sommato si può dire quello che si vuole, nelle prefazioni, e nella maniera in cui si vuole, solo se si finge che non siano delle prefazioni, ecco tutto, solo se le si legge a prescindere dalla parola “prefazione”, e così si può provare persino piacere dalle prefazioni, secondo me, e che mio padre aveva ragione, infine, concludo, tutto sommato, sul signor Natoli scrittore, e che avrei dovuto ascoltarlo di più, ma una prefazione del genere, tutto sommato, credo basti a pagare lo scotto, a pareggiare, nonostante non sia proprio una prefazione, pur essendo una prefazione, quasi come una prefazione, insomma, ma non proprio una prefazione, e così via. 
Rosario Palazzolo

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