martedì 16 aprile 2019

Luigi Natoli: La distruzione della Cattedrale di Reims. Tratto da: Alla guerra!

Il 124. e il 125., incorporati nella stessa divisione, si trovavano alle Argonne, tra S. Menehould e Clermont; essi dunque dovevano percorrere lo stesso itinerario, almeno fino al comando della Divisione.
Ma Michaud aveva voluto prima di andare al campo, fermarsi un giorno a Reims per compiere un pellegrinaggio di cordoglio alla cattedrale. Tutti i giornali del mondo, tutti gli uomini colti, tutte le associazioni letterarie e artistiche avevano protestato contro quel selvaggio bombardamento; salvo i dotti tedeschi, che approvavano l’opera nefanda e barbarica dello stato maggiore; il Kaiser, che fingeva di spargere qualche lagrima di coccodrillo; e i generali bombardatori, che cinicamente affermavano nessun monumento d’arte, nessuna creazione di genio, per quanto unica, gloriosa, veneranda, valevano l’ultimo fantaccino tedesco. Le polemiche sorte per giustificare lo scempio, le descrizioni della grande rovina, tenevan viva la fiamma dello sdegno in tutta la Francia; e avevano spinto Michaud a quel viaggio. Egli vi si recava col cuore stesso col quale i primi pellegrini si recavano al sepolcro di Cristo caduto in potere dei musulmani; con pietà religiosa, odio pei profanatori, desiderio di vendetta.
- Barbari i turchi? Non è vero. Se voi mi dite che essi fanno la guerra da selvaggi, scannando i vecchi, violando e ammazzando le donne, infilzando i fanciulli con le baionette e con le scimitarre, uccidendo in massa gli inermi, mutilando i feriti, bruciando i villaggi e le città, cose tutte che fanno orrore alle genti civili; io vi domando se i tedeschi nel Belgio e in Francia non han commesso le medesime scelleratezze, e anche peggio!... Ma i Turchi, quando espugnaron Costantinopoli non bruciarono Santa Sofia, perdio!... E i tedeschi invece hanno bombardato e distrutto Louvain, Malines, la cattedrale di Reims. Capite?... La cattedrale di Reims, vuol dire un miracolo d’arte!... Sì, un miracolo. Guardate: prima ancora che il Rinascimento traesse dalla tomba la bellezza antica; prima ancora di Donatello, gli ignoti scultori che decorarono la cattedrale di Reims, avevano dato ai loro santi di marmo, la grazia ellenica! Come? dove l’attinsero? dov’erano i modelli? Chi insegnò loro a drappeggiare le figure con tanta nobiltà e con tanta verità di pieghe, e con tanta trasparenza del corpo?... Non c’è in tutta la statuaria del medioevo in Francia, in Europa, nulla che rassomigli o che abbia una parentela con quelle statue. La parentela è con la statuaria greca. Forse quegli ignoti artefici possedevano alcune di quelle leggiadre terrecotte, raccolte ora ne’ musei? Avevano in Grecia nutriti gli occhi con le reliquie di quella statuaria? Attingevano nel loro spirito?... Chi lo sa?... Son venuto più volte in Reims per godimento mio; e sempre mi son fermato lunghe ore in contemplazione dinanzi le statue dei tre portali, che mi paiono fra le più belle... V’è da imparare anche oggi... E i barbari del 1914 hanno lanciato con pazza voluttà su questi fiori dell’arte nostra, che non eran più nostri ora, ma appartenevano al mondo... Non hanno distrutto soltanto una nostra gloria, ma una gloria del genio dell’uomo!...
Così, per tutto il viaggio, Michaud, ora descrivendo, ora esaltandosi; alternando le notizie storiche sulla fabbrica della cattedrale con quelle sulla fioritura architettonica ogivale germogliata nell’Ile de France tra il XII e il XIII secolo, e diffusa da ignoti e misteriosi maestri per tutta l’Europa, e chiamata, non si sapeva perché, gotica; tenne vivo il discorso, e finì con l’attirare e interessare Guy, distogliendolo dai suoi pensieri.
Ma quando sceso dal treno, inoltratosi nella città, cominciò a vedere gli effetti del bombardamento, Michaud ammutolì. Qua e là case crollate, o ridotte mucchi informi di macerie annerite dagli incendi; altre traforate da mille buchi, senza tetto, coi travi di ferro contorti: il palazzo di città pareva un immenso crivello; quello della sottoprefettura era raso al suolo.
Via via che si avvicinava alla piazza, Michaud si faceva più pallido e sgomento; il suo cuore pulsava violentemente con un ritmo più celere: che cosa avrebbe trovato? Quali devastazioni nella cattedrale? Si fermò allo sbocco come arrestato da una forza maggiore, stropicciandosi gli occhi per veder più chiaro. A prima vista gli sembrò che l’edificio non ne avesse sofferto gran che; la sua mole torreggiava ancora; ma quando, lentamente, cominciò ad avvicinarsi, la rovina gli si andò svelando. Qualche cosa mancava dietro la chiesa... Sì; uno dei campanili. Era crollato sotto le bombe!... E l’abside? Era solcata da profonde ferite; alcuni contrafforti erano stati portati via, massi enormi, che avevano resistito per secoli a tutte le tempeste, giacevan per terra. Le navate non avevan più il bel tetto di legno, dalle travi di quercia scolpite; ma le pareti nereggianti rivelavano l’incendio distruttore.
Ahimè! il maraviglioso edificio non era che una carcassa vuota!...
Michaud si sentiva soffocare; non diceva una parola, non poteva; girava intorno allo scempio, guardando con gli occhi spalancati in uno sbalordimento angoscioso, fermandosi dove maggiori erano i guasti: guglie e pinnacoli atterrati o mozzati, pezzi di trine marmoree divelti, statue decapitate o monche, cornici spezzate a mezzo, rosoni sforacchiati, colonne stroncate a mezzo; una devastazione orrenda, una rovina!...
Michaud corse al portico: ah le belle statue, quelle delle quali aveva parlato con tanto entusiasmo, in quali miserande condizioni eran ridotte! Quasi tutte scheggiate, deformate dallo scoppio delle granate, mutilate!... Quel bianco popolo di Santi, immobili, con gli occhi spenti, pareva mostrasse le ferite aperte dai barbari!
Michaud si sentì empire gli occhi di lagrime. Nessuna scena di pietà gli aveva strappato una lagrima, chè aveva saputo dominare i suoi nervi, e difenderli con quell’abito scettico e mordace sul quale aveva ritemprato il suo spirito: ma dinanzi a quella immane rovina, l’artista ferito ebbe il sopravvento sull’uomo.
Guy, che lo seguiva, guardava anch’esso con doloroso stupore; non piangeva certamente, perché la sua commozione non aveva radici così profonde come quella dell’artista, ma ne provava sdegno, e di tanto in tanto, si lasciava sfuggire qualche vivace esclamazione di collera.
- Andiamo! andiamo! – disse Michaud con voce che rivelava l’interno affranto – andiamo! È una vista che non si può sopportare!... No! no!... Quale infamia! quale infamia!...
E tuttavia guardava. Ah le belle vetrate istoriate donde pioveva nelle navi una luce blanda e piena di dolce mistero! Tutte infrante! Perchè? per quale insania? per qual furore di matta bestialità?
- Ve lo dico io perché! – sclamava rispondendo a sé stesso; – perché quei miserabili non hanno nulla di così bello, nella loro Prussia goffa e beota; non hanno nulla che possa anche venir dietro, come una ancella dietro la padrona, ai miracoli architettonici delle Fiandre e della nostra bella Francia... I loro cervelli di barbari inferiori e invidiosi non possono tollerar la bellezza altrui... Distruggono perché nulla rimanga che mostri al paragone la loro inferiorità estetica; distruggono perché ogni segno della grandezza e della gloria degli altri sia cancellato!... Ma perdio! Ogni guglia spuntata, ogni pietra strappata, ogni statua mozza griderà nei secoli contro la barbarie di questo popolo che vanta la sua cultura superiore!... Ogni ferita di questo sacro e venerando edificio smentirà terribilmente la leggenda della superiorità spirituale dei boches... Eh no! non bisogna restaurarla, quando che sia, non bisogna restaurarla la cattedrale, come non bisogna restaurare, reintegrare alcuno dei monumenti devastati dalla supercultura tedesca... Bisogna che essi rimangano così, nella loro spaventevole rovina, accusatori perenni della più grande barbarie... Perché né i pacifici borghesi fucilati, né le vergini vilipese, né i fanciulli baionettati possono uscire dal sepolcro, e gridar vendetta;... la vita riprodurrà nuove forme: i fiori cresceranno sopra le fosse; del delitto contro gli uomini, della ferocia sanguinaria non rimarrà alcuna traccia... ma queste pietre frantumate, queste immagini decapitate, e che stendono i moncherini, queste trine di marmo spezzate, tutto ciò che non si rifà, che non si rinnova, che rimane rudere, con l’impronta della devastazione, del sacrilegio, tutto ciò grida e griderà nei secoli contro la barbarie; ed è l’unico segno, dal quale si possono anche arguire le stragi e le scelleratezze compiute... E bisogna che questi ruderi rimangano tali, perché duri nel sangue l’odio e la maledizione non si spenga sulle labbra!...
Parlava con voce veemente, quasi con enfasi, infiammato dallo sdegno; e la sua piccola persona pareva s’ingrandisse. Guy lo guardava con curiosità e ammirazione, perché lo scultore gli si rivelava sotto un aspetto nuovo. Altri, venuti forse come loro a visitare e a rammaricarsi dinanzi la rovina, si fermarono accanto a quel milite della Croce Rossa, che parlava con parole così iraconde; assentivano con gesti del capo; mormoravano:
- Che barbarie!... Prendersela con la casa di Dio!...
- E osa invocarlo ogni istante, Dio, quel brigante!...
- Eh! ma il suo Dio, non è il nostro, non è quello dei cristiani; è un vecchio dio, probabilmente uno di quelli delle antiche orde senza legge che erravano nelle foreste teutoniche!...
Sulla porta di mezzo v’era un picchetto di soldati francesi, attraverso la porta si vedevano altre rovine; l’arco dell’abside strappato; una gran buca nella volta, massi rotolati sul pavimento, frantumi marmorei; gli alti steli della navata di mezzo anneriti dal fumo, e per terra mucchi neri, e fra le pietre, rimasugli della travatura, pezzi di confessionali, le tracce raccapriccianti dell’incendio. Un caporale narrava i particolari del bombardamento. Era cominciato il venerdì sera, 18; ed era continuato il sabato. Le bombe piovevano, scoppiavano, frantumavano. Una forò l’abside; una buca immensa. Il fuoco si accese ad alcune impalcature che servivano per restauri; si comunicò alle travi; una trave, cadendo sulla paglia che era distesa per terra, dentro la chiesa, vi diede fuoco. E allora bruciò tutto!...
- E c’eran più di cento feriti, sopra la paglia; e tutti tedeschi... ma non li abbiamo fatti arrostire, come avrebbero fatto quei banditi, se si fossero trovati al nostro posto, e se i feriti fossero stati francesi!... Oh no!... Li abbiamo salvati fino all’ultimo, cacciandoci in mezzo alle fiamme e al fumo, mentre le bombe sibilavano, cadevano, scoppiavano... Ah! vi so dire che non era una cosa piacevole!...
Qualcuno domandò:
- Non c’era dunque la bandiera della Croce Rossa?
- Come no? Ce n’era una, sulla torre più alta, che si sarebbe veduta a cento chilometri... I boches avevano piantato le batterie a Nogent l’Abesse, a otto chilometri, e vedevan bene la cattedrale; ma che cosa è la bandiera della Croce Rossa per loro? Che cosa rispettano?...

La voce dei giornalai, che gridavano le notizie più recenti, lo distolse da quella occupazione. Comprò il Petit Journal. Conteneva la smentita del generalissimo Joffre alle affermazioni mendaci con le quali lo stato maggiore tedesco aveva tentato di giustificare il bombardamento della cattedrale di Reims avvenuto otto o nove giorni innanzi.
Quella lettura rinnovò la collera e il dolore dell’artista. Giustificare? o forse si potevano giustificare le distruzioni di Louvain, di Malines, di Reims? Non forse il furore medesimo della distruzione, l’accanimento contro ogni opera d’arte, ogni monumento di bellezza e di storia, dimostravano con evidenza il partito preso di distruggere, e solamente per distruggere? Ah la bella cattedrale, con le sue torri, coi suoi portali, con le sue statue dalle pure linee, con le sue trine di marmo delicate e trasparenti, con le sue grandi rose e le grandi finestre dai vetri colorati!... Come si erano accaniti gli obici e i mortai tedeschi, contro quella mirabile opera, forse la più bella chiesa ogivale
del mondo! V’era stato nei loro colpi l’astio invidioso di chi, non potendo rubare e trasportar via il maraviglioso monumento, lo distrugge, perché non lo abbiano gli altri. Era lo stesso livore, la stessa invidia cieca e selvaggia che aveva atterrato in Fiandra tutto quanto vi era di glorioso per bellezza d’arte e per memorie cittadine.
Col ferro e col fuoco! Così, come lo avevano fatto i loro antichi progenitori, quando coperti di pelle, orridi d’aspetto e d’istinti, calavan giù dalle Alpi, o scendevan lungo le valli del Rodano, in Italia o nelle Gallie. Anzi peggio. Non avevano forse quei barbari antichi risparmiato Milano, vinti dalla bellezza dei monumenti latini? Non si erano arrestati dinanzi alla maestà e alla magnificenza di Roma? Ma i loro discendenti?... Perdio! bisognava confessare che la cultura tedesca, quella sopracultura di cui tanto si vantavano per affermare la loro superiorità sugli altri popoli del mondo, produceva questo miracolo, di renderli più bestiali dei loro progenitori!...
- Selvaggi!... selvaggi!... Ah no! non è vero che essi abbiano senso d’arte! Saranno un popolo di pedanti scrittori di estetica, ma un popolo che senta la bellezza, no! perdio! Non la sentono neppure i loro esteti!... Selvaggi!... selvaggi!
Rinnovava i suoi sdegni, la sua collera, il suo odio…


Luigi Natoli: Alla guerra! Romanzo storico ambientato nella Francia del 1914, allo scoppio della Prima Guerra mondiale. 
Nell'unica versione originale, pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914. Raccolto in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori e arricchito dalle illustrazioni di Niccolò Pizzorno. 
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