lunedì 6 luglio 2015

Luigi Natoli dal romanzo "Ferrazzano": il conte di Montaspro.

Diego Montecateno conte di Montaspro, figlio unico di donna Grazia, vedova di don Gaetano, era un giovinotto di venti anni, non bello ma neppure brutto: di statura media ben tagliato, elegante: passava il tempo bisticciandosi con chicchessia, e tirando quello che aveva in mano ai camerieri. Suo padre morì quando egli dava i primi passi, e sua madre era molto giovane per consacrarsi a un figlio non desiderato. Il marito aveva quarantacinque anni più di lei, che ne aveva diciotto; e le nozze furono concertate dai genitori di lei, come era uso in quei tempi. Ella ubbidì, perché era dover suo; e ubbidì anche al marito, che le fece giurare al letto di morte di non rimaritarsi mai più. Questo giuramento ella l’avrebbe facilmente violato; ma il conte le lasciava l’usufrutto dei beni spettanti al figlio, fino alla maggiore età di costui, e il possesso di alcune terre, purchè non passasse a seconde nozze: che nel caso si rimaritasse, si considerava come non avvenuta questa disposizione, e l’amministrazione dei beni come la tutela, era affidata a un parente. Donna Grazia non si rimaritò, ma seppe passare lietamente la sua prima giovinezza, senza curarsi molto del figlio, che appena toccò i sei anni, fu chiuso nel real collegio Borbonico. Dal quale uscì a diciotto anni, non molto erudito in vero, anzi con quella ignoranza che era un pregio pei nobili signori, sebbene nei saggi pubblici avesse sfoggiato un talento e una cultura straordinaria, trattando temi  altissimi di letteratura, come per esempio questo: perché i francesi riescono superiori agli italiani nello stile tragico. E si poteva ammirare la perizia del nobile don Diego nel copiare fedelmente quanto aveva di nascosto scritto il maestro. In compenso uscì pieno di sé, litigioso, iracondo, facile a innamorarsi di tutte le donne, e con altri difettucci, che erano un complemento delle qualità di un giovane ben nato.
La sua signora madre intanto aveva per diciotto anni gustato i vantaggi di una vedovanza in età molto giovane; e provato le differenze che corrono tra un uomo di sessanta anni ed un giovane di venticinque; e le sue esperienze erano state parecchie, e ancora ne contava, sebbene avesse oramai trentanove anni sonati. Una cosa pretese dal figlio: la esatta osservanza all’ora della colazione, del pranzo e della cena. Era la sola cosa in cui spiegava tutta l’autorità materna, per non dare agli occhi della servitù lo spettacolo di un disordine nell’ora del desinare. Questa era la ragione per la quale don Diego aveva chiamato il servitore per farsi vestire.
Don Diego aveva passata la notte al teatro d’opera, si era affacciato a quello di prosa ed era andato al circolo, la Grande Conversazione, che allora si trovava nel palazzo del duca di Cesarò, rimpetto la chiesa del Salvatore. Aveva giocato, aveva perduto, era di malumore non già per la perdita in se stessa, ma perché, a lui abituato a vincere in ogni cosa, perdere al gioco pareva una sconfitta immeritata. Del resto aveva le mani bucate, trattandosi di mostrare la nobiltà della sua illustre famiglia; salvo a litigare il terdenari con la povera gente.

Luigi Natoli
www.ibuonicuginieditori.it
Disegno di Niccolò Pizzorno.

Nessun commento:

Posta un commento