martedì 30 settembre 2025

Luigi Natoli: Ed ecco la piccola città di Cefalù... Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie

Ecco sotto una rupe la piccola città di Cefalù, che è anch’essa molto antica, ed aveva un castello formidabile sulla rupe che domina la città, del quale si vedono ancora gli avanzi.
Le due torri, che si levano sulle case, sono i campanili del Duomo, importantissimo pei suoi musaici, che sono forse i più belli di Sicilia. È dedicato al Salvatore.
Narrano le storie che il re Ruggero, nel 1131, navigando, fosse stato sorpreso da una terribile tempesta nel mare di Cefalù, e avesse fatto voto di erigere una chiesa al Salvatore, se fosse scampato. E mantenne il voto, due anni dopo, facendo costruire questa chiesa, che è uno dei più bei monumenti del secolo dodicesimo.
E andiamo avanti. La strada ferrata ora rasenta la costa, ora entra in gallerie: la spiaggia è pittoresca; a destra si spiegano valli, colline e monti che offrono bellissime vedute; e qua e là si vedono paesi mezzo nascosti tra boschi o schierati sui monti. Nei tempi antichi v’erano in queste contrade città fiorenti: ora appena si trovano le rovine di qualcuna di esse.
Passiamo dinanzi a Milazzo, che sorge sopra un promontorio, dominata da un castello che una volta difendeva la città: ora è un monumento. Anticamente essa si chiamava Mile. Nel suo mare il console romano Duilio sconfisse la flotta cartaginese, 260 anni prima dalla nascita di Gesù. Ma il ricordo più vicino e non meno glorioso è il fiero combattimento del 20 luglio 1860, nel quale i Garibaldini sconfissero le truppe borboniche, e si aprirono la via per andare a Messina.


Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie. 
L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato nel 1925 con le Industrie Siciliane Riunite e corredato dalle foto dell'epoca. 
La copertina di Niccolò Pizzorno riproduce esattamente quella originale. 
Pagine 210 - Prezzo di copertina € 19,00

Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o raccomandata postale in tutta Italia)
Su Amazon Prime e tutti gli store online.
In libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte La Feltrinelli) 

Luigi Natoli: Ottobre. Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie

Con ottobre siamo in pieno autunno: i giorni vanno accorciando; l’aria si fa più fresca; passano nuvolaglie; cadono le prime acque; i tuoni brontolano. Le foglie degli alberi cominciano a ingiallire: qualcuna, dissecatasi, si stacca dal ramo e cade lenta lenta per terra.
Ma la terra si riveste di verde alle prime piogge: però nei giorni sereni il cielo è di un bell’azzurro; il sole è tiepido, e quando tramonta diffonde sulle cose una luce così vivace, che tutto sembra ardere.
I pettirossi e i verdoni popolano le siepi; i fringuelli lanciano le loro melodie dagli alberi; le cutrettole, così vispe su le zampette esili, saltellano e dan la caccia alle mosche.
Gli alberi producono gli ultimi frutti, quelli che si conservano nell’inverno. È la stagione delle mele rosee e fragranti, delle castagne. Queste piacciono tanto caldarroste, o ballotte, o cotte al forno, o (quando son secche) lesse.
E si maturano le nespole.

Quannu viditi nespuli, chianciti;
chistu è l’ultimu fruttu di la stati.

Ma ottobre è, inoltre, il mese della vendemmia; la vendemmia è la raccolta più festevole dell’anno.
Schiere di uomini e donne, con le forbici o un coltellino in una mano, un paniere o un canestro nell’altra, spiccano i grappoli dalle viti, e cantano alternandosi: il canto si propaga; cantano anche nelle altre vigne; e sembra che tutta la terra canti. Canestri e panieri, quando son pieni, sono da altri uomini versati in corbe, o in bigonce caricate sugli asini, che le trasportano al palmento.
Al tramonto del sole, smesso il lavoro, uomini e donne riprendono a cantare a gara, e intrecciano balletti, spesso al suono della ciaramella e del piffero, o del tamburello. I ragazzi si tingono il musetto col succo dell’uva nera. L’aria odora di mosto, e tutti paiono presi da una certa ebbrezza.
Al palmento vi sono i torchi per pigiar l’uva: il mosto si raccoglie nelle tinozze, e si versa nelle botti. Esso fermenterà e diventerà vino.
Ma in moltissimi paesi di Sicilia non usano ancora i torchi e le altre macchine che si trovano nelle fattorie: si pigia il vino come si faceva anticamente. Uno, due uomini, quanti può contenerne il tino, coi calzoni rimboccati, pestano l’uva coi piedi. Cosa che non è sempre pulita.




Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie. 
L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato nel 1925 con le Industrie Siciliane Riunite e corredato dalle foto dell'epoca. 
La copertina di Niccolò Pizzorno riproduce esattamente quella originale. 
Pagine 210 - Prezzo di copertina € 19,00

Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o raccomandata postale in tutta Italia)
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lunedì 29 settembre 2025

Luigi Natoli: Miracoli e superstizioni del 1600 in Palermo. Tratto da: Palermo al tempo degli spagnoli 1500-1700

Spesso una leggenda sognata o ripullulata nel cervello di un isterico, si tramutava in una miracolosa realtà; come avvenne per quella di S. Oliva. Un’antica leggenda diceva che trovato in Palermo il corpo della vergine, il sangue sarebbe corso a fiumane: “pi santa oliva lu sangu a lavina.” Come fu e come non fu, nel Seicento si sparse la notizia che il corpo della santa si trovava sepolto nella via dove si trovava la chiesa di S. Michele Arcangelo, e precisamente innanzi alla chiesa stessa. E allora si rovesciò l’armata di picconi e di vanghe, e zappa e scava per lungo, per largo, in basso e non trovò che acqua. Ragione per cui il 15 ottobre del 1606 il cardinale Doria minacciò la scomunica a chi, sapendolo, occultasse o nascondesse dove era il corpo di S. Oliva. 
Che dire dei miracoli? Quanti ne fece S. Francesco Borgia in un attimo, non li hanno fatti cento nel corso della loro vita. 
Ma uno spettacolo più stupendo ci tramanda Vincenzo Auria, che lo vide con gli occhi suoi. Nell’inondazione del 1668, tra l’infuriare della piena che trascinava tutto quanto trovava rovinando, vide una statuetta di S. Rosalia alta un palmo procedere dritta senza deviare o traballare o ondeggiare; segno evidente – dice l’Auria – che la vergine romita proteggeva la città!
Il 22 gennaro del 1689 vi fu una tempesta di tuoni che mai s’era sentita simile; e dopo acque da non si credere, tanto da allagare le vie e far ricordare le inondazioni del 1557 e del 1667. E dice l’Auria che (e seguo le sue parole) “assalita all’improvviso la Città della giusta ira di Dio, si diè mano al suono delle Campane, implorando da Dio clemenza onde tutto il popolo... piangeva le sue colpe per mitigare lo sdegno di Dio, ed ottenere perdono.”
Altro miracolo. Nel processo per beatificare il padre Girolamo di Palermo, si narra che avendo il padre Firmatura baciata la mano di lui morto, si sentì stringere in modo affettuoso. 
Contro il vento non c’era rimedio che il suono delle campane delle chiese: le campane erano benedette, e il vento era prodotto dai diavoli dell’aria, e come si sa ce n’erano dovunque: nei pozzi, in casa, nei boschi, ecc. E con le campane, sonando a distesa, si era sicuri che il vento cessasse.  Il 15 luglio del 1609 il cardinale Doria ordinò il suono delle campane contro il vento, ed io ricordo che ragazzo vidi scongiurare il vento dalle monache di S. Chiara in Termini Imerese, tanto la superstizione s’era abbarbicata. 
E le locuste o cavallette? Nel 1607 esse infestarono le campagne di Palermo e il Senato dedicò un altare a S. Trifonio nella Cattedrale perché protettore contro le locuste: ma S. Trifonio fu impotente, e le locuste seguitarono a rosicchiare, finchè non si ricorse agli esorcismi. Così ancora nel 1688, quando monsignor Bazzan, dopo aver invocato invano S. Rosalia, S. Agata, S. Oliva, S. Ninfa, eresse un altare fuori Porta Nuova e le scomunicò. 
La scomunica si faceva in questo modo sia in questa occasione sia in altra: il prete delegato dall’Arcivescovo andava in cotta e stola nera, a cavallo d’una mula fuori Porta Nuova o altrove con quattro diaconi anch’essi a cavallo di mule, con torce di cera nera e lì pronunciava la formula della maledizione in latino. Le locuste non se ne davano per intese, manco a dirlo, forse perché non conoscevano il latino. 
Vorrei parlare delle numerose superstizioni che vigevano allora se non fosse che ancora viggono, e non solo in Palermo, ma tra i popoli più inciviliti, come sarebbero il sale sparso, lo specchio che si rompe, l’olio che si spande; mi basta segnare due in uno in Palermo le candele di una forma speciale che si accendevano al “Santo Padre” per aiutare la donna sul parto e le fave benedette da lui che servivano allo stesso scopo. Il “Santo Padre” era da noi S. Francesco di Paola. 
E le fattucchiere? Ci saranno sempre ora come allora, e invano gli arcivescovi come il Doria fulminavano bandi per estirparle, non già perché erano un errore e un orrore, ma perché erano suggerite dal demonio, e inducevano le anime a perdersi. Esse si involavano, sia per fare ritornare l’amore in chi era diventato avverso coi filtri o con gusci d’ova bucherati da spilli, sia con scongiuri; e rivaleggiavano coi medici. Nel 1613 al 30 di Marzo il cardinal Doria fece frustare sette donne e un uomo con le mitre in capo come “magari” ossia fattucchiere. 
Questa la racconta il padre Aquilera, nella sua Storia dei Padri di Gesù ed è la storia di Zambrì. Chi era Zambrì? Uno spirito familiare che non faceva nulla di male, ma che governava due fanciulli amorosamente. Potevano lasciarlo stare, ma il padre gesuita se lo ebbe a male perché era uno spirito diabolico, e lo esorcizzò. Zambrì sparve. E meno male che si trattava di uno spirito o di persona così e così. Ma ci fu un personaggio altolocato che credette agli spiriti. Di fronte a certi fenomeni creduti strani, avvenuti in una certa casa, nel 1586 il marchese di Geraci, allora Presidente del Regno, proibì con un bando di andare ad abitare in quella casa, perché c’erano le “donzelle” che erano anch’esse spiriti diabolici! 
Ma eleviamoci ancora un poco: si tratta della chiesa e della consagrazione dell’Altare Maggiore della Cattedrale. In quell’occasione l’arcivescovo Aedo, nel 1604 “nella busciola se li posero l’infrascritte reliquie, cioè del legno della Santa Croce, delli capelli della Madre di Dio, dell’ossa di Santa Lucia Martire, di San Senatore, di San Viaturi (?) di San Cassaturi (?), di San Nicasio, di San Pelice, di Sant’Agata e di Santa Cristina patroni.” 
Senza ridere. 


Luigi Natoli: Palermo al tempo degli spagnoli 1500-1700. 
L'opera, pubblicata per la prima ed unica volta ad opera de I Buoni Cugini Editori, è la fedele trascrizione del manoscritto dell'autore. 
Pagine 292 - Prezzo di copertina € 20,00
Il volume è disponibile: 
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime e in tutti gli store online.
In libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte La Feltrinelli) 

martedì 23 settembre 2025

Luigi Natoli: Il castello aveva nome di San Nicola... Tratto da: Coriolano della Floresta. Romanzo storico siciliano.

Quando era una fanciulla di diciotto anni, abitava in un grazioso castello, su la riva del mare poco oltre il feudo di Milicia. A le spalle del castello si alzava a balzi la montagna; ai lati poche catapecchie di pescatori, e poi di qua e di là le rive incantevoli dell’ampio golfo di Termini, ora sabbiose, ora irte di rupi.
Il castello aveva nome di S. Nicola.
Terre non ne aveva fuor che un piccolo bosco fra le balze, possedeva però un tratto di mare, dove, alla stagione adatta, si faceva la mattanza dei tonni.
Il castello era formato di una cortina quadrata; difesa da qualche opera interna agli angoli, e di un’alta torre cilindrica, merlata; che dominava la campagna e la marina.
Gli appartamenti non erano vasti.
Fuori del castello v’era una cappelletta dedicata a S. Nicola, donde forse aveva preso nome.
Il castello apparteneva allora ai principi di Cattolica, che l’avevano ereditato dai Crispo: ma nel 1748, per concessione del principe, vi abitava un nobile cavaliere, don Antonio di Casalgiordano, con la sua unica figlia, Virginia.
Era un uomo taciturno e severo, ma aveva una adorazione per la figlia: adorazione tuttavia, che non lasciava trasparire dall’aspetto.
Virginia non aveva conosciuto sua madre, della sua infanzia non ricordava nulla. Ancora bambina era stata posta in un monastero a Messina; a sedici anni il padre che ella vedeva in parlatorio tutte le domeniche, l’aveva ritirata e condotta in quel castello, dove essi vivevano come in un eremitaggio.
Pareva che don Antonio di Casalgiordano fosse geloso di quella sua figlia bella e modesta.
Di quando in quando però egli per gli affari del suo patrimonio si assentava due o tre giorni. Durante la sua assenza il castello era rigorosamente custodito, oltreché dai servi, da due terribili molossi, che non lasciavano avvicinare alcuno.
Era la consegna data alla servitù: per tutt’altro essa doveva ubbidire ciecamente alla fanciulla.
Ma Virginia non faceva pesare il suo governo.
Ella era buona e umana; e aveva anche ammansato e assoggettato con la dolcezza delle sue maniere, ma con la fermezza della sua volontà, i due molossi stessi.
Un pomeriggio tempestoso, in cui il mare, livido e sconvolto, pareva volesse scalzare gli scogli, e minacciava il piccolo villaggio, don Antonio e Virginia se ne stavano affacciati a una finestra, guardando lo spaventevole e stupendo spettacolo.
Tra i flutti, non molto lungi dalla terra, una tartana si dibatteva disperatamente.
Aveva l’albero spezzato. Gli otto uomini che la montavano, aggrappati ai banchi, per non farsi portare via dai marosi, facevano sforzi perché la fragile nave non si capovolgesse.
La furia del mare, le aveva fatto perdere la rotta, e la spingeva verso terra, ma l’equipaggio temeva di andare a picco fra le scogliere, e avrebbe almeno voluto dirizzarsi dove la spiaggia era sabbiosa.
La lotta di quegli uomini contro gli impeti del mare aveva qualcosa di grandioso nella sua tragicità. Essi non parevano atterriti dalla fierissima tempesta; forse la grandezza e l’imminenza del pericolo dava loro quella padronanza di governare la nave in una lotta disuguale.
Ma Virginia tremava; e a ogni sparire della nave sussultava e mandava un grido.
La nave infatti pareva a ogni nuova furia di cavalloni che ne fosse inghiottita; ma riappariva subito dopo sulle creste spumose, per ridiscendere e sparire un’altra volta...




Luigi Natoli: Coriolano della Floresta. Seguito a I Beati Paoli. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1700. 
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato per la prima volta in dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1914. Per la lunghezza, è stato diviso in due volumi.
Copertine di Niccolò Pizzorno. Prezzo di copertina € 30,00
Il volume è disponibile: 
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Su Amazon Prime e tutti gli store online.
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte La Feltrinelli) 

Luigi Natoli, Giuseppe Pitrè: Spiritoso quel ‘Nòfriu! Tratto da: Il teatro del popolino. Raccolta di scritti sull'Opera dei Pupi e sulle tradizioni cavalleresche in Sicilia

Agli appassionati dell’opra tutto riesce serio e grave, anche ciò che è addirittura una parodia. Ma gli imprudenti non mancano neppure all’opra; e quando un aneddoto, una scena supera i limiti del verisimile o del credibile, qualche esclamazione della platea suona rimprovero al personaggio che parla e per esso a chi dietro le quinte parla per lui. Se la voce della platea è un’accusa alla verità storica del racconto, il personaggio stesso o il buffo del teatro, ‘Nòfriu, fatto venir subito subito sul palcoscenico, rimbecca l’imprudente esponendolo al ridicolo. Tra attore e spettatore impegnasi talvolta un battibecco abbastanza comico per l’uditorio, tutto a scapito di chi ebbe la malinconia d’interrompere la diceria o la rappresentazione, nel qual battibecco i motteggi pepati, anche sboccati di ‘Nòfriu, forte della storia e del suo carattere, riducono al silenzio l’interlocutore, fatto altrimenti tacere dalla disapprovazione pubblica.
Spiritoso quel ‘Nòfriu!
A rallegrare la scena egli viene fuori ora a combattere contro un gigante, in faccia al quale trema come una foglia, ora a far da becchino dopo una terribile strage, ora a dar la burletta a un soldato di guardia, o a qualche persona del criminale, e sempre che giovi interrompere la monotona serietà dei fatti che si svolgono. ‘Nòfriu rappresenta il bell’umore del popolino, di cui prende anche il vestire: berretto (scarzetta), giacchetta, panciotto. In siciliano scherza, chiacchiera, si bisticcia; alla siciliana gesticola e schiamazza; da buon siciliano si rappacia; è scaltro, sospettoso, diffidente, non si lascia di leggieri cogliere in trappola, e l’accocca a chi presume accoccarla a lui. Non parla, non si muove per poco che non esca in lazzi, in frasi, in gesti ridicoli, in motti ed arguzie nate specialmente dallo stroppiamento delle parole. Che se poi sconfina motteggiando, e qualcuno dell’uditorio lo disapprova con un certo suono inarticolato delle labbra, ‘Nòfriu ricorda alla sua maniera il galateo rincarando la dose. Una sera nell’opra di Catania che è rimpetto l’Università, Orlando esce in un vantamento di questa fatta: Con un corpo (colpo) della mia spata fazzo (faccio) sartare la testa a cento paladini. Qui un facchino dell’uditorio imita con la bocca quel tal suono inarticolato, e ‘Nòfriu, lì presente, lo apostrofa: Figghiu di scarana! Lèggiti ‘a storia si non ci cridi! ed il facchino, beffato dal pubblico, rimane scornato. Scene come questa accadono allo spesso, e, se non per gli espedienti di ‘Nòfriu, si troncano per opera di un uomo che, come gli antichi pedagoghi, sta lì con una piccola sferza in mano a mantenere l’ordine meglio d’un questurino, battendola, secondo i casi, sur una panca o trave, o sulla spalla d’un monello ineducato. Ed è notevole questo: che nessuno reagisce o si querela di questo trattamento, mentre fuori il teatro il custode verrebbe altrimenti caricato d’ingiurie e peggio. Ma all’opra bisogna abbozzare e striderci sopra.
Qualche oprante amico della novità ha messo da parte ‘Nòfriu e preso Peppi-e-Ninu, altra maschera che, sott’altro nome, riproduce, senza che ne scatti un pelo, ‘Nòfriu; ma i buongustai e gli amici del passato non ponno lodare questa sostituzione ingrata verso un carattere che per secoli li ha fatti ridere e divertire. Al Peppi-e-Ninu s’è anche sostituito Virticchiu, che è sempre l’erede legittimo di ‘Nòfriu; ma consolati, o buon ‘Nòfriu, chè sei sempre tu l’antico genio burlesco dell’opra; e tutti i Peppi-e-Nini e tutti Virticchi nati e nascituri spariranno di fronte alla tua sicilianesca figura!
(Nella foto, da destra: ‘Nòfriu, una dama e Virticchio, opera del maestro Vincenzo Argento. Teatro dei Pupi famiglia Argento, Via P. Novelli 1/a, Palermo) 


Luigi Natoli, Giuseppe Pitrè: Il teatro del popolino. Raccolta di scritti sull'Opera dei Pupi e sulle tradizioni cavalleresche in Sicilia. 
Pagine 270 - Prezzo di copertina € 20,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Il volume è disponibile:
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Luigi Natoli, Giuseppe Pitrè: Orlando paladino! Facciamogli largo perchè la sua spada Durlindana è terribile... Tratto da: Il teatro del popolino.


Orlando paladino! Facciamogli largo, perchè la sua spada Durlindana è terribile: spacca una montagna in due, come se fosse un cocomero. È il terrore dei Saraceni, dei ladroni, dei birbanti; perchè è saggio quanto valoroso, ama la giustizia, e non può tollerare le prepotenze. Senza Orlando, Carlo Magno imperatore non varrebbe un fico secco; i Saraceni si piglierebbero Parigi, e quel traditore di Gano di Magonza farebbe morire tutto il fiore dei paladini. 
Bello Orlando, non è vero? con la sua armatura di ottone nichelato, che pare argento; elmo piumato, con la visiera mobile; corazza, sopravveste verde, gambali, scudo... Ha un occhio storto, ma non monta. Eccolo piantato in mezzo al campo, e sfidare, con un vocione da mettere paura, i Saraceni; ecco avanzarsi Ferraù di Spagna, gigantesco, barbuto e valoroso Saraceno. Ed eccoli l’uno e l’altro scambiarsi male parole, sguainare le spade, e menar colpi terribili, zan! zan!... E l’organino suona qualche cosa che accompagna il ritmo dei colpi.
L’organino? Ah, guarda, eravamo così assorti ad ammirare Orlando che avevamo dimenticato di dire che il terribile paladino non è un uomo d’ossa e di carne, ma un omino di legno; e che il campo, sul quale compie le sue prodezze, è il palcoscenico di un teatrino; il teatrino del popolo, l’opra di Pupi, o semplicemente l’Opra. 
I ragazzi del popolo, i monelli di piazza, i contadinelli, che non possono andare nei grandi teatri, dove si cantano le opere e dove bravi attori recitano commedie e drammi, accorrono all’Opra, dove gli attori di legno recitano come quelli di carne. Ed essi li conoscono tutti di nome e di qualità: Carlo Magno, Orlando, Rinaldo, Malagigi, Oliveri, Bradamante, Ruggero, Ferraù, il vecchio Sobrino, il re Gradasso... 
E quando Orlando punisce un birbone, applaudiscono furiosamente; e quando un traditore ne trama qualcuna, essi lo vituperano e gridano alle vittime designate dai traditori, di guardarsi, come se quelle teste di legno potessero veramente sentirli. 
Essi amano i valorosi, ma non i prepotenti; amano la lealtà, ma odiano gli ipocriti; amano i generosi, ma vituperano i crudeli e bestiali. 
Le belle azioni, i nobili sentimenti, le virtù umane ci commuovono e ci empiono di entusiasmo, anche se i personaggi sono di legno...
(Nella foto: il paladino Orlando, realizzato dal maestro Vincenzo Argento - Teatro Opera dei Pupi famiglia Argento, via Pietro Novelli 1/a, Palermo) 



Luigi Natoli, Giuseppe Pitrè: Il teatro del popolino. Raccolta di scritti sull'Opera dei Pupi e sulle tradizioni cavalleresche in Sicilia. 
Pagine 270 - Prezzo di copertina € 20,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Il volume è disponibile:
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