martedì 11 febbraio 2025

Luigi Natoli: Dionigi, l'ambizioso signore che impedì a Cartagine la sua espansione in Sicilia. Tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo

Prima sua cura fu di richiamare gli esuli; poi s’intromise a Gela per risolvere le questioni nate fra il popolo e gli aristocratici. Dionigi fatte pubblicare le accuse contro questi, ne condannò a morte i rei, di che il popolo fu lieto. Di ritorno a Siracusa con l’astuzia si fece eleggere solo comandante, e fingendo di essere stato aggredito, ottenne dal popolo una guardia di seicento uomini; poi simulata una congiura contro di lui, mandò a morte alcuni congiurati.
Entrava la primavera dell’anno 405 a. C. e i Cartaginesi, riprendendo la campagna, marciarono su Gela, e accamparono presso il fiume. In suo aiuto accorse Dionigi con trentamila fanti e mille cavalli; ma la vittoria sperata si mutò in sconfitta. I Geloi e con loro anche quelli di Camarina abbandonarono la città, e furono pietosamente accolti in Siracusa. Qui frattanto alcuni aristocratici, che odiavano Dionigi, approfittando dell’assenza di lui, gli saccheggiarono la casa e maltrattarono la moglie, figlia di Ermocrate. Di che egli, tornato da Gela, prese aspra vendetta.
Fatta la pace con Cartagine, rimasero a costei le città vinte: i Geloi e i Camarinesi potevan tornare alle loro sedi, ma tributarii e senza più murare le città: libere e indipendenti Messana, Leontinoi e i popoli siculi; riconosciuta la signoria di Dionigi sopra Siracusa. Questi allora attese a fortificare Ortigia e a costruirvi dentro una cittadella per farne sua rocca; gratificò di terre i suoi mercenari; e rinsaldata la signoria, potè andare all’assedio di Erbessa Pentalica, che voleva punire dell’avere parteggiato pei Cartaginesi. Ma una ribellione scoppiata a Siracusa, l’obbligò a corrervi. Finse di cedere il potere, ma segretamente fece venire una forte schiera di Campani e altri mercenari, che giunsero inaspettati. Pochi nemici suoi gli vollero resistere, e furono uccisi; i più fuggirono: ma Dionigi li invitò a ritornare con animo tranquillo; tuttavia ne fece morire crudelmente alcuni. Indi disarmò violentemente tutti i cittadini; e sicuro di loro, pensò d’allargare il dominio; e più coll’astuzia che colle armi sottomise Erbita, Catana, Nasso e Leontinoi, e fondò Alesa Arconidia. Tappe queste di quella marcia imperialistica, che mirava a unificare tutte le città di greca origine, e anche sicule, sotto il suo scettro. Ma bisognava liberare l’Isola dai Cartaginesi; e poiché base delle operazioni era Siracusa, pensò di fortificarla e specialmente l’Epipoli; e costruì un muro lungo e solido, munito di torri. Intanto rimasto vedovo passò a nuove nozze con due mogli nello stesso giorno, Doride di Locri e Aristomaca di Siracusa.
L’anno 397 a. C., fatta decretare la guerra contro Cartagine, Dionigi con ottantamila fanti, tremila cavalli e con milizie alleate, andò su Motye; e lasciato ivi Leptine suo fratello, egli col grosso dell’esercito andò a sottomettere Nae, Segesta, Entella, Panormo e Solois. Ritornato a Motye, costrinse Imilcone a ritirarsi in Cartagine. Motye, dopo un’eroica e disperata difesa, cadde e fu saccheggiata, e i cittadini massacrati.
Cartagine intanto, armato nuovo e forte esercito e possente flotta, rimandava Imilcone alla riscossa. Navigò per Panormo: Leptine corse con trenta navi a contrastargli il passo; ne affondò cinquanta da carico, poi, temendo il sopraggiungere della flotta più numerosa, si ritirò. Imilcone sbarcò a Panormo, donde mosse per Motye, che ebbe facilmente; ma Dionigi, indovinando le sue mire, si ritirò a Siracusa, invitando la città a collegarsi con lui, contro il nemico comune. Imilcone occupata Lipara piombò su Messana, e tratte dalla sua le città sicule, mosse contro Siracusa per terra, mentre l’armata sotto il comando di Magone procedeva per mare. Dionigi affidò la flotta a Leptine, e moveva coll’esercito a Catana, quando fu costretto a ripiegare su Siracusa, perchè le navi cartaginesi avevano vinto Leptine, e la minacciavano. Imilcone accampò all’Olimpico, devastò campagne, distrusse tombe, occupò l’Acradina, vi saccheggiò il tempio di Demetra e Core. Ma sopraggiungevano in questa trenta navi spartane richieste in aiuto da Dionigi. Queste, con le siracusie, appiccarono una zuffa, nella quale i Cartaginesi perdettero ventiquattro navi e tra esse la capitana. Questa vittoria, alla quale Dionigi fu estraneo, diede coscienza al popolo di potere restaurare il governo democratico, ma l’umanità di Dionigi spense gli umori del popolo; che allora potè rivolgersi interamente alla guerra. Approfittando di una terribile pestilenza, che decimava il campo cartaginese, assalì i loro forti, mentre la sua flotta comandata da Faracide e da Leptine, attaccava furiosamente quella cartaginese. La mischia fu feroce; i Cartaginesi distrutti; Imilcone potè scampare, ma non volendo sopravvivere all’onta, giunto in Cartagine, si uccise. Immenso fu il bottino, ma più l’effetto morale della vittoria, che ancora una volta respingeva l’invasione straniera. 
Più vasto disegno macchinava nella mente Dionigi: quello di soggiogare l’Italia; e si preparava a muovere contro Reggio. Ma per quella volta l’impresa fallì; perchè egli, indugiatosi nell’assedio di Tauromenio (394 a. C.), vi fu ferito, e per poco non restò preso. Inoltre Magone, raccolti gli avanzi dell’esercito, ritentò la fortuna, e devastate le campagne di Messana, si ritirò ad Abacena; ma qui fu sconfitto da Dionigi.
Cartagine però levato un nuovo esercito, e affidatolo a Magone, lo mandò in Sicilia; ma Dionigi con una tattica di piccole fazioni tanto stancò i Cartaginesi, che li obbligò alla pace. Libero così da ogni timore riprese la guerra d’Italia, e sbarcato a Locri, sconfisse un’armata della lega italiota; ma alla sua volta ebbe le navi sconquassate da una tempesta, e dovette riparare a Messana. L’anno dopo s’impadronì della flotta reggina, e pose l’assedio a Caulonia. I collegati, accerchiati e scoraggiati, si resero a Dionigi, che li mandò liberi senza riscatto, ma distrusse Caulonia. Indi stretta d’assedio Reggio, l’ebbe. Oramai la sua egemonia sulle città della Magna Grecia era stabilita, e Dionigi potè spingersi a combattere gli Etruschi, e a fondare colonie sull’Adriatico, come Ancona, e svolgere una politica, che mirava a essere italiana.
Ma Cartagine, volendo conquistare anche una volta il perduto, mandò un altro numeroso esercito, parte nella Magna Grecia, parte in Sicilia (383 a. C.). In una battaglia, i Cartaginesi furono sconfitti, e lo stesso Magone vi perdette la vita; onde essi, non potendo trattare la pace, domandarono una tregua, che l’incauto Dionigi concesse. Quelli ne approfittarono per rafforzarsi; e spirata la tregua, assalirono i Siracusii, e ne ebbero vittoria. In seguito a ciò trattarono la pace con vantaggi per Cartagine. Ma dopo un intervallo di tempo, nel quale Dionigi mandò i suoi eserciti in aiuto di Sparta, la guerra contro la nemica si riaccese con varia fortuna: Dionigi però non potè condurla a fine, perchè fu colto dalla morte a sessantatre anni, dopo trentotto di signoria. Dicono esser morto per intemperanza nel celebrare il premio conferito a una sua tragedia alle feste dionisiache in Atene; chè Dionigi ebbe velleità letterarie, credendo sè, e facendoglielo credere gli adulatori di corte, grande poeta. Ma le sue composizioni suscitavano il riso e le baie degli Ateniesi, e non giunsero a meritare le lodi del poeta Filosseno, che gli viveva in corte. Ebbe ospite Platone, le cui austere parole però lo disgustarono; abbellì Siracusa, e le diede la magnificenza di metropoli.
La storia e la leggenda lo dipinsero crudelissimo, e tale fu spesso; ma ebbe anche gesti di generosità, e sentì profondamente l’amicizia. Nessuno però può negargli il merito d’aver impedito a Cartagine la sua espansione in Sicilia, continuatore in questa impresa di Gelone; d’avere salvato la civiltà e d’avere inoltre inaugurato una politica italica.


Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo. 
L'opera è la fedele trascrizione del volume originale, pubblicato dalla casa editrice Ciuni nel 1935.
Pagine 509 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno

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