Appena uscito Pietro, don Francesco scrisse due o tre biglietti e li spedì a suoi conoscenti. Convocava la loggia. La sera piovosa e fosca favoriva la riunione clandestina. Da qualche tempo, per eludere l’esercito di spie, sguinzagliato dall’arcivescovo per ogni parte, i fratelli non si adunavano più regolarmente il venerdì; ma quando il Venerabile li invitava.
Mercè una ingegnosa organizzazione l’invito poteva precedere di qualche ora l’adunanza. Il Venerabile avvertiva con una parola convenzionale l’oratore, il segretario e il tesoriere; il segretario passava l’avviso ai due sorveglianti; questi alla loro volta correvano ad avvisare i tre o quattro maestri che avevano i gradi più alti, i quali si incaricavano di convocare gli altri maestri, a loro noti; e ognun di essi, subito, l’iniziato, compagno o apprendista che fosse, da lui introdotto. In una o due ore tutti i fratelli erano così invitati. La parola convenzionale data dal Venerabile, si mutava a ogni convocazione.
La notizia gravissima appurata rendeva urgente e necessaria un’adunanza. La Loggia era minacciata. Sebbene i gradi più alti quando si trattava di adunanze plenarie intervenissero con la maschera sul volto, e gli iniziati non li conoscessero, tuttavia il pericolo di qualche sorpresa per le loro persone non era minore. Bisognava provvedere. Stefano Pascale era stato introdotto nella Loggia da Corrado, che lo aveva creduto davvero un emissario dei repubblicani.
Prima di aprire la porta del tempio, mentre i fratelli s’adunavano a poco a poco nella sala dei passi perduti, don Francesco Paolo Di Blasi si era chiuso con le alte cariche della loggia nella sala di riflessione, in una rapida e grave conferenza. Qualche cosa era trapelata; non si sapeva propriamente di che si doveva trattare, ma si bisbigliava che v’eran gravi cose da discutere, e che un grande pericolo sovrastava alla loggia; onde nei volti, nei passi, nel sommesso interrogarsi quella preoccupazione di un ignoto, del quale ciascuno voleva penetrare il mistero.
Finalmente a tre ore di notte la porta del tempio s’aprì. La sala, tutta nera, era appena illuminata da sette lampade; gli uomini, su quel fondo nero, parevan larve fantastiche. Tutti erano mascherati; un solo non aveva maschera, e si guardava intorno meravigliato di essere il solo col viso scoperto. Era Stefano Pascale.
Tre colpi di martello diffusero per la sala un silenzio grave e profondo. Il Venerabile, con voce solenne e lugubre nel contempo, disse:
- Fratelli carissimi, la santità del tempio è stata profanata. Giuda ha visitata la casa di Salomone, e ha venduto i suoi fratelli. Il nostro segreto è violato; le nostre vite sono alla mercè della tirannide; la nostra causa, la causa dell’umanità, è stata tradita; il traditore è fra noi. Egli si è insinuato nell’anima pura di un nostro fratello; si è fatto credere pieno di entusiasmo per la buona causa; ha chiesto a voi di aprir gli occhi alla luce; ha giurato qui, sotto gli occhi vostri, l’inviolabilità del segreto... E per opera sua quel nostro fratello è proscritto, spogliato, posto a taglione; per la sua delazione il Luogotenente generale è informato dei nostri lavori, e forse in quest’ora stessa sono sguinzagliati contro di noi sgherri e caporali... E pure egli osa venire fra noi; il suo piede sacrilego oltrepassa la soglia sacra; e il suo volto simula, sotto la maschera della fraternità, il tradimento e la perfidia!...
Un mormorio sommesso, ma grave di minaccia percorse le bocche; gli sguardi scintillavano e si incrociavano sotto le maschere nere. Stefano Pascale, pallido, muto, sentiva un freddo sudore bagnargli la fronte, e le gambe tremargli; pure cercava di dominarsi, affettando un sorriso impudente di semplicità e di stupore.
Il Venerabile, dopo un istante di silenzio, riprese:
- Stefano Pascale, avvicinatevi all’ara.
Il falso emissario rabbrividì, le sue gambe si rifiutarono di muoversi; fu necessario un nuovo e più imperioso ordine, perchè egli facesse qualche passo innanzi. Senza aspettare di essere interrogato, con voce strozzata protestò:
- È falso! giuro che è falso!...
Il Venerabile si fece più cupo e più lugubre:
- Voi dichiarate falso ciò che ancora io non vi ho detto. Stefano Pascale, la vostra premura di discolparvi equivale a una confessione. Stefano Pascale, voi siete una spia dell’arcivescovo!...
- È falso!... è falso! – urlò allibito l’emissario dei librai francesi.
- Stefano Pascale, – continuò il Venerabile; – non mentite. Voi avete portato dei libri francesi al carissimo fratello nostro Corrado Calvello, duca di Falconara, esibendovi come emissario della Repubblica; e quei libri uscivano invece dall’Arcivescovato; voi avete, dopo, accusato il nostro fratello, e avete guidato i magistrati al sequestro dei libri; voi vi siete introdotto fra noi, non per essere iniziato nella via della verità, ma per venderci; voi, tre ore fa, appena ricevuto l’invito, siete andato all’Arcivescovato ad avvertire monsignor Luogotenente. Stefano Pascale, tu sei un traditore.
Un silenzio sepolcrale seguì alle parole del Venerabile. L’accusato non aveva osato ribattere; s’era visto perduto. In quel momento tre colpi furono battuti alla porta. Una voce dall’esterno gridò:
- I profani invadono il tempio!...
I due sorveglianti e il “fratello terribile” si avvicinarono alla porta e aprirono.
- La polizia! la polizia!!...
- Impadronitevi del traditore – sclamò il Venerabile, – e coprite il fuoco!...
Un tumulto di voci, un agitarsi di mani, un confondersi di persone seguirono immediatamente a quelle parole: tutti si strinsero attorno a Stefano Pascale; dei pugnali balenarono:
- Traditore! traditore!...
Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine '700.
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 880 - Prezzo di copertina € 25,00
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