venerdì 2 agosto 2024

Luigi Natoli: L'ombra dei vostri padri, uccisi dall'ingordigia altrui, parla per la mia bocca... Giurate! Tratto da: Il paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano

Essi stavano così, in un silenzio popolato di pensieri tumultuosi, quando il pastore si affacciò alla bocca della grotta, e disse: 
- Padre, c’è quel giovane cavaliere…
Il Romito alzò il capo. Simone apparve nella luce viva dell’apertura. Egli sembrò contento di trovarvi ancora Giovannello.
Dopo aver baciato la mano di Filippo, disse: 
- Temevo di non giungere in tempo…
Il Romito era pallido e affannato, e la sua fronte madida di sudore: disse ai giovani, senza dolore, senza rimpianto, con austera semplicità: 
- Io muoio… Sia fatta la volontà di Dio!... Ma prima che io muoia, figli miei, giuratemi qui, di non lasciarvi mai, e di riconquistare l’onore e la gloria della casa. L’ombra dei vostri padri, uccisi dall’ingordigia altrui, parla per la mia bocca… Giurate!
Giovannello e Simone, in piedi, colti da un brivido superstizioso, come se realmente le ombre sanguinose dei loro padri fossero balzate dinanzi ai loro occhi, stesero la destra, e a una voce dissero solennemente: 
- Lo giuriamo!...
Il volto di Filippo si illuminò di gioia; ma di nuovo il pallore vi si diffuse; e lo sforzo durato esaurì le ultime sue energie, sì che cadde supino. I due giovani si chinarono per sollevarlo. 
- Portatemi fuori, fatemi vedere il cielo, – disse con un filo di voce.
Con delicatezza, lo presero fra le braccia, lo alzarono da terra e lo portarono fuori dalla grotta, intanto che il pastore raccoglieva le pelli, che distese per terra e sopra un sasso a guisa di spalliera, al quale fu appoggiato dolcemente il Romito. 
Tramontava. 
Gli ultimi raggi del sole fiammeggiavano una luce vermiglia, dentro la quale pareva che le rocce, gli alberi, le erbe si incendiassero. La grotta sembrava di bronzo incandescente. Sotto quella luce, il pallore mortale di Filippo scompariva; e il suo volto pareva sfavillare di una divina aureola. 
I due giovani guardavano in silenzio, presi da un senso di terrore religioso. Il silenzio si stendeva per tutta la montagna, per la valle ampia, che s’andava sprofondando in un’ombra cinerea. Non una voce umana: ma la misteriosa e potente voce della natura, che celebrava in una solennità taciturna il grande mistero. 
La gran luce del mondo scendeva dietro ai monti e le tenebre si stendevano e avvolgevano tutte le cose; e la luce di un’anima si spegneva anch’essa, e le tenebre eterne calavano su quegli occhi e avvolgevano quelle membra. Una notte nel cielo e sulla terra, una notte in una creatura umana. 
Filippo mirava, forse senza vederlo, il rosso disco del sole scendere dietro i monti lontani; e i suoi occhi sembravano animati dal riflesso della luce; quando l’ultimo punto luminoso scomparve, e l’aria divenne grigia, e il monte, gli alberi, tutte le cose presero un color plumbeo, tetro e incerto, quelli si spensero. Allora il volto di Filippo apparve orribile, livido, solcato da ombre profonde. 
Egli mormorò qualche parola. 
I due giovani si chinarono per udirlo meglio. Parve loro di cogliere nel soffio di quello spirito una parola: 
- Ricordatevi!...
Poi più nulla. 
L’ombra era discesa. 
Giovannello e Simone sollevarono pianamente il corpo di Filippo, lo distesero per terra; gli incrociarono le braccia sul petto e vi posero un piccolo Crocefisso che era nella grotta; indi accesero una torcia di resina: e inginocchiatisi, recitarono le preci dei defunti. 
Vegliarono tutta la notte col pastore. All’alba scavarono una fossa dentro la grotta e vi seppellirono il cadavere, umido e fresco della rugiada discesa nella notte. Sopra la terra smossa, il pastore pose alcuni sassi, come un monumento; poi si segnò e uscì dalla grotta e se ne andò senza dire una parola, a raggiungere i suoi compagni e il gregge. 
Giovannello e Simone scesero dalla montagna: a Belpasso ritrovarono i cavalli. Tornarono in Catania col cuore stretto dal dolore, e il cervello tempestato da pensieri. 


Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato a dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1921.
Copertina di Niccolò Pizzorno
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