giovedì 19 dicembre 2024

Luigi Natoli: Un presepe alla vigilia della rivoluzione del 1848... Tratto da Chi l'uccise? Romanzo storico siciliano

Padre don Nunzio stava aggiustando gli apparati per trasformare una delle cappelle della parrocchia di san Nicola in grotta per accogliervi il Bambino Gesù, la notte di Natale. Mancavano ancora dieci giorni, ma il sedici dicembre cominciava la “novena”, e si doveva celebrare innanzi alla cappella trasformata.
Il brav’uomo, in sottana nera succinta, aiutava lo scaccino e il seggiolaio a mettere a posto i vari pezzi di sughero dipinto e incollato su armature di legno, che congiunti con apposito disegno, venivano a costruire al sommo dell’altare la grotta, cornice di Dio fatto uomo.
Ma i collaboratori non lasciavano soddisfatto padre don Nunzio, che dimenticava di trovarsi in chiesa, si lasciava scappare certe esclamazioni, che avrebbero fatto arrossire perfino le seggiole.
- Ponila più su… non così… più a destra… Che ti pigli un accidente. Più giù… Basta così… E tu, che santo diamine fai costì? Leva quel sughero; non vedi che par che caschi addosso al Bambino?
E qui un’altra mala parola da non potersi scrivere.
- Ora andate a desinare, che è tardi; ma tornate fra due ore. Vi bastano? Stasera tutto ha da essere bello e fatto. Avete sentito quello che hanno fatto a Roma i nostri compatrioti? E c’era il Papa; quel sant’uomo del Papa! Dunque fra due ore.
Per capire il discorso di padre don Nunzio bisogna sapere che i Siciliani residenti a Roma avevano festeggiato la Consulta creata dal Papa, andando nel corteo con gli altri, inalberando la bandiera tricolore, la sola che si vide a Roma in quella occasione. Questa notizia era stata comunicata ad alcuni amici di Palermo; e padre don Nunzio l’aveva saputa e detta in confidenza ai suoi fidati. E aveva immaginato una cosa spettacolosa: far nascere il Bambino fra un nembo di tricolori; tre colori nella paglia, tre colori nei raggi, tre colori nella coda della stella fatale. Come sarebbe andata non ci pensava: avrebbe però voluto vedere se i poliziotti si sarebbero rischiati di portare le mani sulle cose sante dell’altare.


Luigi Natoli: Chi l'uccise? Romanzo storico ambientato nella Palermo del 1848, al tempo della rivoluzione. 
Pagine 146 - Prezzo di copertina € 13,50
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita per chi ordina da Palermo - ovunque con corriere o posta raccomandata).
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Luigi Natoli: Qualche giorno prima di Natale il tempo s'era rasserenato, e un bel sole splendeva nell'azzurro cielo... Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano


L’inverno di quell’anno si annunciava triste e minaccioso; cattivi raccolti, scarse importazioni, commerci ristagnati, miseria e desolazione dovunque. Dalle provincie accorreva alla capitale una folla di uomini e donne, di vecchi e di fanciulli, attirati dal miraggio di una ricchezza che alle loro menti pareva disposta perchè tutti vi attingessero; e dalla fama dei provvedimenti ai quali il Senato ricorreva, con una facilità che poteva creare l’illusione di uno stato finanziario floridissimo, e che invece trascinava l’amministrazione municipale al fallimento.
La nobiltà elegante, frivola, spendereccia, spensierata, alla quale bastava e soverchiava quel che dai feudi, accumulati in poter suo, proveniva ogni anno sotto vari titoli; che non visitava mai i proprii feudi, non curava di migliorare l’agricoltura; e ignorava che cosa fosse la miseria; questa nobiltà vedeva con dispetto quell’agglomerarsi di affamati e seminudi, dagli aspetti torvi e macilenti; e non trovava altro rimedio che incitare il governo a ricacciarli via nelle province, verso la fame e la morte.
Ne derivavano furti e depredazioni, talvolta omicidi, e conseguenza inevitabile, il gittarsi alla campagna, per sfuggire alla polizia, aumentando il numero degli sciagurati che, più spesso radunati in bande, rendevano mal sicure le strade maestre e le campagne.
Le condizioni di viabilità, la polizia imperfetta, agevolavano le imprese brigantesche. Varî luoghi, dove la facilità delle sorprese assicurava l’esito, avevano acquistato fosca rinomanza, e non vi si passava senza trepidazione.
Tutt’ora rimangono qua e là, in alcune contrade, nomi paurosi, e nel linguaggio popolare frasi che ricordano le grassazioni frequenti e abituali, di cui quei luoghi erano il teatro.
Uno di questi era noto col nome di Malpasso. Non era molto lontano dalla città, e forse non sarebbe stato difficile a una polizia bene ordinata di vigilarlo. Tuttavia le rapine, le grassazioni a danno dei vetturali e dei carrettieri o della corriera postale vi erano continue e audaci. La campagna vi offriva tali nascondigli, che, compiuto il colpo, le bande vi si potevano dileguare senza esser vedute.
V’era una piccola osteria; almeno tale sembrava dalla frasca di alloro che vi sporgeva dallo stipite della porta sulla strada. In verità era una meschina casetta di pietre e fango, senza ammattonato; due stanze, nella prima delle quali era una tavola sudicia e barcollante, e alcune panche di legno non meno sudice e malferme, un piccolo banco e una botte; nell’altra stanza, dove non a tutti era concesso di entrare, si apriva un’altra porta che dava nella campagna.
I carrettieri, i “canceddi”, i corrieri, si fermavano un istante, sulla porta, a bere un bicchier di vino, per ristorarsi; scorgevano talvolta nell’interno delle facce torbide e spaventevoli, e un luccicar di canne di fucili e di tromboni; e allora si raccomandavano ai santi e alle anime del purgatorio, e si affrettavano a partire. L’oste aveva un viso doppio e traditore: pareva a prima vista un brav’uomo contento e buon amico di tutti; ma aveva sotto quella maschera un sogghigno malvagio e poco rassicurante. Egli era per la sua sicurezza la spia, il manutengolo, il provveditore delle bande brigantesche, pur fingendo di essere nel tempo stesso la spia della giustizia, pur troppo continuamente ingannata dalle sue false indicazioni
Da parecchi giorni era piovuto; e le strade eran così fangose, che le ruote dei carri vi affondavano e vi aprivano dei solchi che si sovrapponevano o si intersecavano e rendevano difficile e faticoso il cammino. Ma qualche giorno prima della festa di Natale il tempo s’era rasserenato, e un bel sole ristoratore splendeva nell’azzurro del cielo. Lunghe “retini” di muli e carri, pieni di agnelli, di maiali, di caci, di tutto ciò che la provincia inviava alla voracità cittadinesca, e che i feudi mandavano ai signori, percorrevano le strade. Chi per sue faccende si trovava lontano dalla capitale, approfittando del bel tempo, si affrettava a tornare: cosicchè non era infrequente incontrare una lettiga, dondolantesi alla cadenza delle sonagliere, che trasportava qualche signore o qualche procuratore.
I “borgesi” viaggiavano a cavallo. Raramente s’incontrava la compagnia dei cavalleggeri, addetta alla sicurezza delle strade e delle campagne. Essa accorreva, quando accorreva, dopo qualche grande e audace aggressione.
L’antivigilia del Natale due cavalli fermatisi dinanzi all’osteria di Malpasso fecero accorrere l’oste premuroso. Due giovani cavalieri ne smontarono, con le carabine in mano. Uno di essi, gittando le redini nelle mani dell’altro, disse all’oste:
- Avete da mangiare?
- Eccellenza, – rispose l’oste – che cosa vuole che una povera bettola di campagna abbia? Un pezzo di formaggio e del pane casalingo... Non sono cose per...
- Sta bene. Basta per togliere la fame...



Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo borbonica del 1792. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale, pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 880 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
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mercoledì 18 dicembre 2024

Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII. Racconto storico, il primo scritto dall'autore a quattordici anni.

Per un caso fortunato, abbiamo trovato questo volumetto, il primo racconto storico pubblicato da Luigi Natoli nel 1877. Da lui scritto a 14 anni, dopo averlo riveduto e corretto lo pubblicò qualche anno dopo, come l'autore stesso spiega in una intervista del 1926.

Come son diventato scrittore? veramente io dovevo darmi alla pittura, e la studiai qualche anno, a riprese, quando ero un ragazzetto di dieci a dodici anni. 

A farmi mutare strumento concorse il mio professore di seconda ginnasiale, padre Vincenzo Ramirez, che una volta in pubblica classe, mi disse: “Spero di vivere tanto da leggere le cose vostre stampate”. Buona e cara memoria di maestro, che troppo fidò!... Dio gli perdoni di aver fatto di me uno scribacchiatore. 

Nella vita letteraria entrai per tempo: a quattordici anni scrissi un romanzo; che sei anni dopo mia madre (quali illusioni non crea l’amore materno?) volle farmi stampare; e – quando si dice la predestinazione! – era un romanzo storico siciliano! E fu stampato giusto nel 1877. 

Il racconto (pagine 113) è ambientato nel 1647, al tempo della rivolta di Giuseppe D'Alesi, in una Palermo tormentata dalla tirannide della dominazione spagnola sotto il vicerè Los Velez e la crudeltà dell'Inquisizione. 
Accanto al protagonista Giulio Federici, di invenzione dell'autore, si muove la figura di Giuseppe d'Alesi e la rivolta che portò alla fuga del vicerè ed all'epilogo finale. 
Affascinato dalla figura del rivoluzionario, e mettendo come in tutti i suoi romanzi storici la lotta del popolo per la libertà, Luigi Natoli dedica al d'Alesi un Canto, a conclusione del racconto. 
La copertina, opera di Niccolò Pizzorno, ritrae Giuseppe d'Alesi nella rivoluzione con sullo sfondo la cupola della chiesa di S. Giuseppe dei Teatini. Il lettore capirà il perchè. 


Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII. 
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato nel 1877 dallo stabilimento tipografico diretto da P. Pensante. 
Pagine 113 - Prezzo di copertina € 15,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
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Luigi Natoli: Costumanze natalizie. Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie.

Durante nove giorni che precedono il Natale, a partire dal 16 dicembre, i ciaramellari o i suonatori di violino, vanno in giro; e dinanzi alle edicole e alle cappellette o nelle case dove sono accaparrati per tutta la novena, suonano la pastorale, e cantano brevi canzoncine intorno alla nascita di Gesù.
Quando per la prima volta si sente il suono della ciaramella, un sentimento di gioia sorride in tutti i cuori: essa è l’annunciatrice del Natale.
I ragazzi costruiscono il presepe, o lo acquistano bello e fatto. È una piccola scena, che di solito rappresenta una montagna, nella quale si aprono due grotte. Per le rocce si usa il sughero che è scabroso e le imita bene; qua e là ci si mettono casette, torri, fichidindia di argilla dipinta, capanne. E poi vi si dispongono i pastori, che così si chiamano tutti i personaggi: in una grotta mettono Maria, Giuseppe, il Bambino, l’asino e il bue; e dinanzi alla bocca della grotta il suonatore di ciaramella, il pifferaio, i pastori che offrono doni. Altri pastori e pastorelle si spargono per le rocce: quale con un fascio di legna, quale dormente, o spaventato dalla luce, o spingendosi innanzi un asinello carico di cavolfiori: altri pastori dentro la seconda grotta attendono a far caci e ricotte.
La notte di Natale si accendono lampadine che illuminano la scena; ed è una festa pei ragazzi. E se si può, si fa venire il ciaramellaro a suonare la pastorale e a cantare:

A la notti di Natali,
ca nascìu lu Bambineddu,
e nascìu ’mmenzu l’armali.
’mmenzu un voi e un asineddu.

E poi si va a cena. È la cena più allegra, anche se povera. La massaia ha preparato il dolce di occasione, secondo l’usanza del paese, e sulla tavola abbonda la frutta secca.
Durante la novena, ma più la notte di Natale, nelle case si gioca alla tombola, per pochi centesimi; poi si va alla messa di mezzanotte: perché la notte di Natale nelle chiese si dice messa, e il prete ne celebra tre.
E così si aspetta il domani, che è la festa grande, e in tutte le case c’è pace e gioia, come se vi fosse sceso Gesù Bambino a benedire con le sue manine gli uomini di buona volontà.



Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie. 
Con le illustrazioni dell'epoca. 
L'opera è la fedele trascrizione del volume originale, pubblicato con le Industrie Siciliane Riunite nel 1925.
ISBN: 9791255470205
Pagine 210, ill.
Prezzo di copertina € 19,00
La copertina di Niccolò Pizzorno riproduce quella dell'epoca. 
Il volume è disponibile:
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martedì 3 dicembre 2024

Luigi Natoli: Non parricidio quello del 4 dicembre 1563, ma uxoricidio, come sospettò il Pitrè... Tratto da: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue.

Il signor Pietro Barcellona di Carini, raccogliendo in un grosso volume di varia materia, le memorie della sua terra natale, e rifacendo secondo la sua fantasia o leggenda o “storia vera” della baronessa di Carini, praticò delle ricerche in quell’archivio  parrocchiale, già frugato dal Salomone-Marino; e trovò nel registro dei morti dall’anno 1559 al 1575, a carte 38, verso, sotto il mese di dicembre, le due noterelle conosciute oramai dagli studiosi, ma che giova riprodurre: 


A di 4 dicembre, VII ind. 1563, fu morta la Baronessa
Laura La Grua. Seppellio a la matri ecl.” 

A scanso di equivoci noto qui, che alla dizione “fu morto, fu morta” non do, come ha fatto qualcuno, il significato toscano di “fu ucciso”. Essa è la traduzione del latino mortus, mortua est, ed equivale a “morì”. È la forma usata in Sicilia, in tutti gli atti di morte e dai cronisti.
  
E immediatamente sotto: 
“Eodem, fu morto Ludovico Vernagallu ecc.” 
Eodem, cioè lo stesso giorno.
 
La data è identica a quella del diario del Paruta; ma il nome della donna non è quello dato dall’Auria, né quello del poemetto; invece di “Caterina” essa di chiama “Laura”; e il Vernagallo, morto lo stesso giorno – si noti bene – non è quel Vincenzo che se ne andò in Spagna e di cui favoleggia il poemetto, ma un Ludovico, diverso dal padre di Vincenzo, il marito di Elisabetta La Grua, che già era morto sette anni prima, come afferma il Salomone-Marino.
Nessuna delle figlie di Vincenzo La Grua si chiama Laura, e nessuno dei fratelli di Vincenzo Vernagallo si chiama Ludovico. Perché fra i Vernagallo – ramo diretto – spunti un altro Ludovico, bisogna giungere agli ultimi del secolo XVI o ai principi del seguente, e trovarlo fra i figli di Alvaro, nipote di Vincenzo. 
Il chiaro Salomone-Marino vide nell’archivio parrocchiale l’atto di morte di Laura La Grua, e lo cita, sebbene non esattamente, ma non vide o non curò quello di Ludovico Vernagallo. Tuttavia persuaso della esattezza delle sue indagini, e non dubitando che l’uccisa – se fu uccisa – fosse Caterina, opinò che se non si trattava di errore materiale di scritturazione, poteva quel “Laura” essere un secondo nome della fanciulla; ma le sue ricerche sul proposito non ebbero successo, non essendogli stato possibile ritrovare la fede di nascita di Caterina.
Né pare gli sia balenato nella mente che la “Signora di Carini”, questa Laura La Grua, “baronessa” così chiaramente notata nel documento parrocchiale, potesse essere la moglie del barone don Vincenzo, la quale, appunto aveva nome Laura. E pure, lo stesso dotto raccoglitore trovò che a 21 ottobre del 1564 – circa un anno dopo – don Vincenzo La Grua passava a seconde nozze con Ninfa Rois o Ruiz dei Santo Stefano; e l’11 marzo 1565 a terze nozze con Paola Sabia della famiglia Spinola. Nessun dubbio quindi doveva sorgere, che la baronessa Laura La Grua, morta in Carini il 4 dicembre 1563 fosse proprio la “Signora di Carini”; dei Diarii; fosse cioè la Laura Lanza, moglie di don Vincenzo La Grua, barone, e perciò “Signore di Carini”. 
Non parricidio perciò, ma uxoricidio come sospettò il Pitrè; non un padre ferocissimo e mostruoso che, per odio di famiglia, si bagna del sangue della figlia, ma un marito oltraggiato laidamente, che, date le idee del tempo e della razza, compie un nobile gesto vendicatore dell’onor vilipeso. 


Luigi Natoli: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue.
Raccolta di storie e leggende trascritte dal volume originale Storie e leggende, pubblicato in Palermo dalla casa editrice Pedone Lauriel nel 1892. Alla raccolta è stata aggiunta la novella "La signora di Carini" pubblicata nel Giornale di Sicilia nel 1910 con pseudonimo di Maurus, "Un poemetto siciliano del secolo XVI" estratto dagli Atti della reale accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo (serie III - vol. IX - Palermo 1910) e "Storia della Baronessa di Carini (sec XVI) estratto da "Musa siciliana" con note dell'autore - Casa editrice Caddeo 1922. Il volume raccoglie quindi, a parte le altre leggende su famosi "casi" siciliani, tutto quanto Luigi Natoli scrisse sul famoso "caso" della Baronessa di Carini.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Pagine 310 – Prezzo di copertina € 21,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia).
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102).

Luigi Natoli: Ella sentì lo stridore della lama e un brivido gelato le corse per le vene... Tratto da: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue

 
Ella correva dietro al suo sogno, cercandolo tra le nubi dorate che erravano nel cielo; quando un frequente scalpitare di cavalli distolse gli occhi suoi.
Guardò giù nel piano; un gruppo di cavalieri che ella non distingueva ancor bene, saliva già la collina; uno di essi andava innanzi, incitava il cavallo, come per infondergli lena; il cavallo incurvava la nobile testa sul petto fumante, ed allungava il passo su lo scosceso sentiero che serpeggiava fra le rupi.
Donna Caterina guardava con sospettosa curiosità; chi potevano essere quei cavalieri? E quale urgenza li pungeva? E che venivano a cercare nel castello? Quando furono più vicini, il cavaliere che andava innanzi levò la testa in su. Donna Caterina trasalì; un fremito ghiacciato serpeggiò per le vene; le gambe le tremarono; stette come inchiodata dal terrore nel balcone.
Aveva riconosciuto suo padre...
I cavalli erano arrivati su la spianata; il signor barone, veduta la figliuola, aveva cacciato gli sproni nei fianchi del cavallo, levando il pugno minaccioso verso di lei. ella vide i cinque cavalieri svoltare l’angolo, e poco dopo sentì risonare i ferri sul selciato della corte. Allora fece uno sforzo, entrò nella sala, e si appoggiò alla spalliera di un seggiolone: in quel momento la porta si aprì con fracasso; il barone don Vincenzo, seguito da un bravaccio, balzò nella sala come l’avvoltoio su la colomba.
Si fermò innanzi alla figliuola, incrociando fieramente le braccia sul petto, e guardandola quasi per scoprire sul suo volto le tracce degli ultimi baci peccaminosi.
Ella tremava, pallida, atterrita, non osando levare gli occhi su quelli del padre, sul cui aspetto aveva letto chiaramente la sua condanna.
Stettero un minuto così, in silenzio, l’uno di faccia all’altra; il bravo, bieco e triste, se ne stava aspettando, su la soglia dell’uscio. Donna Caterina si sentiva venir meno; perché la sala non sprofondava, inghiottendola? Perché non moriva ella in quel punto, per sottrarsi alla vergogna, alla collera, al castigo?
Ah, ella lo sapeva bene, lo sentiva dentro di sé, perché era venuto il padre, ma furono quelle le parole che le vennero su le labbra, ed ella le disse forse per nascondersi la spaventevole risposta che le agghiacciava l’anima. E ripetè, senza sapere quello che si dicesse, fuori di sé:
- Perché siete venuto, signor padre?
- Sono venuto per ammazzarvi! – rispose il barone cupamente, e sguainò la spada.
Ella sentì lo stridore della lama uscente dalla guaina e un brivido gelato le corse per le vene: si buttò in ginocchio, giungendo le mani con una espressione disperata di preghiera e di dolore. Una rapida visione le passò innanzi agli occhi, la visione del peccato; morire senza un ultimo conforto, senza il conforto di Dio? Si risovvenne delle parole di frate Arcangelo, del tempo trascorso senza pregare, della chiesa fatta per lei un ritrovo d’amore, dello scandalo seminato, dell’infamia che pesava sopra di lei, della dannazione dell’anima... Una spaventevole visione infernale! Voleva farla morir così? Voleva dannarla a una disperazione eterna? Senza fine? Senza tempo?
- Signor padre!... – supplicò – signor padre, lasciatemi dunque confessare.
- Confessarti? – stridette con un sogghigno feroce il barone – confessarti?... domandi un confessore? E per quanti mesi non hai avuto bisogno di confessarti? Di’!
Le si accostò, sollevandole ruvidamente la testa e piantandole gli occhi negli occhi.
- Dillo! Quanti mesi sono che trascini il mio nome nel fango? Che ti abbandoni negli abbracci impuri di un mio nemico? Che insozzi la casa mia, che non conosce infamia?
Ella si coperse il volto con le mani:
- Oh abbiate pietà di me, abbiate pietà... Esterrefatta, disperata, non sapendo a qual partito appigliarsi, donna Caterina balzò in piedi, fuggendo verso le stanze. Il signor don Vincenzo le si slanciò dietro, bestemmiando, ella fuggiva verso la sua cameretta...


Luigi Natoli: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue. 
Raccolta di storie e leggende trascritte dal volume originale Storie e leggende, pubblicato in Palermo dalla casa editrice Pedone Lauriel nel 1892. Alla raccolta è stata aggiunta la novella "La signora di Carini" pubblicata nel Giornale di Sicilia nel 1910 con pseudonimo di Maurus, "Un poemetto siciliano del secolo XVI" estratto dagli Atti della reale accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo (serie III - vol. IX - Palermo 1910) e "Storia della Baronessa di Carini (sec XVI) estratto da "Musa siciliana" con note dell'autore - Casa editrice Caddeo 1922. Il volume raccoglie quindi, a parte le altre leggende su famosi "casi" siciliani, tutto quanto Luigi Natoli scrisse sul famoso "caso" della Baronessa di Carini.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 310 – Prezzo di copertina € 21,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia). 
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), 

giovedì 28 novembre 2024

Luigi Natoli: Ed intanto la peste infieriva, per una siccità aggiuntasi ad altri mali... Tratto da: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII

Correva allora il febbraro 1647 ed in Palermo scorgevasi una calca, un’affluenza insolita. Le granaglie venivano meno anche in questa città, ma non osando il comune far ciò che aveva fatto quello di Messina, soffriva una perdita di cento scudi al giorno. 
E non ciò solo: numerose turbe venivano dall’interno dell’isola, dove il pane o non si vedeva, o si comprava caro, per abitare dove il pane si dava a buon mercato. Intere famiglie, lacere, smunte, trascinandosi dietro vecchi e ragazzi, erravano di notte, nell’imperversare dell’inverno, per le piazze e per le vie, senza asilo, languenti pel digiuno, rendendo funesta la città con quell’apparato di miseria. Si confidava nel futuro ricolto, ma le pioggie incessanti, infracidirono il grano nei solchi, e fu necessario seminarlo nuovamente. Ciò naturalmente diminuiva i viveri, mentre le turbe sopravvenute aumentavano il consumo. 
L’ammasso di queste turbe, per così dire, stivate nella capitale, le morti che per la fame si succedevano con frequenza, aggiunsero, solita compagna della carestia, una fiera pestilenza; la quale si estese tanto, quanto maggiore era il numero degli abitanti, e s’ebbe nuovamente a vedere lo spettacolo orrendo di gente affamata, presa dalla peste, morire sul lastrico priva di aiuto. 
Ad ogni passo porte chiuse, e sulla soglia stesi cadaveri puzzolenti, o ammalati, che poco aveano di vita, e dovevano contemplare quello sconcio spettacolo; qua e là uomini e donne difformati dalla fame o dal contagio contorcersi tra gli spasimi dell’agonia senza un gramo di assistenza; altri vagavano in mezzo a tanto orrore, con una cera di spavento; e bambini stecchiti, macilenti spremere invano le smunte mammelle, in cerca di latte, ed agonizzare sulle braccia delle madri; ed i genitori con occhi stralunati cercare un pezzo di cuoio, un osso spolpato, schifosi animali, da porgere ai figli; altri con le unghia raschiare rabbiosamente l’erba che cresceva nelle muraglie, e rosicchiarla avidamente, e contenderla con altri ammalati, che l’avrebbero voluta per sollevare le perdute forze. Né il governo, né i ricchi pensarono di rimediare in alcun modo; essi col più perverso egoismo pensavano a loro, cui la fame nulla, il contagio pochissimo danno facea. 
Solo schifosi monatti percorrevano le strade su carri carichi di morti, gettativi come legna, e bestemmiavano e trincavano, facendo un contrasto di orrore con i gemiti dei moribondi. Pochissimi, e del popolo mezzano, in quel frangente, soccorsero quanto meglio poterono, la misera plebe, e tra questi la famiglia Velasquez; e Giulio, da essa nascosto, non ebbe paura di mostrarsi pubblicamente per aiutare chi soffriva. Ci fu chi, vistolo, fece la spia, ma non parendo prudente farlo arrestare in quel punto, si aspettò che passasse il flagello, tenendolo sempre d’occhio. 

Ed intanto la peste infieriva, e moltiplicandosi le vittime, per una siccità aggiuntasi agli altri mali, divenuto strabocchevole il numero, si dovette convertire, per cura di gente pietosa, qualche chiesa in ospedale; e del clero specialmente i Crociferi, molti si mossero allora per assistere chi di peste e chi di fame languiva. 
Ma non bastando i rimedii umani, si corse ai soprannaturali, e, contro il parere di pochi, fra cui Padre Giovanni, che in quella pestilenza parve agli afflitti l’angelo consolatore, si trasse dal duomo, dove esisteva, una antica effigie del Crocifisso, creduta opera dell’Apostolo Nicodemo, e con grande processione si portò nella Chiesa di S. Giuseppe, di poco edificata, e vi si espose. Per più giorni di seguito fu un affluire di genti al tempio, processione di fedeli d’ogni sesso ed età, vestiti di sacco, sparsi di cenere, flagellandosi in pubblico; tralasciato ogni lavoro, ove non fosse rivolto all’estinzione del contagio, e da per tutto preghiere e processioni e penitenze, che colpivano ed esaltavano le menti commosse.
Finalmente il male cominciò a estinguersi, la pioggia invocata venne; il miracolo parve fatto, e fu una festa da non si poter narrare...


Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII.
Racconto storico. 
L'opera è la fedele trascrizione del racconto originale pubblicato a Palermo nel 1877 dallo Stabilimento Tipografico diretto da P. Pensante. La prima opera dell'autore, incontrata per un fortunato caso.
Pagine 114 - Prezzo di copertina € 15,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=giulio%2520federici
Su tutti gli store di vendita online. 
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se Villabianca 102). 

mercoledì 27 novembre 2024

Luigi Natoli: Era l'ottobre del 1646... Tratto da: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII. Racconto storico.

 
Se sdraiato sotto la tenda di una barchetta, movete dal capo Zafferano a mezzogiorno, vi si para innanzi una veduta incantevole, che anco vostro malgrado, siete nella necessità di ammirare. Figuratevi un cielo di un azzurro caldo, trasparente e quasi sempre limpido, un mare ancor più azzurro, increspato lievemente sulla sua superficie, che par sorrida, ed orlato alla riva di abbagliante spuma. A sinistra le montagne di capo Zafferano, correndo a vallate sino al monte Grifone, dal quale si parte una catena non interrotta di monti, che, segnando un arco in una valle aperta, va a finire col monte Pellegrino, a destra. Negli spazii lasciati dalle valli si scorgono altre catene, e poi delle altre, che si perdono con l’azzurro del cielo. Nella valle, in riva al mare, in mezzo a verzura ed a fiori sempre vivi, sorge Palermo; bella, altera, coraggiosa, specchiandosi nelle limpide acque del golfo per mirarvi le sue superbe bellezze, come voluttuosa odalisca del Bosforo nelle acque del bagno. Allora voi sarete costretto a sorridere, e a mandare un saluto alla storica città.
L’autunno in Sicilia di giorno è quasi sempre sereno, di notte spesso rinfresca la terra delle sue piogge; quasichè il sole, pria di seppellirsi nelle nebbie invernali, voglia risplendere per l’ultima volta, ad onta del verno che si avvicina, e conceda a questo la sola notte. 
Noi siamo in un’epoca remota nel nostro racconto, e fa d’uopo che i miei dieci lettori mi ci accompagnino, se avranno tanta pazienza: ad ogni modo, ancorchè voi mi lasciaste, io continuerò la mia storia sino alla fine. 
Era l’ottobre del 1646, il sole sprazzava tra certi nugoloni a strisce orlate di fuoco i suoi ultimi raggi, i quali tingevano di una luce vermiglia le cupole ed i più alti edificii della città; spirava un venticello leggero, il quale, a misura che il sole cadeva, ringagliardiva, e spingeva le nubi, che s’imbrunivano, e davano al mare una tinta fosca. Alla malinconia della natura moribonda s’univa in quel tempo lo spettacolo, più che affligente, della miseria, in cui versava Palermo, anzi tutta la Sicilia. 
Che si potea vedere in una città, dove la tirannide più spietata era coperta dal velo dell’ipocrisia? Ove il governo non avea altra cura dei sudditi, che smunger loro danaro anche dal sangue? e quando noi diremo dei sudditi, non sono da intendercisi i nobili e il clero, chè anzi la tirannia veniva principalmente da essi; ma il solo popolo minuto, come dicevasi, la sola plebe, che si cercava di avvilire con l’ignoranza e la superstizione, per renderla soggetta ciecamente alla nobiltà e al Clero. I quali non erano più quelli dei tempi normanni, difensori del proprio diritto, oppositori agli atti dei re; ma erano servi dei potenti di Spagna, per potere spadroneggiare a loro bell’agio sui vassalli e sulla plebaglia, sul rifiuto del mondo. 
Trasportatevi con l’immaginazione nella Palermo degli Spagnuoli; camminate per quelle strade squallide, silenziose, dove di quando in quando non incontrate altro che accattoni cenciosi da muovervi a schifo, o cadaveri di gente affamata, che vi faranno abbrividire. Le porte delle case chiuse, le botteghe deserte e molte di esse segnate con una croce; chi sa quante vittime furono colà mietute dalla peste! Mettete a canto ciò i nobili adulatori, pieni di gemme e d’oro, che con un solo bottone del giustacuore potrebbero sfamare centinaia di infelici, e che invece dànno feste, dànno divertimenti, nei quali il popolo non fruisce che della sola vista delle magnificenze proprie dei tempi spagnuoli. Eppure se qualcuno osava di alzar la voce e reclamare i diritti del popolo, non i tiranni, ma la stessa nobiltà gli scagliava addosso l’orde degli sgherri del Sant’Offizio, o gli alguazili, o i micheletti, sprezzatori dell’odio che animava il volto di coloro; che, forse, avrebbero fatto ritornare i tempi del 1282. Ecco qual era il governo di Spagna in Sicilia, governo che le lapidi del tempo chiamano felice!...
A poco a poco le nubi s’erano distese sul cielo, e l’aere s’era fatta buia. Un uomo erasi fermato silenziosamente nel vasto piano che è d’innanzi al Palazzo reale, al quale di tratto in tratto volgeva lo sguardo con un lampo indefinibile d’odio...


Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII.
Racconto storico. 
L'opera è la fedele trascrizione del racconto originale pubblicato a Palermo nel 1877 dallo Stabilimento Tipografico diretto da P. Pensante. La prima opera dell'autore, incontrata per un fortunato caso.
Pagine 114 - Prezzo di copertina € 15,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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martedì 26 novembre 2024

Luigi Natoli: Due parole di prefazione. Tratto da: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII

Prefazione dell'autore:

Chi legge s’aspetterà forse una delle solite prefazioni, fatte per disporre il lettore al compatimento, e che invece ottengono effetto contrario. Io sono nemico accanito delle prefazioni, e se fo questa, è per dirvi, che quello che vi presento è il mio primo lavoro, che non lo ho scritto nei momenti d’ozio per cacciare la noia, e che lo pubblico senza incoraggiamento degli amici. Frasi usate in cento e cento prefazioni, foggiate con lo stesso conio; le quali, con la loro affettata disinvoltura, tentano di velare l’orgoglio letterario di chi scrive. Sta in due; o si ha la ferma convinzione che il lavoro non va, ed allora perché pubblicarlo? O il lavoro va, se non a due piedi, con tre, ed allora perché invocare il compatimento del pubblico? Per allontanare la critica? State fresco: allora tenetevi a casa; del resto la critica si fa alle grandi opere; i nostri romanzucci i critici nemmeno li guardano.
Io non credo il pubblico sì gonzo da bersi quelle triviali proteste, e dico la verità, che, spero, i miei lettori accetteranno.

Scrissi questa tiritera cinque anni fa, quando contavo poco più di quattordici anni. Potete figurarvi quanto fosse meschina. In questi cinque anni l’ho corretta tre volte, aggiustata, accresciuta, ordinata, ed ora mi azzardo a metterla in istampa. A dire il vero, questo povero libro vien fuori timido e vergognoso come una sposa la dimane delle nozze; non sapendo che viso farà il pubblico, in tempi, che i romanzi crescono come funghi; eh via! uno più, uno meno, non fa gran caso.
Ed ora al perché ho scritto e pubblicato questo racconto. Quando lo scrissi, non mi passava pel capo né lo scopo per cui dovea scrivere, né l’ombra della ruota del torchio; lo scrissi per scrivere, come ai nostri giorni si mangia pel piacere di mangiare, ecco tutto. Ma quando lo correggevo, già ero più grande, tanto e tanto si diceva di questa povera isola, non solo del presente, ma anco del passato, che tentai di dare un colorito politico al racconto; ma non so se ci sia riuscito. Venne in fine il ticchio della pubblicazione, fatto nascere da tante storie che si pubblicano meravigliosamente, e lo pubblico (e qui ve lo dico all’orecchio) per farmi un posticino in questa grande società.
Ad ogni modo se il lettore, nel leggermi proverà qualche diletto, avrò toccato il cielo col dito, perché, spero, me ne vorrà un po’ di bene.

Maggio 1877 – L. M. Natoli


Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII.
Racconto storico. 
L'opera è la fedele trascrizione del racconto originale pubblicato a Palermo nel 1877 dallo Stabilimento Tipografico diretto da P. Pensante. La prima opera dell'autore, incontrata per un fortunato caso.
Pagine 114 - Prezzo di copertina € 15,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile:
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se Villabianca 102). 

domenica 17 novembre 2024

Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII. Racconto storico.

Isbn: 979-12-5547-038-0
Pagine 116 - Prezzo di copertina € 15,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
 
Come son diventato scrittore? veramente io dovevo darmi alla pittura, e la studiai qualche anno, a riprese, quando ero un ragazzetto di dieci a dodici anni. 
A farmi mutare strumento concorse il mio professore di seconda ginnasiale, padre Vincenzo Ramirez, che una volta in pubblica classe, mi disse: “Spero di vivere tanto da leggere le cose vostre stampate”. Buona e cara memoria di maestro, che troppo fidò!... Dio gli perdoni di aver fatto di me uno scribacchiatore. 
Nella vita letteraria entrai per tempo: a quattordici anni scrissi un romanzo; che sei anni dopo mia madre (quali illusioni non crea l’amore materno?) volle farmi stampare; e – quando si dice la predestinazione! – era un romanzo storico siciliano! E fu stampato giusto nel 1877. 
 
A dire il vero, questo povero libro vien fuori timido e vergognoso come una sposa la dimane delle nozze; non sapendo che viso farà il pubblico, in tempi, che i romanzi crescono come funghi; eh via! uno più, uno meno, non fa gran caso. Ad ogni modo se il lettore, nel leggermi proverà qualche diletto, avrò toccato il cielo col dito, perché, spero, me ne vorrà un po’ di bene. 
 
Luigi Natoli

Ed oggi, con orgoglio ed emozione, I Buoni Cugini editori ripropongono ai lettori il primo lavoro dello scrittore e storiografo Luigi Natoli, quel racconto storico pubblicato unicamente nel 1877 dallo stabilimento tipografico diretto da P. Pensante che vide la luce grazie all'amore materno e che dopo 147 anni è disponibile in libreria e su tutti gli store online. 
Ambientato nella Palermo del 1647, il racconto che rivela in modo embrionale ciò che sarà il grande romanziere, si muove tra la crudeltà del Sant'Offizio e la rivoluzione di Giuseppe D'Alesi, cui il quattordicenne Luigi Natoli dedica un'ode. 
E le nostre ricerche continuano... 

I Buoni Cugini editori
Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra 

lunedì 4 novembre 2024

Luigi Natoli: 4 novembre e il Bollettino della Vittoria. Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano.

È festa, grande festa nazionale. Il 4 novembre 1918 l’esercito austriaco, sconfitto nella grande battaglia di Vittorio Veneto, volse in fuga; e il suo comando supremo dovette domandare un armistizio.
Ma già il tricolore sventolava a Trieste e a Trento, sospiro di ogni cuore italiano.
Per questa vittoria l’Italia ora è tutta quanta libera da ogni soggezione: la catena delle Alpi è tutta nostra; e nessuno straniero può più valicarla e accamparsi nelle nostre terre.
Quanti sacrifizi, però, quanto sangue è costata l’unità nazionale!
In alto il vessillo! E gridiamo gloria a coloro che ci diedero una patria unita, forte, grande.  

Il bollettino della Vittoria

Rileggi, ogni anno, il 4 novembre, il bollettino col quale il generale Diaz dava l’annunzio della vittoria. Ogni italiano deve tenerlo a mente: non per vanagloriarsi, ma per trarne ammaestramento, e adoperarsi ad accrescere grandezza alla patria con una vita virtuosa, degna di coloro che soffersero e morirono per farci liberi e grandi. 
Rileggi dunque:
“La guerra contro l’Austria-Ungheria, che sotto l’alta guida di S.M. il Re, Duce supremo, l’esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915, e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima, per quarantun mese, è vinta.
“La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre, ed alla quale prendevan parte cinquantun divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una czeco-slovacca, un reggimento americano, contro 73 divisioni austro-ungariche, è finita.
“La fulminea, arditissima avanzata del 29° Corpo d’Armata su Trento, sbarrando la via della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della 7a Armata e ad oriente da quelle della 1a, 6a e 4a, ha determinato ieri lo sfacelo totale del fronte avversario.
“Dal Brenta al Torre, l’irresistibile slancio della 12a dell’8a e della 10a Armata e delle Divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente.
“Nella pianura S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta 3a Armata, anelando di ritornare sulle posizioni che dessa aveva già vittoriosamente conquistato.
“L’esercito Austro-Ungarico è annientato. Esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni di lotta, e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiali di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi.
“Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri, con interi Stati Maggiori, e non meno di cinquemila cannoni.
“I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.
Diaz


Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie.
L'opera è la fedele trascrizione del libretto originale, pubblicato nel 1925 dalle Industrie Riunite Editoriali Siciliane. Corredato dalle immagini dell'epoca. 
Pagine 210 - Prezzo di copertina € 19,00
La copertina di Niccolò Pizzorno riproduce quella del libro originale. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=almanacco
Disponibile su Amazon Prime, Ibs, Feltrinelli, tutti gli store di vendita online e in libreria. 

Luigi Natoli: In occasione del 4 novembre, la commovente introduzione di "Ricordi di Clodomiro, mio figlio"

 
Serro nel profondo del cuore l’angoscia, respingo indietro le lagrime che fanno impeto agli occhi, per scrivere della mia creatura. 
Potrei commettere ad altri questo ufficio, ma non voglio; perché a nessun altro Egli rivelò l’anima sua, fuor che a me, che Egli amò devotamente e con orgoglio, che direi soverchio se si potesse dar misura all’amore suo filiale. Voglio scrivere io, il Suo babbo, non soltanto per dire il cuor che Egli ebbe, ma per isfogo del mio cordoglio; e perché parmi che il Suo spirito debba gioire di questa mia testimonianza di dolore e d’amore. 
Il frammento di bomba che nel piccolo cimitero di Staranzano scavò una fossa alla carne giovinetta, aperse una ferita insanabile nel cuor mio. Pure, in questa ferita, come in un sacrario, vive illuminata dalla luce purissima del voluto sacrificio l’immagine del mio Clodomiro; e più, contemplandola, si inacerba il rimpianto, più ella si ingrandisce agli occhi miei: perocchè dispogliata dalle materiali contingenze della vita, l’anima Sua mi si va sempre più rivelando diritta come una lama, tesa come un arco alla sua meta, austera nel concepimento del dovere, vigile e pronta al sacrificio, come quella di un confessore della fede. 
Nessuno sotto la gioconda irrequieta spensieratezza avrebbe supposto in Lui tanta gagliarda serietà di propositi e una fede così viva e operosa nei suoi ideali: chè questa fede Egli tenne dapprima chiusa nell’anima sua, col riserbo di un primo amore: né si rivelò, né si esplicò in azione, se non allo scoppio improvviso della guerra europea. Egli era a Parigi, quando gli eserciti tedeschi invasero il Belgio; e il grido della Francia non giunse invano al suo cuore. 
Pochi, forse, salutarono con gioia pari alla Sua l’alba del 24 maggio! Eppure in quel primo momento gli vietarono di partire pel fronte, perché i medici militari lo giudicarono inadatto alle fatiche di guerra: Lui che la guerra già conosceva! Egli fuggì: fuggì due volte; e così gli fu concesso di raggiungere il suo reggimento. Partì negli ultimi di maggio. Da allora stette sempre in prima linea; dovrei dire anzi sempre in trincea; che soltanto pochissimi giorni la sua compagnia andò in riposo. Modesto, sobrio, primo sempre ai pericoli, allegro, affettuoso, in tutta la lunga faticosa aspra avanzata per la conquista del Col di Lana, rese importanti servizi. Cento volte sfidò la morte: di giorno e di notte, sulla neve, sotto i reticolati austriaci, dovunque i suoi superiori Lo mandavano, sicuri dell’audacia, dell’abnegazione e dell’intelligenza del “Garibaldino” – come lo chiamavano. 
E non vantò mai l’opera sua; spesso lasciò ad altri il merito di Sue rapide e feconde iniziative. Inviato dal suo capitano, che lo amava, a iscriversi nel plotone allievi ufficiali, si rifiutò. Che importava un grado? Combattere bisognava; che anche da semplice soldato si poteva ben meritare dalla patria.
Non pensò mai a sé. Più di una volta, sfidando la morte, andò a raccogliere qualche compagno gravemente ferito, e se lo caricò sulle spalle, invano bersagliato dalle fucilate austriache. Gli shrapnels, le bombe, le palle austriache che Gli uccidevano i compagni al fianco, pareva rispettassero la sua balda giovinezza: Gli cadevano ai piedi senza esplodere, o Gli foravano il berretto senza colpirLo. Le valanghe precipitavano su la Sua capanna in vedetta avanzata, senza abbatterla; la neve Lo copriva durante il sonno su per la montagna, e Lo svegliava il domani ilare e svelto, fra compagni, ahimè, che non si svegliavano più!... S’era acquistata una fama di invulnerabilità, che Gli faceva sfidare la morte, sorridendo. Ma senza spavalderia. Non potei indurLo mai, nelle brevi licenze passate con me, a scrivere o a narrare episodi che Lo riguardassero: quelli che io conosco, Gli sfuggivano, quasi senza volerlo, dalla bocca, incidentalmente; e accennandovi, cercava di non lumeggiar troppo Se stesso; e qualche Suo bel tratto eroico o generoso cercava di ridurre, non tanto per modestia, quanto pel timore che potesse apparire una vanteria. 
Cedette alle insistenze dei superiori, e andò al corso degli allievi ufficiali, soltanto quando si persuase che da ufficiale poteva rendersi utile. Nominato aspirante nel maggio del 1916 fu destinato al 24° che fronteggiava il nemico tra i ghiacciai del Seekofel. Vi andò preceduto dalla fama di audace e volenteroso; e la riconfermò nell’eseguire incarichi, degnamente encomiati dal Comando della Brigata. Altri avrebbe forse fatto valere le lodi per averne ricompense o avanzamenti; Egli non se ne curò. Io non ne avevo notizia che tardi, e brevemente. Non già perché Egli fosse avaro di lettere: mi scriveva anzi frequentissimamente, quasi ogni giorno: talvolta la notte dopo un’avanzata o dopo una ricognizione; chè io era in cima dei Suoi affetti. Ma appunto per questo, Egli cercava di non destare in me preoccupazioni ed ansie. 
Dai Suoi superiori del 24° il mio Clodomiro fu presentato con lettere così elogiative, che dal colonnello del 225°, senza neppur provarLo, Gli fu assegnato il comando di una sezione autonoma, detta Bettica. E bastò meno di una settimana perché Egli confermasse quella fiducia, e Si acquistasse l’affetto e la stima dei superiori e dei compagni. E chi, conosciutoLo appena, non Lo amava? Chi non l’avrebbe amato?
Il 17 giugno, di mattina, condusse le reclute al poligono di tiro, per addestrarle al lancio delle bombe a mano. Erano bombe a miccia, del tipo detto Sipe. Si lanciano, accesa la miccia, a una distanza di venticinque o trenta metri: fra l’accensione e lo scoppio passan sette secondi; il loro raggio di azione si estende a venti metri. Bisogna lanciarle subito. Ma, imperizia e, più, paura tolgono a una recluta la padronanza di sé. Essa lascia cadere la bomba accesa di qua del parapetto, in mezzo ai soldati. Lo scoppio è imminente. Non v’è che un attimo. In quest’attimo è la vita o la morte di tutti. Fra il terrore degli altri, il mio Clodomiro serba lo spirito agile e sereno; vede la miccia fumante consumarsi, prevede la strage, sente che uno deve affrontare la morte per gli altri. Lui. E si slancia sulla bomba, la raccoglie, la scaglia oltre il paraschegge. Salvi? Gli altri sì! La bomba scoppia prima di cadere; una scheggia colpisce al cuore l’eroico Figlio. Una sola: e l’uccide!...
- Qui! Qui! – grida toccandosi il petto. Poi mormora: – Povero babbo! Povera mamma mia!
E le Sue labbra si chiusero per sempre sui nomi adorati: non rimpiansero in quel momento l’acerbezza del destino, la giovinezza spezzata, i sogni infranti: dolorarono del dolore altrui. L’ultimo Suo pensiero fu per lo schianto dell’anima nostra...
La morte che non aveva osato colpirLo nella tempesta dei combattimenti, quando l’ira par che abolisca ogni senso di umanità; che non Lo aveva colpito eroe della strage, con l’arme insanguinata nel pugno; volle spegnerLo in un gesto di carità sublime; volle che tanta bella e fiorente giovinezza fosse irradiata della luce purissima del sacrificio, consapevolmente, volontariamente affrontato, sofferto per la salvezza degli altri!...



Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro, mio figlio. 
L'opera è la fedele trascrizione del libretto originale, pubblicato dall'autore nel 1920 in memoria del figlio Clodomiro, morto eroicamente durante la prima guerra mondiale il 17 giugno 1917.
Pagine 74 - Prezzo di copertina € 10,00
Il libretto è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=clodomiro
Su Amazon Prime, Ibs, Feltrinelli e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102). 

martedì 29 ottobre 2024

Luigi Natoli: Tutti i romanzi pubblicati da I Buoni Cugini editori.

Le opere, sono elencate in base alla data di pubblicazione dell'autore:

1907 - Calvello il bastardo - grande romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo di fine Settecento, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1907 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1913 riveduto e corretto dall'autore. Quest'ultima è l'edizione pubblicata da I Buoni Cugini editori

 

1908 - I Cavalieri della Stella - romanzo storico siciliano, ambientato nella tormentata Messina del 1672, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1908. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1909 - I Beati Paoli - grande romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1909/1910 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1931. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1910 - Il Paggio della regina Bianca - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1401, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1910 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1921. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1911 - Il Vespro Siciliano - romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1911 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1915, rifatto, aggiunto e ampliato dall'autore. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1911 - Gli ultimi saraceni - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1100 al tempo di Guglielmo I e Matteo Bonello, pubblicato unicamente in appendice al Giornale di Sicilia nel 1911/1912. Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori.

 

1913 - La principessa ladra - romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1913 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1930. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 

 

1914 - Cagliostro e le sue avventure - romanzo storico, dove protagonista è il famoso taumaturgo palermitano Giuseppe Balsamo, in arte Conte di Cagliostro, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 

 

1914 - Coriolano della Floresta - seguito ai Beati Paoli, pubblicato in dispense con la casa editrice La Gutemberg. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1914 - Alla guerra! - romanzo storico ambientato nella Francia e nel Belgio del 1914, all'inizio della prima guerra mondiale, pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914/1915. Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori 

 

1920 - La dama tragica - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1530, al tempo di Marco Antonio Colonna, dove protagonista è la bellissima donna Eufrosina Corbera. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1920/1921 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1930. Pubblicato da I Buoni Cugini editori

 

1921 - Latini e Catalani volume 1 (Mastro Bertuchello) - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1300, al tempo della sanguinosa guerra tra Latini e Catalani, dei Palizzi, dei Ventimiglia, dei Chiaramonte e del regno di Aragona. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1921 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1925. Pubblicato da I Buoni Cugini editori 

 

1922 - Latini e Catalani volume 2 (Il tesoro dei Ventimiglia) - romanzo storico siciliano, seguito a Mastro Bertuchello, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1922 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1925. Pubblicato da I Buoni Cugini editori 

 

1923 - Fra Diego La Matina - romanzo storico siciliano, pubblicato in appendice sul Giornale di Sicilia nel 1923 e con la casa Editrice La Gutemberg nel 1924. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 

 

1924 - Squarcialupo - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1517, dove protagonista è il patriota Giovan Luca Squarcialupo. Pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924. Per la prima volta in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori.

 

1925 - Viva l'Imperatore - romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1925. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 

 

1926 - I mille e un duelli del bel Torralba - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo di fine '700, pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1926. Pubblicato per la prima volta in unico volume da I Buoni Cugini editori.

 

1927 - La vecchia dell'aceto - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo di fine '700. La storia di Giovanna Bonanno, l'avvelenatrice passata alla storia come La vecchia dell'aceto. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia da luglio a dicembre del 1927. Pubblicato da I Buoni Cugini editori 

 

1929 - L' Abate Meli - romanzo storico siciliano, dove protagonista è il poeta Giovanni Meli detto l'abate, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1929. Pubblicato da I Buoni Cugini editori in un volume che comprende: Giovanni Meli: studio critico (1883) e Musa siciliana (1922) nella parte relativa alle poesie del Meli, con traduzione in italiano a fronte a cura di Francesco Zaffuto. 

 

1930 - Braccio di Ferro avventure di un carbonaro - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1820, pubblicato con la casa Editrice La Gutemberg nel 1930. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1931 - I morti tornano... - romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1837 devastata dal Cholera, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1931. Pubblicato da I Buoni Cugini editori con prefazione di Massimo Maugeri 

 

1932 - Gli Schiavi - romanzo storico siciliano, ambientato in Sicilia sotto la dominazione romana, nel 120 a.C. al tempo della seconda guerra servile. Pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1932 e con la casa Editrice Sonzogno nel 1936. Pubblicato da I Buoni Cugini editori.

 

1932 - Ferrazzano - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1700, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1932/1933. Pubblicato da I Buoni Cugini editori con prefazione di Rosario Palazzolo. 

 

1936 - Fioravante e Rizzeri - romanzo ambientato nella Palermo del 1920, dove protagonista è un "oprante" e la sua "opera dei pupi"; pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1936/1937. Pubblicato da I Buoni Cugini editori con prefazione dello stesso autore (articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia nel 1936). Il copione integrale dell'opra Fioravante e Rizzeri è pubblicato nel volume Il teatro del popolino, che raccoglie tutti gli scritti di Luigi Natoli sull'Opera dei Pupi. 

 

1938 - Il Capitan Terrore - romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1560, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1938. Pubblicato da I Buoni Cugini editori. 

 

Nelle biografie ufficiali di Luigi Natoli è riportato il romanzo:

 

Chi l'uccise? - Breve romanzo storico siciliano, ambientato nella Palermo del 1848, di cui al momento non abbiamo trovato traccia sul Giornale di Sicilia o presso altri editori. Pubblicato dopo la morte dello scrittore dalla casa editrice La Madonnina nel 1951. Pubblicato da I Buoni Cugini editori 


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