martedì 28 marzo 2023

Luigi Natoli: Don Raimondo Albamonte, duca della Motta. Tratto da: I Beati Paoli. Romanzo storico siciliano.

Fra gli ultimi a rientrare nella gran sala del palazzo, dove sua eccellenza faceva servire dei rinfreschi, fu un giovane cavaliere di aspetto fine e delicato, ma, forse, troppo serio. Si chiamava don Raimondo Albamonte. Non aveva ancora trenta anni; era alto, snello, nervoso; il volto pallido, ma come invaso da una nube fosca, che poteva parer tristezza, se certo improvviso lampeggiar degli occhi non avesse fatto pensare al corruscar dei lampi lontani in un cielo nuvoloso. Le labbra sottili si disegnavano appena; e la bocca pareva piuttosto una lunga ferita non ancor rimarginata: due lievi e bruni baffetti vi distendevano una piccola ombra; ma le mani e i piedi parevan quelli di una fanciulla: le sue mani bianchissime, piccole, sottili, affilate, dalle unghie rosee, ellissoidali, si confondevano e quasi sparivano tra i pizzi finissimi delle sue manichette. Egli pareva se ne tenesse; aveva infatti un gesto molle e grazioso per mettere la mano in mostra; sollevandola per discostar dalla fronte i riccioli della parrucca che la moda francese andava diffondendo. 
Con tutto ciò egli non aveva nulla di femmineo. Forse esaminando bene l’angolo della mascella e la curva della bocca, un occhio scrutatore d’anime avrebbe potuto sorprendervi una certa durezza fredda ed egoistica; forse qualora di felino, pazienza cioè e ferocia; ma per la comune delle persone egli era un bel giovane un po’ antipatico. 
Egli era fratello cadetto del duca della Motta, e vantava tra i suoi maggiori quel Guglielmo Albamonte, che era stato tra i sedici campioni italiani di Barletta, e che insieme con Francesco Salomone era stato fra quelli che avevano assicurato la vittoria italiana: ma del vanto poteva gloriarsi più il duca suo fratello che lui, don Raimondo. Infatti il duca colonnello di un reggimento, dopo una breve dimora in Palermo, era ripartito da circa otto mesi per la guerra; mentre don Raimondo che avrebbe potuto benissimo comprare almeno una compagnia e formarsi uno stato, aveva preferito gli studi, ed aveva conseguito la laurea dottorale a Catania, la sola università che in Sicilia, allora, conferiva la laurea in giurisprudenza. 
Aveva qualche ambizione? Era così chiuso, così impenetrabile che nessuno aveva mai potuto sorprendere in lui una qualche aspirazione; ma certo aveva nei modi e nella parola qualcosa di imperioso una specie di gesto dominatore, maggiore di quanto lo comportasse la sua condizione di cadetto. Ma non pareva volesse entrare nella magistratura. Nobile, fratello di un ufficiale di sua maestà, che aveva combattuto in quelle guerre, di cui quel giorno si celebrava la fine, era stato invitato da sua eccellenza il vicerè, per godere lo spettacolo della cerimonia dal Palazzo Reale; ed era rimasto in un canto del lungo loggiato, col gomito appoggiato alla ringhiera e gli occhi vaganti su quel mare di teste che ondeggiava nel vasto piano, forse senza percepire nulla. La mattina un amico venuto da Napoli con una tartana gli aveva recato una notizia che l’aveva rimescolato, come un sasso che, cadendo improvviso nel fondo limaccioso di un pozzo, turbi la limpidezza dell’acqua, facendo assommare la belletta. Forse lì, dinanzi alla vasta piazza, alla vista di quei soldati, la notizia lo aveva nuovamente conturbato; perchè egli era rimasto al suo posto silenzioso, quando tutti erano rientrati, né si era accorto di esser solo se non quando un valletto gli si avvicinò con un vassoio per offrirgli delle confetture. 
Rientrò e si avvicinò al duca di Veraguas, serbando il suo contegno freddo e serio, e si mescolò al gruppo di signori che in quel momento parlavano con sua eccellenza degli effetti di quella pace, nella quale qualche politico ravvisava già preparata la futura successione del regno di Spagna. Il vicerè si accorse del cavaliere Albamonte e gli fece un cenno di benevolenza; e come don Raimondo gli fu dinanzi, gli rivolse la parola. 
- E la signora duchessa?
- Vostra eccellenza sa che si trova già prossima... 
- Mia cognata è grandemente grata dell’onore che sua eccellenza le ha fatto... Io l’ho lasciata che pareva si disponesse, per cui mi è parso prudente avvertire la signora Anna, la mammana...
- Il duca deve esser soddisfatto di aver affidato alle vostre cure la signora duchessa...
- Crede vostra eccellenza?
- Come no!...
- Gli è, eccellenza, che stamattina ho ricevuto una notizia assai cattiva; ed ero quasi per chiedere la grazia di dirmi se vostra eccellenza ha ricevuto lettere sul proposito...
- Quale proposito?
- Sul conto del mio signor fratello, il duca della Motta...
- Nessuna. L’ultimo corriere non faceva alcuna parola di vostro fratello; che notizia avete ricevuto, e da chi?
- Dal cavaliere fra Marcello d’Oxorio, venuto da Napoli stamane con una tartana; il quale aveva saputo a Roma, da persona dell’ambasciata di sua maestà Carlo II, Dio guardi, che il duca mio fratello forse è morto. 
- Oh, non è possibile! 
Don Raimondo parve rassicurarsi: infatti quelle ragioni erano abbastanza convincenti, e la notizia così come gli era stata data, senza alcun particolare, poteva essere, anzi aveva tutta l’aria di una invenzione. Tuttavia qualcosa, come un dubbio, gli rimaneva in fondo al cervello. 
“E se fosse vero? se l’ambasciata di Spagna aspetta la partenza del corriere di Roma per mandare la notizia ufficiale?”
Era evidente che fra Marcello de Oxorio, cavaliere di Malta, e in relazione con la società spagnuola e con l’alto clero di Roma, aveva attinta la notizia, per quanto imperfetta, a una fonte sicura: e di duchi della Motta, colonnelli di sua maestà cattolica, non ve n’era certo una dozzina. Egli non riceveva notizie del fratello da circa tre mesi; tempo abbastanza lungo, che aveva tenuto e teneva in angustie la duchessa donna Aloisia; e perchè le azioni di guerra erano già finite da oltre quattro mesi, non si capiva perchè il duca non avesse mandate sue notizie e non avesse avvisato il suo prossimo ritorno. 
“Se veramente mio fratello fosse morto?”
In verità il dubbio per quanto tormentoso, non sembrava che toccasse in lui le corde della tenerezza fraterna. Un lieve corrugar di sopracciglia, rivelava appena un pensiero insistente; ma nel rimanente il suo volto era impenetrabile. 
Dopo un istante, don Raimondo tolse congedo, e se ne andò. 


Luigi Natoli: I Beati Paoli. Romanzo storico siciliano.
L'opera è la trascrizione del romanzo originale, pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1931 (ultima edizione mentre l'autore era ancora in vita) e quindi scevra da tutte le profonde modifiche al testo apportate nelle successive edizioni, dopo la morte dell'autore. 
Copertina e disegni di Niccolò Pizzorno
Prezzo di copertina € 25,00
Il volume è disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia). Potete contattarci alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 345716697 o al whatsapp 3894697296. 
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