San Leo s’adagiava sulla cresta di Montefeltro,
colle staccato dalle giogaie dell’Appennino, cinto di valli, arduo a salire, e
da una parte tagliato a picco. Sulla vetta più alta, a oriente del borgo, da
cui è separata da un pendìo sparso di macchie e di cespugli, si alza la
fortezza, che dal lato opposto domina la rupe a picco. Da questo lato, che non
ha salita, e dove bisognerebbe aver ali per giungere, la fortezza appare come
un insieme di fabbricati massicci, addossati gli uni sugli altri; ma dalla
parte del borgo, essa si presenta in un aspetto guerresco, con due grandi torri
circolari di qua e di là dalla cortina merlata, e il mastio massiccio in mezzo,
difeso da torricelle quadrangolari.
La fortezza o castello era come l’acropoli del
vecchio borgo, che, più a valle, era difeso anche da muraglia e da altri
fortilizi a tramontana e a occidente, prime sentinelle in difesa
dell’inespugnabile castello.
La prigione dell’ “eretico” era nel mastio; era
una cella larga tre passi, o poco più, con la volta alta una statura d’uomo e
mezza; e una finestretta a quattro palmi dal suolo. Il prigioniero poteva
quindi affacciarvisi comodamente e guardare lo spazio libero ed ampio. L’occhio
scendeva giù fra le macchie, errava sui tetti e per le strade del borgo
sottostante, si fermava a guardare il duomo e l’alta torre; poi scorreva oltre,
guardava i due fortilizi, dei quali sapeva già il nome: il Palazzetto e il
Casino; e vedeva indi come un taglio, come una grande fenditura, che isolava il
monte. Indovinava che in fondo vi correva il fiume: più oltre ne vedeva fra
poggi e boscaglie luccicare l’argento delle acque.
E più lontano ancora poggi e colli si succedevano
come in uno scenario, degradando in tinte più azzurrine e più sfumate; e
sull’orizzonte si disegnava di qua la Carpegna, di là, più in fondo la linea
degli Appennini. L’occhio non poteva scorgere che meno della metà
dell’orizzonte; ma quanti desideri tormentosi! Fra quei colli, sopra un monte
era S. Marino, la piccola repubblica; più oltre, a occidente, lo stato di
Toscana; alle sue spalle l’Adriatico. Erano la libertà e la salvezza!...
Il prigioniero era un uomo
di una cinquantina d’anni, dai lineamenti energici, ma d’aspetto logoro ed
emaciato; la fronte ampia e piana, il naso leggermente curvo all’apice e largo
alla base, gli occhi neri, profondi, con un lampeggiare strano fra le ciglia
nere e spesse; la mascella quadrata, parevano gli avanzi di una bellezza
maschia e dominatrice; simili ai ruderi di un antico nobile edificio, rovinato
dalle ingiurie degli uomini e del tempo. A giudicarne dallo spazio occupato nel letto,
doveva essere di statura piuttosto bassa; ma aveva l’ossatura delle spalle
larga e il petto ampio sebbene scarno. Nell’insieme rivelava una costituzione
forte e vigorosa, resistente ancora ai patimenti che ne consumavano la carne e
ne scoloravano il sangue. Da quando era entrato nel forte, ed eran quattro
anni, dopo un processo laborioso, Giammaria era la prima persona con la quale
discorreva; per quattro anni era stato relegato nel silenzio della segreta,
guardato con disprezzo e terrore; oggetto di scherni e di crudeltà, contro le
quali non poteva reagire. Nessuno doveva parlare con lui; neppure il barbiere,
che una volta al mese radeva i prigionieri, non già per igiene o per decenza,
ma perché la barba era segno di giacobinismo.
Aveva dovuto infingere una rassegnazione che non
sentiva; ma era forse effetto della debolezza fisica, questa che gli pareva
forza di rassegnazione.
La condanna era crudele; oltre alla segregazione
in quella piccola, fetida, umida segreta, senza altro mobile che un banco di
pietra sul quale era disteso uno schifoso pagliericcio; era obbligatorio il
digiuno rigoroso per tre giorni della settimana: pane e acqua negli altri, una
minestra di legumi nauseabonda le domeniche. La sua salute ne aveva sofferto; i
suoi muscoli, la sua carne se ne erano logorati. Egli non poteva sorreggersi con la speranza di una
liberazione prossima o lontana che fosse...
Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure. Romanzo storico ambientato nel 1700. È la storia di Giuseppe Balsamo, alias Conte di Cagliostro, narrata
dal protagonista in prima persona. L'autore si "immerge" in modo tale nel personaggio da rendere il romanzo un'autobiografia. L’opera,
in una edizione totalmente restaurata dal titolo all’indice, è costruita e
trascritta dal romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale
di Sicilia nel 1914.
Pagine
881 – Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store on line.
In libreria a Palermo presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella), Nuova Ipsa (Piazza Leoni)
Nessun commento:
Posta un commento