mercoledì 1 settembre 2021

Luigi Natoli: La morte del prigioniero. Tratto da: Cagliostro e le sue avventure.

Era morto alle tre del mattino del 26 agosto; e nel pomeriggio lo manda­vano a seppellire. Come eretico e sco­municato, non gli toccava sepoltura cristiana, tanto meno accompagna­mento di prete o lume acceso. E nep­pure una bara.
- Bara? – aveva esclamato con fiero sdegno il governatore Semproni; – un cane di quella specie volete tra­sportarlo in una bara? Se mai, ficcatelo in una cesta, in un sacco e andate a buttarlo dove sia!... È anche trop­po, questo.
Giammaria, sebbene anche lui so­praffatto dall’orrore superstizioso per quella morte fuor del grembo della Chiesa, ebbe nondimeno un senso di pietà. Pregò i quattro inservienti di adagiare il cadavere su quella mezza imposta; cosa che essi fecero perchè tornava loro più comodo.
Così vestito come era, e, per dileg­gio, come aveva ordinato il governato­re, con la barba posticcia in volto, lo portavan dunque a seppellire fuori del castel­lo, fuori della città, sul pendio a occi­dente, fra le due torri di vedetta che sorgevano quasi sul ciglio della collina.
Non un cencio lo copriva. Era uso portare i cadaveri scoperti; ma quello del prigioniero faceva orrore.
La gente, al passaggio del triste corteo, si allontanava con un senso di terrore o di ribrezzo. Qualcuno si se­gnava come per cacciare il demonio: qualcuno più audace, per curiosità, si pose a seguire i seppellitori.
Il caldo era grande, per essere la strada saettata dal sole; e il cammino faticoso, per essere in pendìo, fra le macchie, sasso­so, e con un peso indosso. I seppellitori sudavano.
Giù, presso una delle torri, v’era una osteria, che prendeva nome da un pozzetto lì accanto. I seppellitori si die­dero la voce; deposero la mezza impo­sta col morto sul parapetto del pozzo, ed entrarono nell'osteria a bere, ce­liando.
I curiosi si fermarono a guardare il cadavere di quel prigioniero che era stato oggetto di terrore, e sul cui volto giallo, disfatto, mostruoso con quella barba posticcia, ronzavano e vi posava­no le mosche: guardavano con una va­ga paura, ma soprattutto con curiosità, e con un senso di stupore, non veden­do nulla di straordinario e di terribile in quella miserabile parvenza d’uomo.
I seppellitori, ristoratisi, uscirono, e risollevarono il morto su le spalle, con moto uniforme, ripresero il cammino.
Dovevan seppellirlo sul ciglione, fra le due torri, che si chiamavano il Palazzetto e il Casino, a eguale distanza dall’una e dall’altra. Il punto preciso era stato già segnato.
Ivi giunti, posta per terra l’imposta, due portatori, con zappe e vanghe che avevan portato, scavarono una fossa non molto profonda; indi sollevata la mezza imposta pei quattro angoli, e piantatisi alle estremità della fossa, ve la calarono giù.
Uno dei seppellitori prese un sasso e l’adagiò come un guanciale sotto il capo del prigioniero; e gli distese sul volto un vecchio fazzoletto.
Queste le ultime pie onoranze: poi le vanghe buttarono terra e terra e copersero il corpo, e colmarono la fossa.
Tutti e quattro calcarono coi piè quella terra perché diventasse più compatta; poi se ne andarono zufolando, e dietro a loro i pochi curiosi che li avevano seguiti.
Quello stesso giorno con un corriere straordinario al legato pontificio d’Urbino e al cardinal vicario in Roma monsignor Francesco Saverio Zelada, fu dato annuncio della morte del prigioniero.
Giammaria domandò il favore di essere scelto per andare a Roma; ma il governatore Semproni, per un capriccio, si oppose. Il giovane guardaciurma se ne dolse vivamente, e sembrando il suo, atto di ribellione, ne ebbe la prigionia. Fu peggio. Gli parve che il governatore gli impedisse di far fortuna: gli parve che l’odio che aveva perseguitato il prigioniero, perché voleva arricchire i poveri, ora perseguitasse lui che era sul punto di arricchire: e il suo animo si rivoltò.
Non avendo potuto ottenere l’incarico di andare a Roma, né potendo ottenere una licenza, appena uscito di prigione, Giammaria, col pretesto di far una passeggiata, uscì da San Leo, discese giù nella valle, e a piedi, col manoscritto del prigioniero legato al cinto, prese la strada di Roma.



Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure – Romanzo storico siciliano ambientato nel 1700. È la storia di Giuseppe Balsamo, alias Conte di Cagliostro, narrata dal protagonista come la lettura di un Diario.
L’opera, in una edizione totalmente restaurata dal titolo all’indice, è costruita e trascritta dal romanzo originale pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914.
Pagine 881 – Prezzo di copertina € 25,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su Amazon Prime, Ibs e tutti gli store on line.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella), Nuova Ipsa (Piazza Leoni) 

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