Betty era rimasta in
quell’atteggiamento fra le due bestie, che volgevan gli occhi placidi sotto il
velo delle ciglia, e si sferzavano ogni tanto con le code; e così, con le
braccia distese sui loro dorsi, grave e silenziosa nella confusa intuizione di
un prossimo pericolo ancor ignoto, pareva volesse proteggere le sue mucche. I
suoi occhi vedevan lontano una bianca nuvoletta vagante a fior di terra, che
s’andava sempre più allargando, fra un crepitìo, come di castagne buttate sul
fuoco. Era quella la guerra? Lo spettacolo non aveva ancora nulla di terribile;
pareva un gioco. Non si persuadeva perché quell’ufficiale stesse immobile col
binocolo sugli occhi; e perché i soldati non fiatassero. Sembravan tramutati in
statue; coi fucili spianati contro un nemico invisibile e lontano. Un gran
silenzio s’era diffuso intorno alla fattoria; i soldati non fiatavano, o forse
bisbigliavan fra loro così a bassa voce, che non s’udivano. Neppur su nella
casa, ora, s’udiva rumore; v’era in quella immobilità, in quel silenzio qualche
cosa di terrificante, che a poco a poco prendeva l’animo di Betty in una morsa
di ghiaccio. Anche Bruno, il cane,
pareva compreso dalla tragicità di quel momento di aspettazione. Aveva finito
di brontolare dietro i soldati; e ora, accoccolato sulle zampe di dietro fra papà
La Marchienne e Guy, guardava anch’esso laggiù, con gli occhi fissi,
aggrondati, le piccole orecchie diritte, le nari vibranti in un lieve e rapido
annusare.
Ora i tedeschi si vedevano
più distintamente; si avanzavano in ordine, in due file, lungo i margini della
strada, sparando. Più indietro si scorgevano delle grandi masse compatte, che
procedevano dietro i tiratori; sulle quali balenavano al sole con un guizzo
molteplice e tremolante, le lame delle baionette. Da Auvelais era cominciato il
fuoco.
A un tratto apparve nel
cielo un punto nero, che sollevandosi e avvicinandosi, con le grandi ali
distese, s’andò ingrandendo e designando la sua forma. Era un taube. Passò rombando sopra la fattoria,
volò su Auvelais, poi girò in largo, ritornò, sparve; ma poco dopo un tuono
cupo e violento rimbombò e dominò il crepitìo delle fucilate. L’artiglieria
tedesca apriva il fuoco per sloggiare i francesi.
Guy pallido, immobile
sotto la tettoia, col trombettiere accanto, aspettava che la fanteria tedesca
giungesse sotto la collina, per fulminarla di fianco. Se avesse avute due
mitragliatrici, la sua posizione sarebbe stata veramente formidabile. Ma come
domandarle? Ad Auvelais non ne avevan mica tante da dislocarne; le poche di cui
il capitano poteva disporre, erano in posizione in punti strategici. Bisognava
dunque confidare nei fucili.
Portò alla bocca un
fischietto e soffiò. Un fremito percorse la terra. Un altro fischio. Uno
scoppio molteplice, furibondo, tempestoso, avvolse la fattoria, sopra, sotto,
intorno; Betty balzò indietro, con un grido di terrore, papà La Marchienne
impallidì e si tirò da parte; Bruno si rizzò su tutte e quattro le gambe, col
muso levato, brontolando.
Guy guardava.
Giù nello stradale, i
tedeschi colti alla sprovvista, si erano arrestati; molti erano caduti: alcuni erano
rimasti immobili, con le braccia spalancate, altri si avvoltolavano nella
polvere: erano a tre o quattrocento metri, e si vedevano distintamente.
Il fuoco dei francesi
continuava, con un fracasso infernale incalzando: la terra, il fabbricato,
tremavano: una specie di febbre pareva rendesse le mani più sollecite: Guy uscì
dalla tettoia spingendosi innanzi, allo scoperto, per osservar meglio. Betty
pallida, inchiodata fra le sue mucche, con gli occhi spalancati, si sentiva
attratta da una forza maggiore dello spavento, a guardare; ma quando vide
l’ufficiale avanzarsi solo, non potè trattenere un grido di terrore.
Laggiù i tedeschi,
superato ben presto quel primo momento di confusione si riordinavano; altre
masse sopravvenivano, a passo svelto, per sorreggere i primi; e cacciare via i
francesi dalla fattoria. Ora mentre i primi, riprendevano la loro marcia,
curvi, quasi strisciando per terra, fermandosi ogni tanto per sparare; una
colonna mosse contro la fattoria, per distogliere il fuoco dei francesi e
occupare la posizione. Cominciò un fuoco spaventevole; le palle sibilando
stroncavano i rami; passavano tra gli alberi che tremavano con uno stormire
pazzo di fronde; si cacciavano nel terriccio, sollevando la terra; poi
tempestavano i muri della casa; strappandone i calcinacci, spezzando i vetri,
schiacciandosi nei ferri, rimbalzando.
Betty tratteneva il
respiro, agghiacciata dal terrore, ma ostinata a guardare. Si era cacciata un
po’ più dentro, seguendo con gli occhi l’ufficiale, che pareva non s’accorgesse
dell’uragano in mezzo al quale s’aggirava.
Guy seguiva con viva
attenzione i movimenti del nemico, che tendeva a spiegarsi sul fianco del poggio,
per avvolgerlo. Da quella parte egli aveva fatto costruire la barricata, dietro
la quale erano appostati venti uomini. Bisognava rinforzarli. Ordinò a una
dozzina di quelli piazzati sotto gli alberi un movimento d’appoggio verso la
barricata.
- Non vi alzate! – gridò;
– strisciate per terra… non vi fate vedere…
- E voi? – gli domandò un
fantaccino piccolo e rosso che aveva un viso di arguto e una parlantina sciolta
da parigino.
Si rizzò in piedi, per
braverìa, ma quasi subito girò sopra sè stesso e cadde; non gemette che un
nome:
- Mamma mia!...
Era il primo, che pagava
il suo tributo di sangue, raccogliendo le sue forze sopra un nome; il primo che
si balbetta, quando le labbra si sciolgono alla parola, il solo che s’invoca,
nei grandi dolori, l’ultimo che erra su la bocca, quando la morte la sigilla. Guy
si chinò rapidamente sopra di lui, lo scosse, lo voltò. Aveva gli occhi
verdastri aperti con una espressione di sgomento, e la bocca angosciosa piena
di sangue e di terra; e non respirava più.
Una grande pietà invase il
cuore di Guy: alla sua mente apparve l’immagine dell’ulano da lui ucciso; anche
quello era giovane, biondo, con gli occhi chiari. Si rialzò accigliato,
stringendo le mascelle quasi per costringere la pietà a ricacciarsi nel
profondo del petto, e raggiunse la barricata, dove le palle tedesche si
abbattevano come la gragnola.
- Saldi, ragazzi! – gridò
per incoraggiarli.
Ma non ce n’era bisogno.
Non costretti più al silenzio, esaltati dalla febbre omicida e dall’istinto
della conservazione, quei trenta fantaccini gridavano, motteggiavano,
accompagnavano di ingiurie ogni colpo, come se le palle potessero, mandate al
nemico inacerbirne le ferite. Un fantaccino s’era alzato in piedi, e protetto
dall’aratro di ferro, buttato sopra alcune masserizie, tirava con una certa
lentezza.
- Uno a ogni colpo, signor
tenente! – disse ridendo.
Aveva la mira precisa, e
non falliva; abbatteva un tedesco a ogni fucilata, con una freddezza, come se
avesse tirato a fantocci di legno in una fiera.
- Non sciupo le munizioni!
– aggiunse mirando e sparando.
Il combattimento si era
allargato; tutti quei borghi, disseminati lungo le rive della Sambra, o fra gli
avvallamenti dei poggi; tutte le officine coi loro camini spenti; e più in là
ancora, verso Moustier diritta sull’altipiano, verso Tausines, dall’altra
parte, in mezzo alle linee della strada ferrata; dovunque era un ondeggiar di
nubi, un guizzare di incendi, fra il rombo cupo e implacabile dei cannoni, e lo
strepito alto e basso delle fucilate. Di tanto in tanto s’udiva l’eco smarrita
d’uno squillo di tromba: e di lontano dal fondo dell’orizzonte, apparivano
sempre nuove masse, dapprima come linee fosche, che si movevan lentamente, poi
più distinte; si dividevano, si diramavano, si allargavano, e a mano a mano che
si avanzavano si ingrandivano. E non finivano mai.
Verso la fattoria però i
tedeschi non avevano fatto un passo.
Costretti a combattere
scoperti, ammassati in uno spazio piuttosto angusto, in basso, avevan dovuto
arrestarsi dinanzi al fuoco sicuro, terribilmente micidiale dei francesi. Gli
ufficiali li minacciavano, li percotevano coi calci delle rivoltelle, perché
andassero avanti; ma la morte abbatteva anche loro; inesorabilmente, fulmineamente
sopra i soldati.
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