venerdì 7 febbraio 2020

Luigi Natoli: l'esodo da Parigi. Tratto da: Alla guerra!


La guerra aveva spazzato ciò che vi era di putrido nella vita di Parigi? La grande città aveva ritrovato il ritmo di una vita di raccoglimento nella consapevolezza della grande tragedia nella quale improvvisamente la Francia era stata trascinata? Era stato necessario che si abbattesse un uragano, perché la Francia si ridestasse dalla sua obbliosa follia?
Uno strillone gli passò accanto gridando: 
- Il Tempo! Il bollettino del generale Joffre! La vittoria dei francesi! 
Percorse tutto il boulevard Rochechouart spinto da una curiosità di vedere, di osservare, di sentire quella vita nuova a cui la città pareva aprir gli occhi per la prima volta. Dappertutto la stessa rinuncia del passato; lo stesso silenzio di ogni voce di scettica gioia; le porte dei cabarets chiuse, gli stucchi delle decorazioni mortificati, senza luce, dietro le lampade spente; gli ultimi manifesti ancora incollati nelle tabelle stinti e logori dalla violenza degli acquazzoni; parevano i segni di una vita spentasi violentemente. 
V’era qualche cosa di triste e di opprimente nell’eroica rinuncia a quella che era parsa fino allora la sola ragione di vivere a Parigi. 
Benoist piegò pel boulevard Magenta. Non sentiva ancora la stanchezza di quella lunga passeggiata, così rivelatrice di nuove sensazioni. Udì i fischi delle locomotive della stazione dell’Est: e si ricordò di aver udito e letto dell’esodo degli stranieri che fuggivano da Parigi, e in così gran numero che non bastavano i treni. Le due stazioni dell’est e di Lione erano invase da queste moltitudini, che ogni giorno, da ogni parte della Francia, specialmente dal nord, si rovesciavano a Parigi per prendere i treni della Svizzera e dell’Italia. Erano tutti operai o piccoli impiegati, che scappavano dai grandi stabilimenti industriali, dalle miniere, dinanzi all’avvicinarsi della guerra; tutta povera gente strappata al lavoro, che aveva dovuto abbandonar la casa, la roba, forse anche il piccolo peculio, incalzata dalla paura; la cui miseria aveva sollevato un vivo sentimento di pietà e provocato i soccorsi del governo. 
Come spinto da uno spirito di fraternità pei sofferenti, pei miserabili, Benoist volle spingersi fino alla stazione. 
Era già notte: il cielo coperto di nubi, l’aria umida e grave. Le lampade elettriche spandevano intorno una luce lunare, che faceva taglienti le ombre nere. La piazza era  tutt’intorno trasformata in un vasto accampamento: erano le ultime torme di fuggiaschi, e la empivano tutta. A gruppi, a famiglie, seduti per terra, su povere valigie legate con la corda, su piccole casse, sui fardelli che erano una mostra di miseria, uomini e donne, vecchi e bambini, stavan lì in silenzio con uno squallore pieno di sgomento nel volto: con negli sguardi un desiderio prepotente di fuggire, di ricoverare nei loro paesi d’origine, che alcuni non conoscevano neppure. Pochi passeggiavano lenti, soffermandosi qui e là, barattando qualche parola. I portici erano così stipati, che non vi si poteva circolare; l’ampia sala dei bigliettai, le sale d’aspetto erano gremite dei fortunati che erano giunti pei primi; sopra alcuni sedili erano coricati e coperti di mantelli, gli ammalati: ve ne erano che battevano i denti per la febbre, altri gemevano. Dei vagiti di infanti, delle grida di bimbi irrequieti o affamati rompevano quella specie di lugubre silenzio che rattristava la piazza. 
Le carrozze, le automobili, gli omnibus eran costretti a rallentare la corsa, a procedere a passo d’uomo, guidati dalle guardie di città, che procuravano di mantenere un po’ d’ordine. 
Giunse un carro, preceduto da un’automobile, dalla quale scesero alcuni signori. Benoist vide che traevano pane e commestibili, latte, vino. Bisognava pure sfamare quella povera gente! 
La notizia che era arrivato quel carro, si diffuse in un baleno; tutta quella moltitudine che giaceva oppressa, si sollevò a un tratto con una specie di ardore, alla conquista del pane; la paura di arrivar l’ultimo, di non trovar più nulla, rendeva ognuno egoista: ognuno voleva passar prima, respingeva il vicino, rovesciava i fanciulli, gridando. Migliaia di grida insieme, migliaia di braccia si agitavano; un mareggiare di teste; uno spettacolo doloroso e ripugnante in un tempo.
 Le guardie di città cercavano di regolare la distribuzione; respingevano, raccomandavano, minacciavano di arrestare. Duravano una fatica enorme, per impedire che quel carro fosse saccheggiato. 
Benoist guardava. Quanta miseria!... e quanta abbiezione!... Era un altro quadro che la guerra gli offriva; un quadro assai diverso dal quello che Montmartre già quartiere della gaia scienza del piacere, gli aveva rivelato; era la fine del lavoro pacifico e produttivo, donde scaturiva il largo fiume della ricchezza della Francia; un cataclisma tellurico, sommergeva quella sorgente e arrestava a un tratto il corso di quel fiume. Tutta quella gente lacera, solcata dai disagi e dalla fame, avvilita dalla paura e dall’incertezza del domani, spinta verso l’ignoto che riceveva un pezzo di pane per carità; era per quella che aveva fino a ieri prodotto la ricchezza!...
Le locomotive fischiavano; pareva dicessero: “Ora vi porteremo via!” Dove? In Italia? In Svizzera? più lontano ancora? dove?
Benoist si aggirava, con le mani in tasca, col viso oscurato da una grande tristezza, fermandosi di tanto in tanto. Un vecchio, che sbocconcellava un pezzo di pane, rompendolo con le mani ossute, credendolo forse uno del comitato, lo salutò con un gesto della mano, che pareva anche un ringraziamento, e indicando il pane disse con un tono vago e indeterminato: 
- Eh! chi lo sa domani?...
Domani? che cosa era quel “domani”? l’ignoto. L’Ignoto in quell’ora tesseva la tela della storia futura, e nessuno poteva vederne la trama. 
Lentamente, si avviò per andare ad aspettar l’omnibus della Villette, per ritornarsene a casa; ma sull’angolo della rue de Valenciennes, si sentì chiamare da una voce arrochita: 
- Benoist!...
Si voltò vivamente: vide dinanzi a sé, sotto il candelabro d’una lampada, un uomo, il cui volto spariva sotto un cappello a cencio dalle ampie falde, e fra una barba incolta e una sciarpa di lana tirata fin sulle orecchie. Era sepolto in una specie di pastrano, nelle cui tasche affondava le mani. 
Benoist non lo riconobbe. 


Luigi Natoli: Alla guerra! Romanzo storico ambientato nella Parigi del 1914, all'inizio della Prima Guerra mondiale. Pubblicato unicamente a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 19 ottobre 1914, è raccolto per la prima volta in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori nel 2014, a cento anni di distanza e in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale.
Il volume è arricchito dai disegni  di Niccolò Pizzorno.
Pagine 954 - Prezzo di copertina € 31,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica
Disponibile su Amazon, Ibs e tutti i siti vendita online. 
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 


Nessun commento:

Posta un commento