La guerra aveva spazzato
ciò che vi era di putrido nella vita di Parigi? La grande città aveva ritrovato
il ritmo di una vita di raccoglimento nella consapevolezza della grande
tragedia nella quale improvvisamente la Francia era stata trascinata? Era stato
necessario che si abbattesse un uragano, perché la Francia si ridestasse dalla
sua obbliosa follia?
Uno strillone gli passò
accanto gridando:
- Il Tempo! Il bollettino del generale Joffre! La vittoria dei francesi!
Percorse tutto il
boulevard Rochechouart spinto da una curiosità di vedere, di osservare, di
sentire quella vita nuova a cui la città pareva aprir gli occhi per la prima
volta. Dappertutto la stessa rinuncia del passato; lo stesso silenzio di ogni
voce di scettica gioia; le porte dei cabarets chiuse, gli stucchi delle
decorazioni mortificati, senza luce, dietro le lampade spente; gli ultimi
manifesti ancora incollati nelle tabelle stinti e logori dalla violenza degli
acquazzoni; parevano i segni di una vita spentasi violentemente.
V’era qualche cosa di
triste e di opprimente nell’eroica rinuncia a quella che era parsa fino allora
la sola ragione di vivere a Parigi.
Benoist piegò pel boulevard
Magenta. Non sentiva ancora la stanchezza di quella lunga passeggiata, così
rivelatrice di nuove sensazioni. Udì i fischi delle locomotive della stazione
dell’Est: e si ricordò di aver udito e letto dell’esodo degli stranieri che
fuggivano da Parigi, e in così gran numero che non bastavano i treni. Le due
stazioni dell’est e di Lione erano invase da queste moltitudini, che ogni
giorno, da ogni parte della Francia, specialmente dal nord, si rovesciavano a
Parigi per prendere i treni della Svizzera e dell’Italia. Erano tutti operai o
piccoli impiegati, che scappavano dai grandi stabilimenti industriali, dalle
miniere, dinanzi all’avvicinarsi della guerra; tutta povera gente strappata al
lavoro, che aveva dovuto abbandonar la casa, la roba, forse anche il piccolo
peculio, incalzata dalla paura; la cui miseria aveva sollevato un vivo
sentimento di pietà e provocato i soccorsi del governo.
Come spinto da uno spirito
di fraternità pei sofferenti, pei miserabili, Benoist volle spingersi fino alla
stazione.
Era già notte: il cielo
coperto di nubi, l’aria umida e grave. Le lampade elettriche spandevano intorno
una luce lunare, che faceva taglienti le ombre nere. La piazza era tutt’intorno trasformata in un vasto
accampamento: erano le ultime torme di fuggiaschi, e la empivano tutta. A
gruppi, a famiglie, seduti per terra, su povere valigie legate con la corda, su
piccole casse, sui fardelli che erano una mostra di miseria, uomini e donne,
vecchi e bambini, stavan lì in silenzio con uno squallore pieno di sgomento nel
volto: con negli sguardi un desiderio prepotente di fuggire, di ricoverare nei
loro paesi d’origine, che alcuni non conoscevano neppure. Pochi passeggiavano
lenti, soffermandosi qui e là, barattando qualche parola. I portici erano così
stipati, che non vi si poteva circolare; l’ampia sala dei bigliettai, le sale
d’aspetto erano gremite dei fortunati che erano giunti pei primi; sopra alcuni
sedili erano coricati e coperti di mantelli, gli ammalati: ve ne erano che
battevano i denti per la febbre, altri gemevano. Dei vagiti di infanti, delle
grida di bimbi irrequieti o affamati rompevano quella specie di lugubre
silenzio che rattristava la piazza.
Le carrozze, le
automobili, gli omnibus eran costretti a rallentare la corsa, a procedere a
passo d’uomo, guidati dalle guardie di città, che procuravano di mantenere un
po’ d’ordine.
Giunse un carro, preceduto
da un’automobile, dalla quale scesero alcuni signori. Benoist vide che traevano
pane e commestibili, latte, vino. Bisognava pure sfamare quella povera gente!
La notizia che era
arrivato quel carro, si diffuse in un baleno; tutta quella moltitudine che
giaceva oppressa, si sollevò a un tratto con una specie di ardore, alla
conquista del pane; la paura di arrivar l’ultimo, di non trovar più nulla,
rendeva ognuno egoista: ognuno voleva passar prima, respingeva il vicino, rovesciava
i fanciulli, gridando. Migliaia di grida insieme, migliaia di braccia si
agitavano; un mareggiare di teste; uno spettacolo doloroso e ripugnante in un tempo.
Le guardie di città cercavano di regolare la
distribuzione; respingevano, raccomandavano, minacciavano di arrestare.
Duravano una fatica enorme, per impedire che quel carro fosse saccheggiato.
Benoist guardava. Quanta
miseria!... e quanta abbiezione!... Era un altro quadro che la guerra gli
offriva; un quadro assai diverso dal quello che Montmartre già quartiere della
gaia scienza del piacere, gli aveva rivelato; era la fine del lavoro pacifico e
produttivo, donde scaturiva il largo fiume della ricchezza della Francia; un
cataclisma tellurico, sommergeva quella sorgente e arrestava a un tratto il
corso di quel fiume. Tutta quella gente lacera, solcata dai disagi e dalla
fame, avvilita dalla paura e dall’incertezza del domani, spinta verso l’ignoto
che riceveva un pezzo di pane per carità; era per quella che aveva fino a ieri
prodotto la ricchezza!...
Le locomotive fischiavano;
pareva dicessero: “Ora vi porteremo via!” Dove? In Italia? In Svizzera? più
lontano ancora? dove?
Benoist si aggirava, con
le mani in tasca, col viso oscurato da una grande tristezza, fermandosi di
tanto in tanto. Un vecchio, che sbocconcellava un pezzo di pane, rompendolo con
le mani ossute, credendolo forse uno del comitato, lo salutò con un gesto della
mano, che pareva anche un ringraziamento, e indicando il pane disse con un tono
vago e indeterminato:
- Eh! chi lo sa domani?...
Domani? che cosa era quel
“domani”? l’ignoto. L’Ignoto in quell’ora tesseva la tela della storia futura, e
nessuno poteva vederne la trama.
Lentamente, si avviò per
andare ad aspettar l’omnibus della Villette, per ritornarsene a casa; ma
sull’angolo della rue de Valenciennes, si sentì chiamare da una voce arrochita:
- Benoist!...
Si voltò vivamente: vide
dinanzi a sé, sotto il candelabro d’una lampada, un uomo, il cui volto spariva
sotto un cappello a cencio dalle ampie falde, e fra una barba incolta e una
sciarpa di lana tirata fin sulle orecchie. Era sepolto in una specie di
pastrano, nelle cui tasche affondava le mani.
Benoist non lo riconobbe.
Il volume è arricchito dai disegni di Niccolò Pizzorno.
Pagine 954 - Prezzo di copertina € 31,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile presso La Feltrinelli libri e musica
Disponibile su Amazon, Ibs e tutti i siti vendita online.
Sconto del 20% se acquistato dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Nessun commento:
Posta un commento