La prigione detta del Pozzetto era la peggiore di tutti: si trovava nella torricella del
mastio, a occidente; alta dal suolo circa sessantaquattro braccia, illuminata
da un finestrino con triplice inferriata, aperto a meno di tre palmi dal
pavimento nudo e limaccioso, nella parete spessa otto palmi. Angusta, umida,
semioscura; non aveva porta: vi si entrava dall’alto, per una botola che si
apriva esternamente, donde, occorrendo, si calava una scala. Il prigioniero vi
era stato calato con una corda; forse per questo, la prigione aveva nome Pozzetto: nessuna fibra, per forte che
fosse, avrebbe potuto durare a lungo in quella sepoltura, che la pietà
religiosa del sant’uffizio e del papa dava ai prigionieri. Non v’era che un
mucchio di paglia per giaciglio, gittata in un angolo, sotto un grosso anello
di ferro infisso nella parete per incatenarvi il prigioniero.
Luigi Natoli: Cagliostro e le sue avventure.
Nell'unica versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914.
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