-
Quel “picciotto” vuol darci qualche altro boccone amaro! – disse don Giuseppe,
dopo che Giovanni se ne fu andato: e si sprofondò nell’ampio seggiolone di
cuoio nero, presso la tavola, dal quale non appariva che il volto scialbo e
diafano incorniciato dalle barbette grigie, e le mani bianche, nodose, con le
vene gonfie, appoggiate sui braccioli.
Per
lui tutti i figli erano “picciotti”, anche se ammogliati, ma Giovanni, che gli
era, quasi, rimasto in casa (abitava un quartierino contiguo, ma soltanto la
notte: il giorno lo passava lui e Rosalia, nella casa paterna), Giovanni era
più “picciotto” degli altri, forse perché lo giudicava ancora un po’ sventato.
I bocconi amari, ai quali don Giuseppe alludeva, erano stati due, ma il primo,
una vera sventatezza. Giovanni aveva tredici anni nel 1822. Aveva saputo che in
un pomeriggio di gennaio s’avevano a fucilare nove cittadini, condannati per
carboneria e cospirazione:
e invece di andarsene all’Oratorio era corso a vedere quell’orrore. Ne era
tornato con la febbre, e ne aveva avuto per più giorni. Don Giuseppe era andato
in collera:
-
Ben gli stia! Gli servirà per lezione per l’avvenire.
La
lezione aveva avuto l’effetto contrario di quello previsto da don Giuseppe;
perché da quel giorno, la visione di quei nove disgraziati uccisi barbaramente, e fra essi un giovane
ancora imberbe, del quale si recitavano dei sonetti, avevano acceso
nell’animo di Giovanni odio contro i Borboni. Con gli anni l’odio si era
fortificato: la storia greca e la romana gli avevano circondato di gloria
Armodio e Bruto; e all’Università, conosciuti Dante e Alfieri, gli si erano
dischiusi orizzonti più vasti. Ed era entrato nella Carboneria, affiliatovi da
un compagno, Andrea Pardo, col quale aveva stretto vincoli di fraterna
amicizia. Don Giuseppe, non aveva né avrebbe mai sospettato che un suo figlio
potesse essere intinto di quella pece. Se ne accorse sbalordito, anzi
atterrito, quando Giovanni, accusato di scienza e di connivenza con l’infelice
tentativo carbonaro del 1831, (4) fu arrestato. Questa don Giuseppe non l’aveva
potuto giudicare una sventatezza da ragazzo. Era un delitto. E ne aveva preso
una malattia. E c’era voluta la buona reputazione di fedeltà e di devozione al
Re, che egli godeva nel Ministero, le sue relazioni, l’intervento dei signori
della prima nobiltà, per sottrarre Giovanni a una condanna.
Nessuno
toglieva dalla testa a don Giuseppe che l’Università gli aveva sviato il
figlio. C’era qualche professore bacato da certe idee...; e facevan leggere
troppi libri! Il buon uomo si rammaricava qualche volta d’aver ceduto alle
insistenze di sua madre, che voleva un uomo di legge in famiglia.
-
In casa nostra – diceva la nonna Angelina – sono stati sempre avvocati: tu non
hai voluto continuare la tradizione: che almeno la riprenda uno dei tuoi figli.
Sì,
stava bene: sarebbe forse stato meglio avviarci Nenè o Leopoldo, che erano più
tranquilli. Ma avevano l’ingegno di Giovanni? E per riuscire ci vuole ingegno.
Un avvocato senza ingegno va a finire “paglietta”. Giovanni, invece... E poi se
non voleva esercitare l’avvocatura, poteva diventar magistrato, la toga era
mezza nobiltà. Aveva quelle ideacce? Sarebbero passate con gli anni. I giovani
hanno sempre qualche grillo: e se Leopoldo e Nenè non ne avevano avuti, e non
ne aveva avuti neppure lui, don Giuseppe, non era una ragione che non dovesse
averne Giovanni. Quel che importava era che Giovanni diventasse un bravo
avvocato. Così donna Angelina aveva vinto.
-
E poi – aggiungeva – lascialo sposare, e vedrai che i grilli gli passeranno.
Qualche
anno dopo la laurea, infatti, Giovanni prese moglie. E pareva che non pensasse
ad altro che alla professione; ma eccoti il colera a ridestare le antiche
apprensioni di don Giuseppe, rinnovare le querimonie contro l’Università; e
renderlo stizzoso per la paura. Che bisogno c’era di parlare male del Governo? di
tirarsi addosso la polizia? Un processo? E poi, che c’entra il Governo col
colera?
-
Eh? Che cosa c’entra? O non lo hai sentito che è stato proprio il Governo a far
togliere il cordone e ordinare che si desse pratica alle navi di Napoli?...Va,
va! bisogna esser ciechi: Giovanni ha ragione...
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