mercoledì 18 giugno 2025

Luigi Natoli: l'inizio di Squarcialupo, romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500

Buio profondo nella strada. E non un’anima viva: solo due cani che si udivano ringhiare invisibili, sotto la pioggia minuta e uguale che cadeva silenziosamente dalle prime ore della sera. Una porta si schiuse lentamente, lasciando travedere una luce rossiccia, e una testa si sporse fuori: guardò a destra, guardò a sinistra, poi in alto, dove l’alta torre di un vecchio palazzo si perdeva nelle tenebre: infine rientrò e richiuse.
Dentro v’erano cinque uomini, seduti intorno a una tavola, illuminata dalla luce rossastra oscillante di una lucerna di terracotta. Un boccale stava fra loro. Un’altra tavola, tra panche e scranne si trovava alla parete opposta, in quella stanza, non troppo grande, fuliginosa, che sapeva di vino e di unto. In fondo si vedevano incerti nella penombra, un banco con altri boccali, e dietro il banco due botti. Era una taverna.
A quell’ora, essendo già suonata da un pezzo l’ora del coprifuoco, nessuno avrebbe dovuto trovarcisi: ma quei cinque avventori avevano qualche cosa di singolare che aveva obbligato il tavernaio a lasciarli stare nella taverna, contentandosi di chiudere la porta.
Quei cinque uomini erano armati di spada e pugnali; ma più delle armi che tutti per altro portavano, incuteva soggezione l’aspetto. Erano bravacci, avanzi forse di quelle soldatesche spagnole che pochi anni innanzi, ritornati dall’Africa, avevano suscitato in Palermo una sommossa con tante uccisioni che la fecero dire un piccolo Vespro.
Avevano certamente qualche ragione per trattenersi in quella taverna oltre l’ora consentita dai bandi: e il tavernaio non aveva osato mandarli via, oltre che per non subire prepotenze, anche perché di convegni simili questo non era il primo.
Quello che si era affacciato, disse con lieve accento straniero:
- Piove ancora.
- Tanto meglio! – disse uno di quelli che stavano seduti.
- Che s’aspetta? – domandò un altro.
- Non è l’ora. Non bisogna aver fretta, più tardi è, meglio è!...
- Gli è che mi annoio...
- E se t’annoi, vattene!
- Proprio?
Il dialogo morì a questo punto. Il bravaccio che s’annoiava sbadigliò, stirò le braccia, poi le intrecciò sulla tavola e vi appoggiò il capo. Per un poco il silenzio gravò nella stanza: ma un colpo picchiato alla porta provocò un movimento, come se fosse stato un richiamo.
Dalla porta aperta, si affacciò un uomo avvolto in un mantello e disse a uno di quegli uomini.
- Andiamo, Egnacio.
Egnacio, che pareva il capo della comitiva, diede una scossa a quello che s’era addormentato.
- Su, poltrone!...
Uscirono a uno a uno, cautamente, senza far rumore: e s’avviarono, un dietro l’altro, in silenzio, rasente i muri, dietro l’uomo che era andato a chiamarli. 
La città era deserta: le case immerse nel sonno. Per quanto essi si studiassero di non far rumore, i passi risonavano nel silenzio notturno. Percorrendo vicoli tortuosi, che probabilmente datavano dal tempo dei musulmani, sbucarono nella via Marmorea, che così ufficialmente si chiamava allora il vecchio Cassaro: e imboccarono la strada di Sant’Antonio, che montava in su, verso la vecchia piazzetta di San Teodoro, chiusa dall’alta muraglia che dominava le bassure del quartiere degli Amalfitani, dove sorgeva il mercato, e scorreva ancora un fiumicello.
La comitiva si fermò sotto l’arco detto delle Vergini. L’uomo che ve l’aveva condotta, disse a Egnacio.
- Io ti aspetto a casa dove sai. Bada bene a non fallare il colpo.
- Non abbiate timore, caballero.
- E soprattutto non bisogna torcerle un solo capello.
- Ma bisogna pure impedirle di gridare!
- Troverai il modo di impedirlo, senza farle male... E ricordati di quel che ti ho detto...
Egnacio fece un gesto di promessa e di assicurazione. L’uomo che comandava con tanta autorità, e che ai modi e al portamento si vedeva bene essere un gentiluomo, si allontanò per la strada che correva lungo le mura, e che prendeva nome di Ruga del Celso; nome rimasto a una parte di essa.
Egnacio si avvicinò ai compagni, coi quali confabulò un poco, sotto voce, guardando ogni tanto il muro di cinta del giardino del monastero. La pioggia continuava, lenta, minuta, implacabile. Essi avevano i mantelli fradici, e i piedi guazzanti nella mota.
Il Ragno, che doveva essere il soprannome alla lunghezza e alla esilità delle sue gambe, s’avvicinò al muro, tastandolo, finché trovò il punto buono.
Allora stese le mani dentro certi crepacci, e con facilità straordinaria si arrampicò su pel muro, non ostante che la pioggia lo rendesse lubrico, e che più d’una volta il piede scivolasse. Gli altri seguivano con gli occhi l’ascesa della sua massa bruna e informe, che appena si scorgeva sul grigiastro del muro.
Finalmente giunse a mettersi a cavallo.
- Ci sei? – domandò Egnacio.
- Sì: butta.
Egnacio si tolse di sotto il mantello una cordicella arrotolata, al cui capo era legato un pezzo di legno: e preso lo slancio la lanciò in alto. Il Ragno la prese in petto, e cominciò a tirare la cordicella all’altro capo della quale era assicurata una scala di seta, munita di due forti uncini.
Dopo qualche minuto il Ragno disse:
- Potete salire.
Egnacio fece salire a uno alla volta i suoi compagni; ultimo si arrampicò lui. Quando tutti si trovarono a cavalcioni sull’orlo del muro, il Ragno girò la scala e la voltò dalla parte del giardino. Discesero. La terra molle spegneva il rumore dei passi; e non si udiva altro rumore che quello dell’acqua che cadeva sul laghetto che era in mezzo al giardino. V’era anticamente una sorgente d’acqua minerale che aveva virtù medicamentose, per cui i musulmani l’avevano chiamata  fonte della salute. “As Safa”. E vi avevano costruito un ospizio. I normanni vi eressero chiesette, un ospedale, forse un macello: poi vi sorse un monastero, e la fonte restò nella clausura. L’acqua perdette forse la sua virtù, ma continuò a scaturire: e le monache ne fecero un laghetto, sul quale una barchetta serviva a sollazzarle.
Egnacio, seguito dai suoi compagni costeggiò il laghetto: entrò in un viale che pareva una galleria aperta nel fogliame, e giunse a un portico. Allora si trasse di sotto una lanterna cieca, e illuminò le pareti del portico, dove scoprì una porticina.
- È questa – disse: – a te Succhiello.
Succhiello era il nomignolo affibbiato a uno di quei malandrini, per la sua abilità a scassinare le porte. Egli prese la lanterna, esaminò il buco della serratura; poi cavato un ferro dalla borsa che gli pendeva al fianco, cominciò a girarlo nel buco e a far leva, finché sentì lo scatto della molla e la porta cedette, e inghiottì nelle tenebre i cinque malandrini.

Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli. Ventisei romanzi, ognuno con un inizio diverso.
Squarcialupo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1500. Pubblicato unicamente in appendice al Giornale di Sicilia nel 1924, raccolto per la prima volta in unico volume ad opera de I Buoni Cugini editori.
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Pagine 684 - Prezzo di copertina € 24,00

Il volume è disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo poste o corriere, consegna gratuita a Palermo)
Su Amazon Prime e tutti gli store online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour di fronte Feltrinelli), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Spazio cultura libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102). 

lunedì 16 giugno 2025

Luigi Natoli e l'inizio dei suoi romanzi: Cagliostro e le sue avventure. Romanzo storico siciliano.

 
Un colpo di fucile rimbombò nella notte; e nel tempo stesso una voce gridò: 
- All’armi! 
Quasi subito s’udì un gran rumore di gente ridestatasi e impaurita; e per la cortina occidentale del castello, fra’ due torrioni, si videro correre, al lume di lanterne oscillanti, nere ombre gridavano: 
- Che cos’è?....
Al corruschìo delle armi si indovinava che erano soldati. 
Si udì uno stridere di ferri, uno sbattere di porte e di cancelli; alcune finestre del mastio si illuminarono; ben presto le due torri e la cortina si animarono di soldati e di aguzzini o guardiaciurme, che agitavano fiaccole e lanterne: 
- Che cos’è?...
La sentinella che aveva sparato da una delle torri, gridava: 
- Giù! Bisogna andar giù nel fosso... Dev’essere lì...
- Chi?
- Un prigioniero. È caduto nel fosso. 
Un uomo piccolo, magro, gridio, in farsetto, senza parrucca, con una spada in pugno, venne anche lui frettolosamente, gridando: 
- Che cos’è stato? che prigioniero?
Era l’illustrissimo signor tenente Gandini comandante del presidio della fortezza di S. Leo, svegliato nel suo più bel sonno da quel colpo di fucile impreveduto e inesplicabile. 
- È scappato un prigioniero, illustrissimo...
- Un prigioniero? Scappato? E l’avete lasciato scappare, animali! Salvando il battesimo... Vi farò impiccare...
- Illustrissimo, non è scappato: è precipitato giù nel fosso; deve essersi sfracellato!...
Intanto si era aperta la saracinesca e la porta del castello, e abbassato il ponte; quattro soldati con la baionetta inastata e alcuni guardiaciurma con fiaccole, scendevano nel fosso. Di su, altri sporgevan fuori dalle feritoie altre fiaccole e lanterne; e la scena si illuminava fantasticamente qua e là di luce rossiccia e fumosa. 
Il tenente Gaudini, arrampicato sul parapetto, allungando il capo, gridava: 
- Fa’ presto sergente! Oh che avete le gambe di legno?
La sentinella che aveva sparato, alla sua volta, gridava per guidare i cercatori: 
- Da questa parte... dev’essere caduto da questa parte!... l’ho veduto precipitare io!...
I soldati e i guardaciurma seguivano le indicazioni, balzellando per la costa sdrucciolevole del fossato, e sorreggendosi sui fucili e sui bastoni. E intanto dal borgo, destati da quella fucilata, stupiti da quel trascorrere di lanterne e di torce a vento nell’ombra notturna, accorrevano i terrazzani, domandandosi che cosa fosse accaduto. Incendio non era; salvo il fumo delle torce, non v’era altro segno di arsione; assalti impensati di nemici, non era da supporne. 
Ancora i repubblicani francesi non osavano scendere dalle Alpi; e gli stati di Sua santità erano tranquilli. Né si poteva pensare a ribellioni. Se nelle grandi città, per esempio a Roma qualche anno innanzi, o a Bologna, v’erano degli innovatori, infatuati di giacobinismo, (pochi, per fortuna, della Santa Sede e della religione!) come poteva supporsi che ve ne fossero in San Leo, in quel piccolo borgo, appollaiato sull’ardua rocca di Montefeltro, sotto la minaccia della formidabile fortezza?
Ma ben presto la verità corse di bocca in bocca. Un prigioniero aveva tentato di fuggire. Come, non si sapeva. La sentinella che passeggiava nella torre di tramontana, aveva veduto un’ombra attraversare la corte, salire e scavalcare la cortina, calarsi lungo il muro. Le aveva gridato l’alto, ma l’ombra si era affrettata a discendere, come un gatto; e allora la sentinella aveva fatto fuoco. L’ombra era precipitata nel fosso. Era evidente che doveva essere un prigioniero. Il muro era alto e il corpo del prigioniero aveva fatto un tonfo. Era vivo? Morto?
I terrazzani commentando il caso inaudito salivan per la china sparsa di cespugli, che separa il borgo dalla fortezza; si distendevano sul ciglio del fosso, guardando i soldati che vi erano scesi, e che tendevan alte le fiaccole, per illuminar più lontano che fosse possibile. 
A un tratto una voce gridò: 
- Eccolo! Eccolo!...
Il comandante con un gran sospiro di soddisfazione, gridò: 
- C’è dunque?
- Signor sì, illustrissimo!...
- Sia lodato Dio! chi è? Guardate chi è il malandrino?...
Al dubbio lume delle torce si vedeva tra i sassi limacciosi raggomitolato e immobile un corpo umano, del quale non si scorgeva il capo, nascosto com’era fra le gambe. 
I soldati gli furono addosso; un di loro, chinatosi, gli sollevò il capo e gridò con stupore:
- È l’eretico...
- L’eretico?
La parola risonò per tutte le bocche con lo stesso stupore. 
- È morto? – gridò il tenente Gaudini con sdegno e paura. 
- Dagli col calcio del fucile! 
- Il bestione è svenuto!...
- Fagli un salasso con la bajonetta: gli farà bene...
- Adagio... Mi pare abbia una gamba rotta!...
- No, un braccio!
- Un braccio e una gamba!...
- Ma guarda! Il diavolo suo compare l’ha dunque abbandonato?...
Un soldato rimontò il fosso per andare a prendere una scala; intanto che gli altri continuavano a vociare fra loro e coi terrazzani, che dal ciglio del fosso domandavano:
- Rinviene?
- Sì...
- No...
- Ma sì, apre gli occhi!... Domandagli come ha fatto...
- Che cosa vuoi che risponda!... Gli è tutto pesto!...
Il caduto aveva difatti aperto gli occhi con una espressione di intontimento, guadando intorno i soldati, le fiaccole, i fucili, come se non capisse nulla: ma a poco a poco la coscienza cominciò a ritornargli, il suo sguardo, diventando più intelligente, si incupiva, prendeva una espressione di collera. 
Tentò un movimento, ma un dolore acuto gli strappò dalla bocca un grido angoscioso...

Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli: 26 romanzi storici, ognuno con un inizio diverso.
Cagliostro e le sue avventure: il romanzo-diario che ha come protagonista Giuseppe Balsamo, passato alla storia come Il conte di Cagliostro. 
L'opera è la trascrizione dell'unico romanzo originale, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1914.
Pagine 884 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o con raccomandata postale in tutta Italia)
Su tutti gli store online.
In libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Zacco (Corso Vittorio Emanuele 423), Libreria Nike (Via M.se di Villabianca 102), Spazio cultura libreria Macajone (Via M.se di Villabianca 102).

lunedì 2 giugno 2025

Luigi Natoli: 31 maggio 1860. Quando Garibaldi si affacciò dal balcone del palazzo municipale... Tratto da: Rivendicazioni attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860

La notizia della conferenza si era già diffusa in un baleno per la città; e una folla immensa, tutto un popolo, “picciotti” delle squadre, volontari, donne, vecchi, signori e plebei si accalcava, si pigiava nella piazza del palazzo di città, su per la fontana, tra le macerie, nella via Maqueda fino e oltre i Quattro Canti. Un bollettino era stato redatto, stampato e divulgato, che aveva commosso e infiammato gli animi. Riferiva che le trattative, contenendo fra i patti una condizione “umiliante per la brava popolazione di Palermo” dal Generale rigettata, erano rotte, e il domani si sarebbero riprese le ostilità. Ma la folla voleva vedere il Generale; ed egli si affacciò dal balcone posto nell’angolo del palazzo, dalla parte di via Maqueda; accanto a lui era il maggiore Bosco andato come parlamentario del Lanza. Un alto e profondo silenzio si fece subito su quella immensa folla, ansiosa e fremente, sopra la quale squillò la bella voce del Generale, come tromba di guerra.- “Popolo di Palermo, il nemico mi ha fatto proposte ignominiose per te; ed io sapendoti pronto a farti seppellire sotto le rovine della tua città, le ho rifiutate!”.
Un urlo formidabile, tremendo, scoppiò da centomila bocche – “Guerra! guerra!... grazie, Generale!...” tutte le mani si tesero a lui; e parve in quel momento che Garibaldi e il popolo non avessero che un’anima sola.
V’erano in quella moltitudine uomini e donne quasi seminude, scampate all’incendio e alle bombe, che avevan loro distrutta la casa, uccisi i parenti; v’eran vecchi e fanciulli digiuni da tre giorni, senza casa, senza domani; e pure nessuno ebbe un attimo di debolezza; nessuno pensò che della città non sarebbe rimasta una pietra, che la guerra sarebbe stata d’esterminio; nessuno tremò: le rovine e i patimenti e le morti avevano tramutato tutta una popolazione in un esercito di eroi.
- “Guerra! guerra!”.
Il maggiore Bosco impallidì e si ritrasse.
La popolazione si preparò alla ripresa della lotta, che sarebbe riuscita micidiale alle truppe, per le formidabili barricate e per la trasformazione d’ogni casa; ma che avrebbe ridotta la città un cumulo di rovine. Fortunatamente il disastro fu scongiurato. Il generale Letizia e il colonnello Bonopane, venuti da Napoli, espressamente, il 31 proposero a Garibaldi, senza che il Lanza ne sapesse nulla, il prolungamento dell’armistizio. Si vociferò di tradimenti, si infamò questo o quell’onesto generale: e la verità, rimasta tanto tempo celata, è oggi palese per la pubblicazione della corrispondenza tra il re Francesco II e il generale Lanza. Il Letizia e il Bonopane avevano ricevuto l’incarico dal re; al cui animo ripugnava lo spargimento del sangue e l’orrore del bombardamento. Egli volle l’armistizio; persuaso per altro che la Sicilia oramai era perduta; e che la corona doveva salvarsi a Napoli.
O la fortuna assisteva davvero il genio di Garibaldi, l’audacia dei suoi compagni d’armi, la tenacia e il valore di tutto un popolo!



Luigi Natoli: Rivendicazioni. La rivoluzione siciliana nel 1860 e altri scritti storici sul Risorgimento. 
Una raccolta di scritti storici e storiografici rigorosamente nella originalità dei documenti:
Storia di Sicilia dalla Preistoria al Fascismo (Ed. Ciuni anno 1935 - Per la parte di storia siciliana che va dal 1820 al 1860) La rivoluzione siciliana nel 1860. Narrazione. (Comitato cittadino pel cinquantenario del 27 maggio 1860 - Palermo 1910) Di un volume di documenti sulla rivoluzione siciliana del 1860 e sulla spedizione dei Mille. (Estratto mensile "Rassegna storica del Risorgimento Anno XXV Fasc. II Febbraio 1938 - XVI) I più piccoli garibaldini del 1860 (Estratto da "La Sicilia nel Risorgimento italiano - anno 1931") Rivendicazioni. Attraverso le rivoluzioni siciliane del 1848-1860 (Cattedra italiana di pubblicità - Editrice in Treviso 1927).
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Pagine 575 - Prezzo di copertina € 24,00
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o poste in tutta Italia)
Su tutti gli store online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102). 

Luigi Natoli: 2 giugno 1882, muore Giuseppe Garibaldi. Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano.

Il 2 giugno del 1882, nella sua isoletta di Caprera, morì Giuseppe Garibaldi.
Il suo nome non ha bisogno di lodi: perché non si può parlare del risorgimento della Patria, senza parlare di lui. E non ci inchiniamo dinanzi alla sua grandezza soltanto noi Italiani, ma tutti i popoli civili: perché dove c’erano popoli oppressi, che anelavano alla libertà, ivi accorreva Garibaldi.
Combattè in America, combattè in Roma, in Lombardia, in Sicilia, nel Napoletano, in Francia: e giovani e vecchi lo seguivano, perché egli li affascinava e li tramutava in eroi.
Eppure questo grande guerriero, questo liberatore di popoli era di cuor generoso e compassionevole: era modesto, e rifiutò gradi, onori e doni. Si sarebbe potuto arricchire; invece, dopo aver liberato la Sicilia e Napoli, e aver dato al re Vittorio Emanuele II queste due regioni, se ne tornò povero e semplice in Caprera, a coltivare le sue terre e a governare il suo piccolo gregge.
Ma quanta gloria illuminava la casetta solitaria da lui stesso costruita! E di quanta venerazione non era egli circondato!...
Non v’è città in Italia che non gli abbia inalzato un monumento, o non abbia intitolato una via col suo nome. E questo, perché dire: “Garibaldi” e dire: “Italia”, è la stessa cosa.


Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie. 
Pagine 210 - Prezzo di copertina € 18,00
L'opera è la fedele trascrizione del volume pubblicato dalle Industrie Riunite editoriali siciliane (Palermo) nel 1925 ed è corredato dalle foto originali del libro. 
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
Disponibile su tutti gli store di vendita online e in libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour) e presso il punto vendita del Centro Commerciale Conca d'Oro, La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria Macaione (Via Marchese di Villabianca 102), Libreria Nike (Via Marchese Ugo 56), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15). 

sabato 24 maggio 2025

Luigi Natoli: Pochi salutarono con gioia pari alla Sua l'alba del 24 maggio! Tratto da: Ricordi di Clodomiro, mio figlio.

Eppure in quel primo momento gli vietarono di partire pel fronte, perché i medici militari lo giudicarono inadatto alle fatiche di guerra: Lui che la guerra già conosceva! Egli fuggì: fuggì due volte; e così gli fu concesso di raggiungere il suo reggimento. Partì negli ultimi di maggio. Da allora stette sempre in prima linea; dovrei dire anzi sempre in trincea; che soltanto pochissimi giorni la sua compagnia andò in riposo. Modesto, sobrio, primo sempre ai pericoli, allegro, affettuoso, in tutta la lunga faticosa aspra avanzata per la conquista del Col di Lana, rese importanti servizi. Cento volte sfidò la morte: di giorno e di notte, sulla neve, sotto i reticolati austriaci, dovunque i suoi superiori Lo mandavano, sicuri dell’audacia, dell’abnegazione e dell’intelligenza del “Garibaldino” – come lo chiamavano.
E non vantò mai l’opera sua; spesso lasciò ad altri il merito di Sue rapide e feconde iniziative. Inviato dal suo capitano, che lo amava, a iscriversi nel plotone allievi ufficiali, si rifiutò. Che importava un grado? Combattere bisognava; che anche da semplice soldato si poteva ben meritare dalla patria. E da soldato poteva Egli, nei brevi riposi della trincea, continuar meglio fra compagni quell’apostolato di italianità, che aveva cominciato in Francia. Non pensò mai a sé. Più di una volta, sfidando la morte, andò a raccogliere qualche compagno gravemente ferito, e se lo caricò sulle spalle, invano bersagliato dalle fucilate austriache. Gli shrapnels, le bombe, le palle austriache che Gli uccidevano i compagni al fianco, pareva rispettassero la sua balda giovinezza: Gli cadevano ai piedi senza esplodere, o Gli foravano il berretto senza colpirLo. Le valanghe precipitavano su la Sua capanna in vedetta avanzata, senza abbatterla; la neve Lo copriva durante il sonno su per la montagna, e Lo svegliava il domani ilare e svelto, fra compagni, ahimè, che non si svegliavano più!... S’era acquistata una fama di invulnerabilità, che Gli faceva sfidare la morte, sorridendo. Ma senza spavalderia. Non potei indurLo mai, nelle brevi licenze passate con me, a scrivere o a narrare episodi che Lo riguardassero: quelli che io conosco, Gli sfuggivano, quasi senza volerlo, dalla bocca, incidentalmente; e accennandovi, cercava di non lumeggiar troppo Se stesso; e qualche Suo bel tratto eroico o generoso cercava di ridurre, non tanto per modestia, quanto pel timore che potesse apparire una vanteria.
Portava nella guerra la gentilezza dell’animo; così il Suo odio fiero e ardente contro il tedesco – e tedesco per Lui era anche l’austriaco – non spegneva il sentimento di pietà: nè l’aver desiderato e propugnato la guerra, di riconoscerne e deplorarne l’orrore.


Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro mio figlio.
Prezzo di copertina € 10,00
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it
Disponibile su Amazon Prime, Ibs, La Feltrinelli.it e tutti gli store online.
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica e nelle migliori librerie.

martedì 20 maggio 2025

Luigi Natoli: 20 maggio 1795, l'esecuzione del patriota giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano

Quel giorno parve che il governo fosse preso da una paura tremenda. Tutte le truppe furono tenute sotto le armi, nelle caserme; fu rinforzata la guardia nelle carceri e all'arsenale; a Castello a mare e al Palazzo; sui bastioni che guardano la Piazza S. Teresa, e dove è il giardino reale, furono posti dei cannoni, con le bocche rivolte al palco, caricati a mitraglia; altri cannoni furono appostati all'arsenale.
L’esecuzione doveva aver luogo verso le quattro pomeridiane. Corrado sentiva battere le ore alle campane degli orologi con una impazienza mista ad apprensioni, a timori, a sospetti; il suo cuore pulsava con violenza e con un’ansia inquieta, che era in lui affatto nuova. La vista di quelle forche, di quella mannaia, orride macchine, alle quali pur era adusato in quei tempi di supplizi feroci e inumani, ora gli metteva dei brividori nelle vene. Pur si padroneggiava; la sua emozione si rivelava al pallore del volto e alla febbrile irrequietezza degli atti. Ciò che più lo stupiva era il fatto che nella piazza, sebbene si avvicinasse l’ora, non si vedesse la solita folla avida di quegli spettacoli di sangue, feroce e compassionevole nel tempo stesso. La piazza era quasi deserta. Questa solitudine sconcertava il disegno di Corrado, che contava appunto su la folla per poterlo eseguire con minor rischio.
Poche persone, e dell’infima plebaglia, circolavano per la piazza, incuriosite; e fra loro scorrevano degli uomini, con uno scapolare indosso, che andavan gridando:
- Per l’anima di questi poverelli. 
Erano i confrati della Chiesa degli Agonizzanti, che ogni qualvolta si eseguiva una condanna capitale andavano per le strade, invitando, durante il tempo della triste funzione, con quel lugubre grido i pietosi a pregare per l’anima dei disgraziati, e a dare l’obolo per la celebrazione di messe in loro suffragio.
A quel grido s’accompagnavano i rintocchi funerei delle campane.
Corrado udì i rintocchi, udì il grido; un brivido gli corse per le vene...
- Orsù! – disse – avvenga quel che può; ma si compia il dovere!...
Attraversata la piazza s’avviarono verso Porta Nuova, dove si erano accalcati i pochi curiosi, per vedere la lugubre processione. I condannati venivano a piedi; dinanzi andava don Francesco Paolo Di Blasi, fra due confrati della Compagnia dei Bianchi; dietro, venivano i suoi compagni di sventura, confortati anch’essi da Bianchi. Erano strettamente circondati da settanta algozini; e di qua e di là compresi in una doppia e fitta siepe di compagni d’arme, di birri, caporali, cavarretti; tutta la sbirraglia era sotto le armi. Per accostarsi ai condannati, bisognava rompere una triplice muraglia vivente ed irta d’armi.
Corrado Calvello, che aveva già veduto l’apparato di forze, riconobbe la impossibilità del benchè lieve tentativo. Per veder meglio, montò sopra un sedile, dove stavano altri; confondendosi tra essi per non restar troppo in vista, e aspettò. Quando vide comparire don Francesco Paolo Di Blasi, non potè trattenere un grido di dolore. Il giureconsulto era irriconoscibile; magro, pallido, incanutito; tuttavia fermo e dignitoso. Udì e riconobbe egli quel grido? Sollevò il capo con vivacità, e il suo occhio errò su gli spettatori: vide due occhi umidi che lo guardavano, e una mano agitarsi in segno di supremo saluto; e un sorriso gli illuminò il volto...
Corrado non assistette al supplizio. Cupo, fremente, commosso ritornò al fondaco. L’esecuzione si svolse in quasi due ore. Prima fu decapitato il Di Blasi, poi furono impiccati il Tenaglia, il La Villa e il Palumbo; nessuno di loro tremò dinanzi alla morte; primi martiri della libertà iniziarono in Sicilia la lunga serie di cospirazioni e rivolte che dovevano abbattere la signoria borbonica; e mostrarono come si muore per un’idea.
Quando i pochi curiosi cominciarono ad allontanarsi, il cadavere di don Francesco Di Blasi fu trasportato nella vicina chiesa dei teresiani scalzi, e deposto in una cappella, senza che alcuno dei parenti gli rendesse pietoso ufficio. Soltanto fu visto entrare in chiesa un giovane, seguito da due contadini, avvicinarsi alla bara, inginocchiarsi e recitare una breve preghiera. Levatosi in piedi domandò a un frate:
- Sarà sepolto qui?
- No, signore; domattina sarà portato a S. Maria di Gesù, dove si celebrerà il funerale...




Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento e inizi Ottocento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. 
L’opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00
I volumi sono disponibili:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo corriere o posta in tutta Italia). È possibile ordinare anche alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. 
Disponibili su Amazon Prime o al venditore I Buoni Cugini e in tutti gli store online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Modusvivendi (Via Q. Sella n. 15) Libreria Nike (Via Marchese Ugo 76/78), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102)

martedì 6 maggio 2025

Luigi Natoli e il modo diverso di iniziare ogni suo romanzo: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento

Quella sera, sabato, si recitava al Casotto delle Vastasate una delle tre commedie popolari più fortunate e più originali: il Cortile degli Aragonesi. Bisognava sentire Marotta, il celebre comico creatore della parte di ‘Nofrio, e Giuseppe Sarci, biondo e femineo d’aspetto e di voce, nelle vesti di Lisa e il Montera nei panni di don Litterio il notaio messinese, e il Corpora sotto le spoglie di Caloriu il Ciancianese. Che risate!... La recita diurna aveva riempito la cassetta; non un posto vuoto: e di gente ne era rima sta fuori, e non si era mossa da lì, aspettando la recita notturna, per prendere i posti migliori, e rifarsi della lunga attesa. Fra gli spettatori fortunati era un bel giovane di ventisei anni, non molto grande, di membra delicate, strette nell’uniforme dei fucilieri, turchina, a risvolte bianche. Pallido, con gli occhi neri, un’aria quasi feminea; ma lo sguardo tagliente, che lampeggiava talvolta come una lama, il naso lievemente aquilino e la mascella forte, davano un carattere di energia a quel volto; e temperavano la mollezza dell’ovale, e della dolce e malinconica curva della bocca, rosea e piccola. Si vedeva bene che egli aveva una gran cura della bella uniforme turchina, dei calzoni bianchissimi e delle lunghe uose nere; e in generale di tutta la persona, forse un po’ troppo attillata. A non guardarlo in volto, poteva parere un vagheggino; ma lo sfolgorìo degli occhi e la vigorìa delle mascelle avvertivano che sotto quella lindura quasi feminea c’era un cuore che non tremava, e che quella mano sottile e bianca, sapeva render pericolosa la spada, dall’impugnatura dorata, che gli batteva sui polpacci. Egli stava lì, allo spettacolo, ma non pareva che ne godesse; nel suo volto era steso un velo di melanconia, e il suo sguardo distratto correva evidentemente dietro qualche idea.
Gli applausi del pubblico, che non poteva tenersi alla scena della baruffa tra la vecchia e loquace Laura e il goffo Barone, lo scossero per un istante. Alzò gli occhi su la scena. Laura stava alla finestra con un vaso intimo in mano, mentre il Barone, fradicio di un liquido che non era nanfa, minacciava con la canna in pugno, e Lisa gridava, e ‘Nofrio si sganasciava dalle risa. La folla batteva le mani, rideva, urlava, fischiava, si abbandonava a una ilarità tempestosa che faceva tremare la baracca. Come quell’uragano cessò, il sergente ricadde nelle sue meditazioni; ma a un tratto si sentì tirare per una manica. Si voltò...


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento, quando la Rivoluzione Francese porta in tutta Europa le prime idee di libertà dei popoli e nascono le prime Logge. Il protagonista Corrado Calvello è affiancato dal patriota e giureconsulto Francesco Paolo Di Blasi. 
Pubblicato per la prima volta in appendice al Giornale di Sicilia nel 1907.
L’opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1913. 
Copertina di Niccolò Pizzorno 
Pagine 880 – Prezzo di copertina € 25,00

Il volume è disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna in tutta Italia)
È possibile ordinare alla mail ibuonicugini@libero.it, al cell. 3457416697 o inviando un messaggio whatsapp al 3894697296. 
Disponibile su Amazon Prime e in tutti gli store online.
Disponibili a Palermo presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour 133 e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi n. 15), Libreria Nike (Via Marchese Ugo 76/78), Spazio cultura Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102).

lunedì 28 aprile 2025

Luigi Natoli a La via dei Librai


Sullo sfondo della magnifica Cattedrale di Palermo, che ci ha accompagnato per tre giorni, è finita ieri La via dei Librai. 
Tre giorni intensi, ricchi di nuove conoscenze, di incontri con i lettori curiosi di conoscere Luigi Natoli e il romanzo storico, oltre le opere di storiografia e di letteratura. 
Tante le firme raccolte per il Comitato Cittadino Amici di Luigi Natoli, che andrà avanti per raggiungere il suo scopo. 
Grazie agli organizzatori de La Via dei Librai.
Grazie a tutti coloro che si sono interessati alle nostre pubblicazioni, hanno fatto domande, hanno interagito con noi: avere un contatto diretto con il lettore è veramente bello. 
Grazie a tutti coloro che hanno aderito alla raccolta di firme del "Comitato Cittadino Amici di Luigi Natoli", molti sono venuti proprio per mettere la firma. E tra questi, ho avuto il piacere di conoscere di persona il dott. Claudio Paterna, Cristian Pancaro e Massimo Bonura. 
Grazie soprattutto per tutti i complimenti che ci avete fatto, una bella spinta per andare avanti nel nostro lungo lavoro. 

Vi attendiamo al prossimo evento, Una marina di libri, dal 5 all'8 giugno
Vi ricordiamo che la Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli è disponibile:
dal catalogo prodotti della Casa Editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo poste o corriere in tutta Italia e oltre, consegna gratuita a Palermo).
Su Amazon Prime e tutti gli store online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56).

I Buoni Cugini Editori
Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra 

sabato 19 aprile 2025

Luigi Natoli: Pasqua. Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie

Che allegro scampanìo per l’aria primaverile!
Grandi e sonore campane nelle città; piccole e timide campanelle nelle chiesette dei villaggi; ma tutte suonano a gloria: è Pasqua.
Quasi sempre la festa cade in aprile, più raramente negli ultimi di marzo, ma sempre in primavera: essa è la festa della Risurrezione.
Risorge dalla morte Gesù vittorioso: risorge la natura dallo squallore dell’inverno; risorgiamo anche noi con maggior lena alle nostre opere.
La festa di Pasqua era propria degli Ebrei, e commemorava la loro liberazione dalla schiavitù del Faraone.
Ora Gesù fu arrestato, martoriato e crocifisso, e risuscitò nel tempo, che in Gerusalemme si celebrava la Pasqua: perciò i cristiani conservarono il nome di Pasqua alla festa che ricorda la risurrezione di Gesù: con la quale hanno termine le funzioni della Settimana Santa.
Pasqua è la festa più gioconda dell’anno. Le campane, che per tre giorni sono state mute, squillano ora lietamente, e sembra che ci invitino a dimenticare i dolori, e a godere del bel tempo; ma altre cose ci dicono più belle e più sante.
Ci dicono che Pasqua è la festa del perdono: Gesù morì sulla croce perdonando i suoi nemici, e insegnandoci ad amarli. Se tu hai un nemico, va’ a trovarlo; portagli l’ulivo della pace; abbraccialo e bacialo, e dimentica il male che ti ha fatto. Se il male l’hai fatto tu a qualcuno, va a domandargli perdono. E farai bene.
“La pace sia con voi” era il saluto di Gesù e ce lo ha lasciato per insegnamento.


Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie. 
L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato nel 1925, corredato con le foto dell'epoca. 
La copertina di Niccolò Pizzorno riproduce quella originale. 

Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna a mezzo poste o corriere in tutta Italia)
Su tutti gli store online.
In libreria presso La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102). 

lunedì 14 aprile 2025

Il 14 aprile 1857, 168 anni fa, nasceva Luigi Natoli: romanziere, storiografo, storico, critico letterario, giornalista, drammaturgo, commediografo, poeta palermitano.

All'arte avevo dato io i primi sogni della giovi­nezza: li sacrificai a quello che mi apparve dovere di cittadino; e ho frantumato la mia attività in mille pic­cole cose, di vita effimera, per esumare, divulgare le memorie del nostro passato; per farle amare; per spronare altri alla storia nostra, che non defrauda, ma aggiunge nuove immarciscibili foglie all’alloro di che si inghirlanda l’Italia madre; e per far sentire ai giovani l’orgoglio di essere siciliani, ma nel tempo stesso il dovere che incombe sopra di loro, di esser degni del passato glorioso; e render nelle opere feconde della pace l’isola nativa emula delle altre regioni d’Italia, come emula, se non pur superiore, fu per rinuncie, per sacrifici, per sangue generosamente versato. 
Troppo io presunsi; lo so: ma se da questi scritti movesse qualcuno di maggior ingegno e più matura pre­parazione, e con maggior agio, a studiare profonda­mente e a rivelare questo o quell'aspetto del nostro Ottocento, io mi sentirei pago, e non rimpiangerei i sogni della mia giovinezza oramai tramontata da un pezzo.

Luigi Natoli

E noi, caro professore, da anni lavoriamo alla Tua opera, per divulgarla ai lettori che con amore e interesse ti seguono. E a breve, pubblicheremo un nuovo volume: una raccolta di studi a Te molto cara e su cui hai tanto lavorato. 
E continueremo incessantemente le nostre ricerche, affinchè un giorno la Tua immensa OPERA OMNIA sia completa, nella speranza che non si dica più che Luigi Natoli è quello dei Beati Paoli, ma lo scrittore e storiografo palermitano che, facendo conoscere la Storia della Sicilia con i suoi romanzi storici, i suoi scritti storiografici e di critica letteraria, le sue opere teatrali, ha reso i siciliani orgogliosi di essere tali. 

I Buoni Cugini Editori
Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra

La Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli (36 volumi ad oggi) è disponibile:
dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna gratuita a Palermo, consegna con raccomandata postale o corriere in tutta Italia)
Su Amazon Prime e tutti gli store online (alcuni volumi anche in ebook)
In libreria presso: 
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Spazio Cultura Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), Libreria Nike (Via M.se Ugo 78), Libreria Modusvivendi (Via Quintino Sella 79).

lunedì 31 marzo 2025

Luigi Natoli: Cadeva in quell'anno 1282 il martedì ai 31 di marzo... Tratto da: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo

Era costumanza allora in Palermo il martedì dopo Pasqua andare a mezzo miglio della città, nella pianura detta di Santo Spirito da una Chiesa e un cenobio, e lì alzar tende, improvvisar taverne, e lietamente banchettare e ballare e cantare. Cadeva in quell’anno 1282, il martedì ai 31 di marzo, e la folla era grande, chè fra tante tristezze cercava illudersi in un giorno di svago. Quasi per mantenere l’ordine, un gran numero di sergenti e soldati francesi, v’erano stati mandati da Giovanni di Saint-Remy, che governava Palermo, dimorando il vicerè o Vicario di Carlo, Erberto d’Orleans, in Messina. Giovanni di Saint-Remy aveva rigorosamente vietato ai cittadini di portare armi, come era usanza; di che, abusando uno dei sergenti, di nome Droetto, veduta una bella giovane che andava con lo sposo nella Chiesa, corse a frugarla disonestamente, col pretesto di vedere se nascondesse armi. La giovane all’atto inverecondo svenne, e allora un giovane palermitano, infiammato di sdegno, strappato al Francese il pugnale dal fianco, glielo immerse nel petto gridando: Muoiano i Francesi! Fu il segno di una sollevazione improvvisa e tremenda. Con sassi, coi bastoni, con le stesse armi strappate ai Francesi, il popolo furente ne uccise quanti ve ne erano. Sonavano in quel momento le campane a vespro, e quell’ora servì più tardi a designare la grande rivoluzione di popolo; e il Vespro Siciliano passò alla storia come esempio dell’ira popolare contro lo straniero. I sollevati corsero tumultuando in città al grido di morte, e la sollevarono; la stessa notte proclamarono il Comune, eleggendo capi Ruggero Mastrangelo, Nicolò Ebdemonia, Arrigo Baverio e Nicoloso Ortoleva, e innalzando il vecchio vessillo, l’aquila d’oro in campo rosso. Indi cominciò caccia spietata allo straniero odiato, nelle case, nei sotterranei perfino nelle chiese; non perdonando a vecchi e a fanciulli, nè alle stesse donne siciliane spose o amanti di Francesi. Non uno restò vivo! Strage orrenda, che l’eccidio di Agosta e diciassette anni di martirio avevano provocato. Giovanni di Saint-Remy tentò di tener testa con un pugno di animosi, ma ferito in volto, cercò scampo nella fuga. Sperò rifugio sicuro al castello di Vicari, ma vi fu assalito da una squadra di Palermo e da quei di Caccamo, e ucciso.
All’annunzio della sollevazione di Palermo, le terre vicine insorsero; prima Corleone, che mandò ambasciatori a Palermo a stringervi patto federale, poi le altre città; s’unirono i baroni siciliani; si spedirono corrieri in Messina, che, dapprima ostile a Palermo, contro cui aveva inviato sette galere, seguiva poi il generale moto, e respingendo le esortazioni di partigiani di Carlo, scacciato Erberto, aveva fatta strage dei Francesi.
A Palermo, intanto, convenivano i sindaci di Val di Mazara, primo nucleo del nuovo Parlamento e giuravano morte anzi che tornar sotto i Francesi, e si ponevano sotto il patrocinio della Chiesa, sperando averla amica. Sul finir d’aprile non v’era più traccia di dominio francese in Sicilia. Carlo d’Angiò, saputa la rivolta di Palermo, montato in furore, ordinò a Erberto domarla e minacciava di andar lui stesso a distruggere i ribelli: ma la rivolta di Messina colmò la misura. Sollecitò aiuti in Francia; il Papa lo aiutava, inibendo alla cristianità di favorire i ribelli e ammoniva i Palermitani che ritornassero sotto Carlo, se non volevano incorrere nei castighi del cielo e della terra. I Palermitani, risposero con una lettera veemente, rivelando le torture patite e richiamando i Cardinali e il Papa al loro ufficio; e, pur esagerando per amore di bello stile, affermavano, con vivo sentimento, la latinità di loro stirpe di fronte alla barbarie dei Francesi. Il Papa mandò Gherardo, cardinale di Parma, suo legato, con promesse o blandizie; e, forse, consigliava Carlo a moderare le gravezze del fisco. Intanto questi radunava un grosso esercito, oltre che di milizie feudali, di Francesi vassalli e assoldati, di Guelfi di Lombardia e Toscana: vi aggiungeva Saraceni di Lucera e navi di Genovesi e Veneziani, e i mezzi apparecchiati per l’impresa d’Oriente. Non son d’accordo gli storici sul numero dei fanti e dei cavalli, ma doveva esser tale da sgomentar tutt’altri, che un popolo disposto a difendere fino alla morte l’acquistata libertà. Con questo esercito e col legato del Papa armato di scomuniche, Carlo moveva sopra Messina.


Luigi Natoli: Storia di Sicilia dalla preistoria al fascismo. L'opera è la fedele trascrizione del volume originale pubblicato dalla casa editrice Ciuni nel 1935.
Pagine 509 - Prezzo di copertina € 24,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile: 
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere o poste in tutta Italia, consegna gratuita a Palermo)
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In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102)

Luigi Natoli: Piazza Croce dei Vespri. Tratto da: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891.



Piazza Croce dei Vespri, (P. E5) che deve il suo nome a una leggenda. Vi è nel mezzo, una graziosa colonna sormontata da croce, e custodita da un cancello di ferro che si finge di armi antiche intrecciate.
Dalla piazza, per un vicolo tra il Palazzo Valguarnera e il palazzo Ganci, si giunge nella piazza del Teatro di S. Cecilia, fondato nel 1692 dall’Unione dei Musici, e restaurato nel 1850. Ritornando indietro e continuando a procedere, si trova a destra la breve via Aragona che mette nella Piazza della Rivoluzione…
Vuole la tradizione che ivi fossero stati seppelliti alquanti francesi caduti nell’eccidio del 31 marzo 1282. Si volle anche che il fabbricato ove era il convento di S. Anna, e oggi è il Liceo Umberto I, sia stato il palazzo di Giovanni di Saint-Remy, giustiziere di Val di Mazara, ed una lapide vi fu posta. Ma la verità è che in quel sito esisteva un’antica chiesa della Misericordia, e che nell’area ceduta i Bonet alzarono il loro palazzo, che fu poi ceduto ai frati del terz’ordine di S. Francesco. Le vestigia antiche appartengono dunque al palazzo dei Bonet, sorto nel secolo XV, e la leggenda del combattimento è a rilegarsi fra le favole.


Luigi Natoli: Guida di Palermo e suoi dintorni 1891. Nella versione originale pubblicata in occasione della Esposizione Nazionale del 1891 dall'editore Carlo Clausen. Arricchita dalle foto delle pubblicità dell'epoca e dalla cartina della città di Palermo nel 1891 (ripiegata a fine testo). 
Prezzo di copertina € 19,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere o poste in tutta Italia, consegna gratuita a Palermo). 
Disponibile su Amazon Prime e tutti gli store online. 
Disponibile in libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79). 

Luigi Natoli: A Palermo! a Palermo!... Morte ai Francesi!... Tratto da: Il Vespro siciliano (romanzo storico).

S’appressava attraverso il prato, fra un codazzo di curiosi, un piccolo corteo nuziale. Venivan verso la chiesa, inconsapevoli di quell’incontro con Droetto de Genlis. Le grida dei soldati, che s’eran messi a frugare qualche popolano, aveva messo un po’ in sospetto Benvenuta, che si stringeva accanto allo sposo, e messer Ruggero di Mastrangelo che s’era posto all’altro lato della figliola, affrettandola verso la chiesa.
Intanto, più in là sergenti e soldati continuavano a gridare:
- Frughiamo questi paterini! debbono avere armi!...
- Sì, frughiamo! – gridò da canto suo Droetto de Genlis; e avvicinatosi a madonna Benvenuta, con un gesto la fermò, aggiungendo: – Voi nascondete armi!...
Messer Ruggero diventò rosso dalla collera.
- Voi scherzate, messere! forse ignorate chi son io!...
Ma Droetto grugnì, e voltosi alle lance spezzate che lo spalleggiavano, gridò:
- Frugate cotesti poltroni; io mi incarico della donna.
E aggiungendo l’atto alle parole, cacciò le mani oltraggiose dentro le vesti di Benvenuta, che mandò un grido e svenne fra le braccia di messer Guglielmo.
- Ah questo è troppo! – urlò esasperato messer Ruggero, cercando divincolarsi dalle lance spezzate che lo tenevano, per gittarsi addosso a Droetto, che tentava forse un nuovo oltraggio, col volto imbestialito dalla vendetta e dalla lascivia; ma nel tempo stesso si vide il giullare, farsi largo, giungere a Droetto, trarlo indietro per la nuca, gridando:
- Tu non ci torni!...
E con rapidità fulminea, trattogli dal fianco il pugnale, glielo cacciò nella gola due volte, lo levò in alto sanguinoso, gridò:
- Muoiano!... muoiano questi francesi, perdio!...
Un urlo, simile allo scatenarsi di un uragano gli rispose; si videro lampeggiar venti, trenta lame, si udì l’urto formidabile e tremendo della vendetta.
In quel momento le campane dalla torre della chiesa di Santo Spirito sonavano a Vespro.
Sonavano a Vespro le campane, per invitare i fedeli alla preghiera, e chiamare i frati nel coro; e l’ignoto fraticello, salito su la torre indorata dal sole cadente, non sapeva che quello squillo di campana avrebbe segnato nelle pagine della storia una data terribilmente memoranda.
Dalla torre aveva mirato la pianura festante sotto il sole che declinava dietro le vette di Monte Cuccio, aveva veduto il formicolìo della gente, udito il vocìo confuso e disordinato di migliaia di voci senza capire; e aveva sonato, come sempre, l’ora della dolce e raccolta preghiera. Ma giù nel piano, quel che feriva l’aria sul colpo di pugnale che atterrava il sire Droetto, sonò come uno squillo di tromba; come un segno aspettato, come una voce di comando e di esortazione.
Il fraticello continuava a sonare, con gli occhi erranti ora pel cielo, dove vagavano nuvolette, isole d’oro in un mare di porpora.
Ma poi, crescendo il rumore, richinati gli occhi, gli occhi gli si spalancarono di stupore, un fremito gli passò pel sangue; e il suo braccio, quasi mosso da una forza ignota, continuò a sonare, a sonare, a sonare, con nuovo vigore, squilli serrati, violenti di guerra e di strage sopra il tumulto e il balenar dei ferri e il rosseggiare del sangue.
Al veder Droetto annaspar l’aria con le mani e cader rantolando, con la bocca piena di sangue, Ugo de Saint-Victor, Bertrand de Taxeville, Gastone de Brandt snudarono le spade, gridando:
-  Montjoie!... Francesi! a noi!...
I loro compagni li imitarono, gittandosi tutti per trafiggere il giullare; ma questi, buttato in aria il berrettone, e impugnato con la sinistra il liuto dal manico, per farsene uno scudo, aveva nel tempo stesso gridato:
- A me, Damiano!...
- Giordano de Albellis! – gridò il sire de Saint-Victor.
Era infatti Giordano. Al suo grido, prima che le lance spezzate si fossero gittate sopra di lui, un’onda di popolani le investì con bastoni e coltelli, gittandosi improvvisamente addosso ai soldati, atterrandoli, sgozzandoli, al grido:
- Muoiano!... muoiano!...
Quella improvvisa zuffa, quelle grida, il cozzo delle armi, si propagarono in un baleno per la pianura. A un tratto tende e barracche furono rovesciate, tutta quella folla di uomini, come sospinta da un segno d’intesa, da un ordine, si levò in piedi. Molte donne traevansi dal seno i coltelli e li porgevano agli uomini; chi non aveva coltello impugnava un bastone, toglieva le aste delle tende, fracassava i banchi delle barracche, raccattava sassi. Tra le grida qua di spavento, là di coraggio e di incitamento, la folla accorreva. E su tutte le bocche suonava il grido ferocissimo:
- Muoiano! muoiano!... 
A quell’improvviso e inaspettato insorgere di tutto un popolo, i sergenti, le lance spezzate, i soldati di Francia parvero sgomenti; ma fu un lampo. L’onta, la vergogna, l’ira, la superbia rissosa, il vantaggio delle armi, li spronarono a un contrattacco. Esperti nelle armi, poichè erano inferiori di numero, cercarono di raggrupparsi, di formare un forte nucleo, per gittarsi sopra la folla, che la presenza e lo spavento delle donne e dei fanciulli imbarazzava un poco.
Messer Ruggero, uscendo in quel punto dalla chiesa, con uno sguardo capì il gran momento; e raccolte le armi di un cavaliere francese caduto, alzando la spada gridò:
- Popolo! alla riscossa! muoiano tutti i francesi!... 
Era per tutta la pianura una mischia spaventevole e crudele. Diciassette anni di servaggio, di crudeltà subite, di violenze, d’infamia sofferte, diciassette anni di vergogne e di torture pareva avessero adunato tutte le loro collere in ogni braccio; la vendetta imprigionata da diciassette anni in ogni cuore, pareva balestrare nei muscoli, dilagare nel sangue, diventar volontà nelle mani; tramutarsi in lama, in legno, in sasso, in denti, in urlo!...
- Muoiano! muoiano!...
E morivano. Viluppi e aggrovigliamenti mostruosi di corpi che si piegavano, si rizzavano, si contorcevano, di braccia che si cercavano, si afferravano, contendevano, vibravano; balenìo di armi, sulle quali il sole cadente folgorava fiamme; cozzo di acciai; un volar di sassi, un agitar di bastoni, una confusione, un urlìo; ira, dolore, gemiti, bestemmie, trionfi!... Un uomo cadeva trafitto da dieci, venti colpi; un’onda vivente e violenta gli passava oltre, atterrava un altr’uomo; e passava ancora, terribile, inarrestabile, come un fiume in piena; travolgendo, trascinando.
E la campana sonava ancora, incessante, implacabile. Sonava, sonava; il braccio del fraticello pervaso dall’impeto di quella tempesta di sangue, era diventato il braccio del popolo furente; la sua volontà era diventata suono; il suono gridava sopra il tumulto, sopra il cozzar dei ferri, sopra gli urli; gridava: - Muoia! Muoia!...
Damiano con un largo coltello da beccaio in pugno, sangue la lama, sangue le mani, sangue le vesti, feroce, trasfigurato, alla testa di tutti; e accanto e dietro gli «albergarioti» simili a un’onda di tigri, armati di tutte le collere; e fra loro anche donne, che la vista del sangue, l’urlìo, il contagio della battaglia, cancellata ogni timidezza, trasfigurava in lionesse, tramutava in vendicatrici di tutte le donne violate, uccise, dilaniate da diciassette anni. Anch’esse, coi capelli al vento, le vesti lacere, le braccia irrigidite dalla tensione nervosa, gli occhi fiammeggianti accorrevano alla vendetta e alla strage; avventavansi con le unghia sui nemici; affondavano le dita nelle gole dei fuggiaschi...
Intorno la pianura era sparsa di morti; paesani e stranieri; il sole scendeva dietro i monti tra nubi color di sangue. La luce crepuscolare arrossava gli alberi, i muri della chiesa, la pianura; e tutto pareva tingersi di sangue. La campana sonava, sonava ancora!...
Per la pianura correvan frotte di popolani, di qua e di là, inseguendo qualche francese che cercava scampo nella fuga: e lo raggiungevano, e quello cadeva. Non uno giunse a fuggire; quei duecento un’ora innanzi superbi e prepotenti nelle loro belle vesti, nelle loro armature, fidenti nella loro potenza, sicuri della sommissione di un popolo inerme, fiduciosi della tollerante viltà che per diciassette anni aveva piegato il collo, giacevano ora per la pianura, a gruppi, ammonticchiati, sparsi, immersi nel loro sangue, con gli occhi sbarrati o chiusi, il volto spaventato o ancor iracondo. Giacevano pesti, disarmati, fra le tende sbrandellate e sanguinose, le barracche distrutte, le mense scompigliate, i vasi rotti, le otri del vino aperte. Qua e là pezzi di legno caduti sulle braci ancora accese, bruciando levavan lingue di fiamme e nubi di fumo.
Ansanti, frementi, anelanti ancora, quelle torme si adunavano, si raggruppavano, senza un disegno, ma agitate da un pensiero confuso; quando messer Ruggero di Mastrangelo gridò con voce tonante:
- A Palermo! a Palermo!...
E allora da mille duemila bocche si levò formidabile, come scoppio di mille tuoni, tra l’agitarsi di mani convulse, il grido:
- A Palermo! a Palermo!... Morte ai Francesi!...


Luigi Natoli: Il Vespro siciliano. Romanzo storico ambientato nella Palermo del 1282, al tempo della dominazione angioina  e della più famosa rivoluzione siciliana.
Pagine 945 - Prezzo di copertina euro 25,00
L'opera è ricostruita dall'edizione originale (1915), e totalmente restaurata a partire dal titolo. 
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Consegna a mezzo corriere in tutta Italia, consegna gratuita a Palermo). Ordina alla mail ibuonicugini@libero.it o al whatsapp 3894697296.
Disponibile su Amazon Prime, Ibs/La Feltrinelli e tutti gli store online. 
Disponibile in libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi), La Nuova Ipsa (Via dei Leoni 79), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56)

Luigi Natoli: Quel 31 marzo del 1282... Tratto da: Il Vespro siciliano. Romanzo storico

La Pasqua di quell’anno veniva triste e sconsolata: un nuovo bando del giustiziere aveva minacciato più fiere punizioni per coloro che portassero armi e promesso premi a coloro che ne scoprissero celate nelle vesti o nelle case dei cittadini. Ciò era stato fomite di nuove e più violente vessazioni. Si incontravano qua e là grossi drappelli di soldati e di guardie, che entravano nelle case dei cittadini, buttando all’aria masserizie e arredi; bastonando o trascinando in carcere chi osasse alzare la parola; compiendo nefandezze, tra osceni sghignazzamenti.
Tra questi dolori, le solennità della settimana Santa erano trascorse; e il popolo aveva nelle chiese e nei riti cercato un conforto e un oblìo.
Le feste di Pasqua duravano qualche giorno dopo la domenica; in quei giorni il popolo se ne andava nelle prossime campagne, dove fossero santuari; ed ivi sull’erba, per commemorare la pasqua biblica, si mangiavano ova sode, lattughe e agnello arrostito: ma di solito a queste che erano le pietanze di rito, altre se ne aggiungevano, e dolciumi di origine araba, come la cassata e la cubaita e manicaretti, largamente inaffiati dal vino. Nel tripudio, che l’ebbrezza del vino metteva nei cuori, si intrecciavan sui prati balli e canti, al suono dei tamburi e delle guideme o dei liuti: e per due, tre ore, il popolo obbliava e pareva felice.
Il martedì dopo Pasqua i cittadini solevano recarsi nel prato di S. Spirito, così detto per un monastero di cisterciensi, del quale non avanza ora che soltanto la chiesa.
Dalla porta di S. Agata dell’Albergaria il monastero non era più lontano di mezzo miglio; vi si andava per un sentiero che attraversava orti e vigne. Oltre il prato si apriva, e ancor s’apre, un largo burrone, in fondo al quale scorre l’Oreto. Da circa un secolo e mezzo quel prato fu convertito in cimitero, e gli alti e neri cipressi ombreggiano croci e lapidi, là dov’eran erbe verdi e fiorite, e pascolavan le caprette sotto l’occhio vigilante di un pastorello semi-selvaggio.
Approfittavano di quell’occasione gli sposi, che dovevan celebrar le nozze, per unire la loro gioia all’allegria generale, parendo loro un buon augurio, e come un bel saluto, la giocondità del popolo; e uno sfondo vivace e pieno di allegria, quel quadro vario di colori e di forme, risonante di canzoni e di musiche.
Messer Ruggero di Mastrangelo non avendo potuto celebrare con pompa la seconda funzione di matrimonio, aveva voluto che almeno in quella occasione Benvenuta e messer Guglielmo Santafiora si recassero nel pomeriggio del martedì alla chiesa di S. Spirito, per partecipare alla festa comune.
Quel martedì, 31 marzo, la giornata era così bella e serena, e splendeva un sole così tepido e l’aria era così olezzante di mille profumi, che pareva invitasse anche i più poveri, i più tristi, i  più angustiati a lasciar l’ombra e la tetraggine della città, per correre ai campi; per sentire almeno la libertà del sole e dell’aria, bere la giocondità della natura festante di fiori e di trilli.
E dalle tre porte meridionali della città: la porta Mazzara, la porta di S. Agata e la porta delle Terme (diventata poi di Termini) poco dopo il mezzodì uscivano tre fiumane di popolo, a gruppi, a comitive, di ogni ceto e condizione. Le donne vestite a festa, con gonne dai colori vivaci, quali tutte d’una tinta, quali variate; le popolane della Kalsa e del quartiere di Denisin, ancora attaccate al vecchio costume musulmano avevano il capo avvolto in un velo bianco, che lasciava scoperti gli occhi e il naso, e dava ai volti una espressione di misteriosa bellezza, agli occhi un fulgore umido e voluttuoso. Le altre, specialmente della borghesia o della nobiltà, portavano il viso scoperto, e la glimpa su le spalle, più o meno ricca di nappe e fiocchi di seta e d’oro.
Di quando in quando la folla si sbandava di qua e di là, sotto le siepi o i muriccioli dei poderi, per lasciar passare i sergenti del giustiziere, o qualche signore francese. Essi prendevan per sè quasi tutta la larghezza del sentiero, ributtando prepotentemente con ingiurie, spintoni, colpi del fodero della spada o di bastone, i popolani e i signori, per aver libero il passo; gittando qualche parola audace alle donne che apparivano loro più belle e desiderabili.
Gli uomini stringevano i denti, seguivano con sguardo lampeggiante d’odio quei prepotenti e tacevano. La giornata era bella, e volevan godersela.
Il piano di Santo Spirito s’andava empiendo di popolo. Qua e là si piantavan tende per difendersi dai raggi del sole e sotto le tende, nell’erba fresca e molle, si sedevano intere famiglie. Traevano da ceste e da bisacce le provviste; accendevano fuochi in focolari improvvisati con sassi, e vi ponevano a cuocere le vivande. Dalle fiamme si levavano sottili spirali di fumo, che s’allargavano in alto e si disperdevano, portando dovunque l’odor dell’arrosto, e qualche volta un misto di bruciaticcio. Qua e là si improvvisavano barracche dove si vendevano dolciumi; piccole paste in forma d’agnello o d’altro, nelle quali era, come incastonato, un uovo sodo; o biscotti di farina e miele. Altre barracche odoravano di vino. Dalle anfore di terracotta smaltata, dalle bocce di vetro che avevano nome garaffe, il vino usciva nelle tazze, nelle coppe, nei boccali di terracotta, gorgogliando, spumeggiando, sfolgorando riflessi di fiamma, promettendo l’oblìo e l’ebbrezza.
Sorgeva in mezzo, dominatrice, la chiesa con le sue ogive bicrome, intrecciate fra loro, lungo i fianchi e sulle absidi, tra le quali si aprivano le finestrelle archiacute; e lanciava la torre del campanile, quadrata, ornata di qualche colonnina impegnata agli spigoli; sotto la quale si apriva il piccolo portico, sorretto da pilastri.
ntorno si stendeva la corona dei monti, quali percorsi dal sole, quali velati dall’ombra, un’ombra azzurrina e vaporosa; monte Cuccio innalzava il suo vertice velato dai raggi, e più in giù a tramontana, erto sul mare, torreggiava il Pellegrino.
In mezzo alla vasta conca, tra il verde dei giardini si vedevan bene le mura e le torri della città, e la mole grigia e severa del palazzo reale, con le sue alte e formidabili torri; e le chiome dei palmizi, che talvolta sorpassavano l’altezza delle mura...


Luigi Natoli: Il Vespro siciliano. Romanzo storico ambientato nella Palermo del 1282, al tempo della dominazione angioina  e della più famosa rivoluzione siciliana.
Pagine 945 - Prezzo di copertina euro 25,00
L'opera è ricostruita dall'edizione originale (1915), e totalmente restaurata a partire dal titolo. 
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Consegna a mezzo corriere in tutta Italia, consegna gratuita a Palermo). Ordina alla mail ibuonicugini@libero.it o al whatsapp 3894697296.
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