martedì 13 agosto 2024

Luigi Natoli: La processione dei "confaluni" per la festa della Madonna Assunta. Tratto da: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700

Ogni anno per la festa dell’Assunta, le maestranze andavano in corpo alla Cattedrale ad offrire il cero alla Vergine. Era uno spettacolo. S’adunavano nella chiesa dell’Annunziata, a Porta S. Giorgio, e lì si ordinavano secondo il ruolo fatto dal Pretore, che col banditore e quattro connestabili, provvedeva, e in caso di controversia, decideva. L’ordine era questo. Innanzi andavano i tamburi del Senato, che precedevano un chierico, portante un cero adorno di fronde e di fettucce; al quale veniva dietro la Corte Arcivescovile, col Vicario, i ministri, gli ufficiali, ciascuno col suo cero.  Dopo di queste andava un uomo a cavallo, in arme bianche a cui seguivano le maestranze, secondo il grado e l’antichità, coi loro consoli, portando ciascuno un cero acceso. Le quali allora erano quaranta, fra cui quella dei mugnai, dei carrettieri, dei maniscalchi, dei ferrai, dei calderai, dei carpentieri, dei bottai, dei muratori, dei pescatori, dei calafati, dei panettieri, dei tavernai, dei macellai, degli ortolani, dei fruttaioli, dei venditori di brocche, dei lanaiuoli, dei sellai, dei dipintori, dei cimatori di drappi in dogana, dei calzolai, dei conciatori, dei ciabattini, dei pianellai, degli spadai, degli orefici. Seguivano poi i “cilii” dei barbieri, dei medici, dei banchieri, dei quartieri o rioni: Loggia, Kalsa, Civilcari, Albergheria e Cassaro; infine tenevano dietro i cilii dei magistrati, dei notari, della Regia Corte. 
Ma lo spettacolo non era nel semplice cero, che i maestri portavano; questo era l’offerta, ma ogni confraternita faceva mostra del proprio “confaluni”: “È il nostro gonfalone non uno stendardo o bandiera” – dice il Cascini ne “La vita di Santa Rosalia” – “ma è a guisa d’un albero trionfale, non piantato e fermo, ma portatile in onore di qualche santo dei più celebri, con mirabil arte fabbricato sopra un tronco rotondo, non sì grosso, che col pugno non si possa stringere: girano i primi rami ben folti e vagamente intrecciati oltre a dodici palmi, e alzandosi a proporzione in alto con le puntate foglie, che ritte guardano in su, viene a terminarsi la cima a guisa di piramide quasi in un punto: molto densi sono i rami e le foglie per tutto, fuor che nel mezzo dell’albero, dove lasciano tanto voto, che possa capire decentemente una tavola o statua del Santo, due o tre palmi alta... Or questi gonfaloni... vengon portati con destrezza maravigliosa hor in una palma di mano, hor su l’una or sull’altra spalla, donde trapassano in un batter d’occhio e fin su la fronte, sul mento e sui denti...”
Questa processione si chiamava “cili”, cilio era corruzione del vocabolo “cero.” E la macchina oltre al nome di “confaluni” aveva lo stesso nome di “cilio”, forse perché in origine il cero vi era inserito. 
Questi cilii, o confaluni non esistono più: l’ingordigia della speculazione straniera e l’ignoranza distruttiva dei nostri, hanno disfatto vere opere d’arte, delicati ricami, rabeschi, fogliami, efflorescenze, stilizzati, dorati, più o meno alti, dei quali si può avere un’idea da quello che esiste al nostro Museo.

Nella foto: Altare della Madonna Assunta alla Cattedrale di Palermo 


Luigi Natoli: Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700 – Opera inedita, costruita e fedelmente copiata dal manoscritto dell’autore privo di data. È lo studio critico e documentato di due secoli di storia della città di Palermo mirabilmente analizzata da Luigi Natoli con una visione del tutto contemporanea senza trascurar nulla, compresi i particolari, anche i più frivoli. Argomenti trattati:

La città – Il governo – L’amministrazione – Il popolo – Il Sant’Offizio – Il clero e le confraternite – La giurisdizione e l’arbitrio – Le maestranze – Le rivolte – Le armi e gli armati – Le scuole e i maestri – La stampa – Gli usi e costumi delle famiglie – La vita fastosa – La pietà cittadina – Teatri e feste – I divertimenti cavallereschi e le giostre spettacolose – Banditi, stradari e duelli.
Pagine 283 – Prezzo di copertina € 20,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (Sconto 15% - Consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su Amazon Prime, Ibs, Feltrinelli e tutti gli store online
In libreria presso: La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Nuova Ipsa (Piazza Leoni), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macajone (Via M.se di Villabianca 102)

Luigi Natoli: La via era affollata di gente, perchè era la vigilia dell'Assunta, festa solenne dei Cappuccini. Tratto da: L'abate Meli.

Giovanni Meli si alzò senza dire una parola, prese il cappello e il bastone e mormorando un “sia fatta la volontà di Dio” disse al giovane:
- Andiamo!
Presero una portantina e si avviarono: Meli dentro e il giovane a piedi, fuori; l’ombra dei platani che fiancheggiavano la strada che da Porta Nuova menava ai Cappuccini li difendeva dai raggi solari. Quegli alberi, piantati da M. A. Colonna di Paliano, percorrevano la via sino al convento. Ora non restano che pochi avanzi presso Porta Nuova; non c’erano allora tutte le cose che ingombrano i due marciapiedi ed erano lieti delle ombre che rinfrescavano i cittadini. 
Di qua e di là lungo il corso, si aprivano cinque emicicli, con in mezzo fontane di pietra grigia. Di contro all’imboccatura della strada che conduceva ai Cappuccini (ora si chiama Via Pindemonte) c’era un’altra fontana più monumentale, mista di marmi bianchi e pietra grigia, che s’alzava maestosa, e dava acqua ai vicini. Ora fu distrutta, per dar luogo alla Via Cuba e non si sa che se ne sia fatto, così delle altre fontane nessuna più ne esiste, per ingordigia degli abitanti o per altre ragioni, salvo una a fianco dell’Educandato Maria Adelaide, chiusa da un cancello.
Era il pomeriggio. La via era affollata di gente, perché era la vigilia dell’Assunta, festa solenne dei Cappuccini. Gente che andava e gente che veniva: un viavai continuo: portantine di tutti i colori e carrozze padronali, carretti, pedoni; questi in maggior numero, uomini in giamberga e in giacca, donne col manto chiuso nel naso, lasciando liberi gli occhi neri e fulgidi; ragazzi che empivano la strada dei loro cicalecci; venditori di acqua, che la portavano sul fianco, coi bicchieri infilati in un ordegno di ferro; o di semi di zucca, o di ceci abbrustoliti: tutta gente che vociava, nel lungo tratto di strada.
Allo svolto della strada che conduceva ai Cappuccini, la folla era più fitta. Delle baracche cucinavano, delle altre facevano focaccie, qui una tenda vendeva dolciumi, lì una tavoletta esponeva Madonne di argilla, coricate con le mani stese ed aperte, vestite di bianco col manto azzurro; grandi e piccole; più in qua l’“incatena corone”, torcendo i fili di ottone intorno ai grani del rosario; e fra tutti, le piccole bare, con madonne di cera, illuminate, portate da quattro ragazzi che gridavano con le vocine squillanti: “viva Maria”. Ma su tutto ondeggiava un odore di fritto, tra il fumo delle padelle, nelle cucine improvvisate.
Fra questa folla varia e multiforme andava il Meli discorrendo col giovane che gli camminava a fianco.
- Al Convento non vi ho visto mai. Come vi chiamate?
- Mi chiamo Gerlando, ai suoi comandi. Gerlando Disa... Sono venuto da poco; il frate ortolano è mio parente...
- E siete intimo di fra Francesco?
- Sono il suo buon servitore, perché mi ha beneficato, quando ero, per così dire, nell’altro mondo!
- Come sarebbe a dire?
- Dunque voscenza non m’ha guardato?
- Che cosa volete che vi guardi?
- E mi guardi ora...
E il giovane si scoprì, voltandosi verso di lui e mostrando la testa. Aveva una cicatrice, piuttosto lunga, che gli correva dalla fronte e gli partiva i capelli, come una scrimatura.
- Questa – disse – me la fece un colpo di spada, una sera; e debbo a Fra Francesco se tornai dalla morte alla vita. Fu un signore. Credeva che volessi dare una lettera ad una delle sue donne e mi conciò a questo modo. Per poco non sono morto.
- Ma dimmi un po’, – disse sorridendo Meli, – tu non destasti sospetto? Non ti si era veduto con qualche signora?
- Oh! ma che va dicendo voscenza! Io non faccio il mezzano. Chi sa poi per chi m’ha preso quel signore.
Chiacchierando così, e scansando il continuo andirivieni, erano giunti al convento. La folla era più fitta e bisognava fermarsi. Dalla croce di legno, alta sopra uno zoccolo, fino a quella specie di portico pieno zeppo di... miracoli o “ex voto”, dipinti da pittori da strapazzo, la gente si ammassava. La chiesa era piccola e non c’entrava tutta; gran parte sostava. Un frate raccoglieva l’elemosina.
Eppure in quel viavai di gente allegra, in mezzo a quel cicaleccio, a quelle grida continue, nel convento un uomo moriva. E aspettava con l'ansia di chi teme di non fare in tempo.
Il Meli attraversò il portico dinanzi la chiesetta, piegò la testa, vedendo nella navata l’immagine della Madonna, coricata fra le candele accese; e salì le scale del convento.
Era quasi deserto. La festa chiamava i frati nella chiesa e nella cucina: solo qualche vecchio con la barba bianca e lunga errava nei corridoi.



Luigi Natoli: L'Abate Meli. Il volume comprende:
Il romanzo storico siciliano, pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal 19 settembre 1929; 
lo studio critico Giovanni Meli, pubblicato dalla tipografia del giornale "Il tempo" diretta da Pietro Montaina del 1883;
la raccolta di poesie di Giovanni Meli tratte da Musa Siciliana pubblicato dalla casa editrice Caddeo nel 1922; tutte le poesie sono corredate di traduzione in italiano a fronte a cura del prof. Francesco Zaffuto.
Pagine 727 - Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macajone (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60). 

lunedì 5 agosto 2024

Luigi Natoli: Il 05 agosto 1911 la prima puntata de "Gli ultimi saraceni" in appendice al Giornale di Sicilia. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di Guglielmo I

Il 05 agosto del 1911 usciva la prima puntata del romanzo storico Gli ultimi saraceni, romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di Guglielmo I, al tempo di messer Matteo Bonello e di Majone da Bari. 
Gli ultimi saraceni fu pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia in ben 133 puntate, e non ebbe mai i natali come libro, pertanto, tolti i pochi fortunati che riuscirono a leggerlo più di cent'anni fa, nessun altro ha potuto deliziarsi della brillante inventiva di Luigi Natoli in questo romanzo. 
Ad opera de I Buoni Cugini editori è stato trascritto dalle puntate del Giornale di Sicilia e raccolto per la prima volta in un volume di ben 724 pagine. Il volume include da una ancor più rara ode a Willelmo I composta dall'autore nell'aprile del 1881. 

Lo scrittore ricostruisce fedelmente la figura del re Guglielmo I, con tutto il suo potere e le sue debolezze, facendo anche un lavoro storiografico sugli usi e costumi della corte, le sue alleanze, i suoi avversari politici, e i suoi innumerevoli intrighi nel precario equilibrio di una Palermo multietnica, dove arabi, normanni, ebrei e popolani del luogo sono costretti a coabitare in un groviglio d'interessi politici-economici, immersi in un coacervo di odio razziale e religioso che dalle cospirazioni sfocerà in più rivolte per la conquista del potere. In questo scenario Orsello di Godrano inseguirà la gloria, l'amore, la fama sfidando più volte Guglielmo I, stringendo alleanze basate sui solidi sentimenti dell'amicizia e della lealtà. 

Un romanzo straordinariamente moderno con una ricostruzione storica perfetta, che serba un finale ricco di colpi di scena inseparabili dalla realtà di un secolo fra i più gloriosi del regno di Sicilia.



Luigi Natoli: Gli ultimi saraceni. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di Guglielmo I, al tempo di messer Matteo Bonello e di Majone da Bari. 

Il volume è la fedele trascrizione del romanzo pubblicato a puntate in appendice al Giornale di Sicilia dal  agosto 1911

Copertina di Niccolò Pizzorno.

Disponibile:

Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15%, consegna a mezzo corriere in tutta Italia)

Disponibile su Amazon prime, Ibs, Feltrinelli e tutti gli store di vendita online.

In libreria presso: 

La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60). 

venerdì 2 agosto 2024

Luigi Natoli: L'ombra dei vostri padri, uccisi dall'ingordigia altrui, parla per la mia bocca... Giurate! Tratto da: Il paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano

Essi stavano così, in un silenzio popolato di pensieri tumultuosi, quando il pastore si affacciò alla bocca della grotta, e disse: 
- Padre, c’è quel giovane cavaliere…
Il Romito alzò il capo. Simone apparve nella luce viva dell’apertura. Egli sembrò contento di trovarvi ancora Giovannello.
Dopo aver baciato la mano di Filippo, disse: 
- Temevo di non giungere in tempo…
Il Romito era pallido e affannato, e la sua fronte madida di sudore: disse ai giovani, senza dolore, senza rimpianto, con austera semplicità: 
- Io muoio… Sia fatta la volontà di Dio!... Ma prima che io muoia, figli miei, giuratemi qui, di non lasciarvi mai, e di riconquistare l’onore e la gloria della casa. L’ombra dei vostri padri, uccisi dall’ingordigia altrui, parla per la mia bocca… Giurate!
Giovannello e Simone, in piedi, colti da un brivido superstizioso, come se realmente le ombre sanguinose dei loro padri fossero balzate dinanzi ai loro occhi, stesero la destra, e a una voce dissero solennemente: 
- Lo giuriamo!...
Il volto di Filippo si illuminò di gioia; ma di nuovo il pallore vi si diffuse; e lo sforzo durato esaurì le ultime sue energie, sì che cadde supino. I due giovani si chinarono per sollevarlo. 
- Portatemi fuori, fatemi vedere il cielo, – disse con un filo di voce.
Con delicatezza, lo presero fra le braccia, lo alzarono da terra e lo portarono fuori dalla grotta, intanto che il pastore raccoglieva le pelli, che distese per terra e sopra un sasso a guisa di spalliera, al quale fu appoggiato dolcemente il Romito. 
Tramontava. 
Gli ultimi raggi del sole fiammeggiavano una luce vermiglia, dentro la quale pareva che le rocce, gli alberi, le erbe si incendiassero. La grotta sembrava di bronzo incandescente. Sotto quella luce, il pallore mortale di Filippo scompariva; e il suo volto pareva sfavillare di una divina aureola. 
I due giovani guardavano in silenzio, presi da un senso di terrore religioso. Il silenzio si stendeva per tutta la montagna, per la valle ampia, che s’andava sprofondando in un’ombra cinerea. Non una voce umana: ma la misteriosa e potente voce della natura, che celebrava in una solennità taciturna il grande mistero. 
La gran luce del mondo scendeva dietro ai monti e le tenebre si stendevano e avvolgevano tutte le cose; e la luce di un’anima si spegneva anch’essa, e le tenebre eterne calavano su quegli occhi e avvolgevano quelle membra. Una notte nel cielo e sulla terra, una notte in una creatura umana. 
Filippo mirava, forse senza vederlo, il rosso disco del sole scendere dietro i monti lontani; e i suoi occhi sembravano animati dal riflesso della luce; quando l’ultimo punto luminoso scomparve, e l’aria divenne grigia, e il monte, gli alberi, tutte le cose presero un color plumbeo, tetro e incerto, quelli si spensero. Allora il volto di Filippo apparve orribile, livido, solcato da ombre profonde. 
Egli mormorò qualche parola. 
I due giovani si chinarono per udirlo meglio. Parve loro di cogliere nel soffio di quello spirito una parola: 
- Ricordatevi!...
Poi più nulla. 
L’ombra era discesa. 
Giovannello e Simone sollevarono pianamente il corpo di Filippo, lo distesero per terra; gli incrociarono le braccia sul petto e vi posero un piccolo Crocefisso che era nella grotta; indi accesero una torcia di resina: e inginocchiatisi, recitarono le preci dei defunti. 
Vegliarono tutta la notte col pastore. All’alba scavarono una fossa dentro la grotta e vi seppellirono il cadavere, umido e fresco della rugiada discesa nella notte. Sopra la terra smossa, il pastore pose alcuni sassi, come un monumento; poi si segnò e uscì dalla grotta e se ne andò senza dire una parola, a raggiungere i suoi compagni e il gregge. 
Giovannello e Simone scesero dalla montagna: a Belpasso ritrovarono i cavalli. Tornarono in Catania col cuore stretto dal dolore, e il cervello tempestato da pensieri. 


Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato a dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1921.
Copertina di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita centro commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60).

Luigi Natoli: Andrea Chiaramonte mi chiamò e mi disse "Filippo, fratel mio, bisogna mettere al sicuro il tesoro..." Tratto da: Il Paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano

Giovannello restò in atto di stupore e di ammirazione dinanzi a lui, commosso e pieno di domande e di curiosità. Timidamente disse: 
- Siete dunque voi quel cavaliere?
- Sì… Sono Filippo Chiaramonte… Da questo eremo, per mezzo di questi buoni pastori, io potei sapere quel che avveniva, e rintracciare qualcuno della nostra casa… Così ho saputo che tu vivevi. Da quando seppi ciò, e seppi che tu eri povero, solo, prigioniero, io ho pregato Dio di farmi viver fino a che avrei potuto vederti e parlarti… Dio mi ha fatto questa grazia… che Egli sia benedetto!…
V’era in tutto ciò qualcosa di oscuro e di misterioso, che Giovannello non giungeva a penetrare. Era certo che Vitale, il povero Vitale, doveva conoscere il segreto della Grotta del Gigante, e che lo conosceva anche Simone: come lo conoscevano? chi lo aveva rivelato a loro? e perché l’uno e l’altro gli avevano raccomandato di andare in quella grotta? che sapevano essi?
I suoi occhi rivelavano queste interrogazioni che gli si affollavano nell’animo; pure egli non osava domandare. 
Il romito, forse, intese l’espressione di quegli occhi. Riprese: 
- Il giorno in cui il duca Martino di Montblanc invitò Andrea Chiaramonte a presentarsi al re, fingendo di avergli perdonato, Andrea ebbe un sospetto. Mi chiamò prima di rendersi al convegno, e mi disse: “Filippo, fratel mio, bisogna per ogni buon fine, mettere al sicuro il tesoro: servirà o a continuare la guerra, o a riscattare le terre o a vendicarmi. Nel convento di Baida c’è un forziere, che ho affidato alla custodia di quei frati. Finora essi mi son devoti: ma domani? Va, prendi quel forziere e sotterralo dove tu crederai meglio: eccoti una lettera pel padre guardiano”. Andai subito a Baida; se tu non lo sai, Baida è un colle non molto lontano da Palermo, e poco discosto da Monreale, e domina la vallata; il convento che vi sorge è opera della nostra casa… Andai, presi il forziere, che pesava abbastanza, lo ravvolsi di foglie, e così ravvolto lo nascosi in un sacco, e lo caricai sopra un mulo… Per sentieri fuori mano, con un lungo giro, costeggiando quasi il Parco reale, calai sulla valle dell’Oreto, in un punto che si dice la Guadagna, poco più che mezzo miglio lontano da Palermo… Ivi è una villa della nostra casa, con una torre quadrata ampia e degna, come tutte le fabbriche dei Chiaramonte… Allora non ci era stata confiscata, e quei villani ci erano devoti… Nondimeno non mi fidai; per non destar sospetti, tolsi io stesso il sacco col forziere e lo deposi in un angolo, come se non contenesse nulla… Ma la notte, quando tutti dormivano, presi una zappa e una vanga, uscii dalla torre, e mi avviai per la contrada di Falsomiele, che si stende oltre la valle, fino a monte Grifone. La costa di quella contrada è sparsa di ruderi e stanze di antichi edifici, credo dei Saraceni… Non v’era luogo migliore. Scavai, scavai, feci un fosso profondo; ivi deposi il forziere; lo copersi di terra; sulla terra buttai sassi e sterpi, per celare che era stata smossa, e tornai alla torre, senza che alcuno se ne avvedesse… Il forziere è ancor lì; nessuno ha potuto scoprirlo. Va, dunque, figliuolo, e restituisci alla casa dei Chiaramonte il suo splendore…
- Come farò a riconoscere dove è sepolto il forziere? – domandò. 
Filippo fece un cenno che significava: “ti dirò”, e segnato un punto in terra, disse: 
- Immagina che questo punto sia la torre: tu volgi a levante, misura cento passi, troverai una specie di stanza con un sedile… Continuerai a camminare, conterai tre di stanze come questa. La terza, oltre alla stanza col sedile, ne ha un’altra dietro, più bassa, invasa da pruni ed erbacce: è lì, sotto il muro di tramontana; non puoi sbagliare. 
Tacque ed abbassò il capo pensoso, stanco di quel lungo racconto. Anche Giovannello taceva: mille pensieri diversi gli si affollavano nel capo, e gli tempestavano le arterie. La fantasia giovanile, sbrigliandosi, gli gonfiava il cuore di superbi e feroci propositi. 


Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato a dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1921.
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Luigi Natoli: Tu saresti il primo barone del regno, se Andrea Chiaramonte avesse accettato le offerte del duca di Montblanc... Tratto da: Il Paggio della regina Bianca.

 
Vi fu un istante di silenzio. Un non so che di religioso pesava nella grotta e sull’anima di Giovannello. Il romito parve raccogliersi; sulla sua fronte si vedeva l’ombra dei pensieri, come sul cielo le nubi. Egli cominciò con voce bassa, che pareva uscisse dall’invisibile: 
- Tu eri ancora un fanciullo quando avvenne la catastrofe della tua casa… Forse non sarebbe avvenuta, e tu saresti il primo barone del regno, se Andrea avesse accettato le offerte del duca di Montblanc… Tu ignori che il padre del re desiderava destinarti marito della figlia di don Ferrante Lopes de Luna, una cugina del re… Andrea rifiutò per non imparentarsi con lo straniero… Dio gli perdoni!... Egli credette nella concordia dei baroni convenuti a Castronovo; credette che in tutti fosse vivo e potente il sentimento dell’indipendenza del regno… e i baroni lo tradirono… Forse tu sai quel che ne seguì: la guerra, le persecuzioni, il tradimento. Andrea si sottomise, ebbe fede nella lealtà del vecchio Martino, e il vecchio Martino finse di perdonargli e di accoglierlo, e lo gittò nelle mani del boia. C’era chi lo istigava… c’era chi voleva la rovina del conte…
- Chi, padre? – domandò fieramente Giovannello, che ascoltava con religioso raccoglimento.
- Messer Bernardo Cabrera…
- Ah!
- Dopo la morte di Andrea, venne la volta dei parenti. Uno di essi cercò uno scampo nella fuga, inseguito come un lupo di borgo in borgo, per valli, per monti… Egli aveva dinanzi agli occhi la visione della scure lampeggiante in aria… del capo reciso e sanguinante preso pei capelli… e dietro, alle calcagna, una muta di cani anelanti di strage, sitibondi di sangue… Era così giunto a Messina. Sperava di trovavi una feluca, una galea, una barca, per recarsi a Napoli e invocare la protezione di Costanza… Ma ecco la feroce muta sopraggiungere, gridando: “Eccolo! eccolo!... Morte al Chiaramonte!... Morte al traditore!”. Quell’uomo ebbe il tempo di balzare in sella, e fuggire, senza saper dove, trasportato dalla furia del cavallo, che pareva impazzito anch’esso… Un istante che avesse indugiato, egli sarebbe stato preso, e, forse, fatto a pezzi… perché alle grida dei suoi inseguitori s’era adunata a un tratto anche una folla minacciosa. Ah! quella fu una fuga incredibile, terrificante… Il cavallo non sentiva più il freno, e la mano non aveva più coscienza per governarlo… Volavano su per un sentiero selcioso, che sfavillava sotto le zampe… Il sentiero saliva; portava in una montagna? chi lo sapeva? né cavallo né cavaliere vedevano… Il cavaliere si accorse improvvisamente che dinanzi a lui la roccia finiva e si spalancava il vuoto mostruoso, immenso… Ebbe la coscienza del pericolo, tentò arrestare la furia del cavallo, ma invano. La bestia infellonita e cieca spiccò un salto… Un grido!... cavallo e cavaliere sparvero: un gran tonfo, le acque del mare si apersero, spumeggiarono, si richiusero sopra di loro…
- Oh Dio! – esclamò Giovannello, pallido e commosso.
- I soldati che l’inseguivano si affacciarono con orrore sull’orlo della rupe, che cadeva a picco sul mare, e stettero lì vedendo le acque ancora frementi e rosseggianti, sulle quali poco dopo videro galleggiare il cavallo con le gambe spezzate…
- E il cavaliere?
- Lo credettero morto…
- E non lo era?...
- No: il cavallo lo salvò… Come avvenne? fu un miracolo… Egli non potè mai darsi conto di questo miracolo… Sprofondato nel mare, ed emerso, si trovò liberato dalle staffe e cominciò a nuotare disperatamente, lottando contro il peso dell’armatura e la violenza delle onde… Potè raggiungere uno scoglio e aggrapparvisi, e trovarvi un rifugio… Passò la notte su quel sasso, invaso a vicenda dalle ondate; e invano tendea lo sguardo lontano per iscoprirvi una nave!... Sui flutti, dondolata dalla risacca, la carogna del cavallo, nera, gonfia, mostruosa, ora gli si avvicinava, ora si allontanava, spettacolo orribile di quel che sarebbe stato di lui… Oh come fu lunga la notte!... All’alba passò una barca di pescatori e lo raccolse…
Giovannello respirò: quel racconto l’aveva oppresso, il saper salvo quel suo parente gli levò un gran peso dal cuore. 


Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato a dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1921.
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Luigi Natoli: Figlio di Andrea Chiaramonte, t'ho aspettato lunghi anni... Tratto da: Il Paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano

Il pastore entrò pel primo, dirigendosi da persona pratica verso un angolo, dove, nell’ombra, gli occhi ancor abbagliati dalla violenta luce del sole, difficilmente avrebbero scorto un viluppo di cenci e di fronde. 
- Padre, - disse, – eccolo.
Allora in quel viluppo sfolgorarono due occhi. Lampo improvviso che si spense quasi subito. 
Giovannello era rimasto immobile, sulla soglia della grotta, guardando in quell’angolo con una curiosità che non era senza commozione. 
I suoi occhi, dopo un istante, si abituarono all’ombra, e scorsero più precisamente una sembianza d’uomo, seduto per terra, con le spalle appoggiate alla roccia, il cui corpo spariva sotto una pelle di montone. 
Egli non sapeva giudicare se quell’uomo, che chiamavano il Romito, fosse vecchio. 
Il suo volto era emaciato e nero, i suoi capelli e la barba bianche; ma non aveva rughe, salvo una diritta, profonda, fra le due sopraciglia, come solcata da un pensiero costante e tormentoso. Le sue membra consunte non avevano le tracce della senilità. 
Nella grotta si diffuse un silenzio alto e solenne, come se qualche mistero vi si dovesse compiere. Il pastore s’era ritirato verso l’ingresso; Giovannello rimaneva in piedi, in un atteggiamento di riverenza; il romito teneva il capo chino sul petto, che gli si gonfiava ritmicamente al respiro difficile. 
Giovannello aspettava, non osando rompere pel primo il silenzio. Volse lo sguardo in giro, per vedere la grotta. 
Era un antro non molto profondo, dovuto in tempi immemorabili a un giuoco della lava che scendendo lungo le coste di una roccia, da due lati, vi aveva formato come due pilastroni, che a poco a poco, per altre lave, si erano esteriormente allargati, lasciando fra loro un gran vano. Nuove eruzioni vi si erano sovrapposte, ed avevan formato una solida e alta roccia sui due pilastroni. Era così rimasta aperta e difesa quella spelonca, sotto la lava grigia, ferrigna, sulla quale le acque piovane qua e là avevano disteso muffe giallastre e striature rossicce.
In un angolo v’erano due sassi, posti in modo da formare un focolare: la cenere bianchiccia che v’era accumulata, il fumo che anneriva le due facce interne dei sassi e la roccia indicavano che l’uso ne era frequente. 
Accanto ai sassi era una caldaia annerita dal fumo; dagli orli si riconosceva ch’era di rame. Da un chiodo infisso tra le fessure della roccia pendeva un mazzo di fascelle vuote. 
Si sentiva un odore indistinto di arsiccio e di latte inacidito. 
Dalla bocca della grotta veduta fra le nere pareti la vallata verdeggiante abbagliava. 
Il pastore s’era messo a sedere fuori, sopra un sasso, con quell’apatia che la vita fra le rocce aspre e solitarie aveva impresso al suo volto e al suo cuore. 
Il romito finalmente levò il capo, guardò il giovane, e con una voce lieve, ma con un tono che lo fece rimescolare, gli disse: 
- Siedi accanto a me…
Il giovane non gli vide muover le labbra; la voce pareva uscisse dalle profondità della terra: era la voce di un altro mondo. Egli ubbidì con una specie di religiosa commozione.
Così, forse, nei tempi preistorici, gli uomini si chinavano sulle tombe per ascoltare le voci dei trapassati, ai quali chiedevano consigli, auguri, benedizioni. 
Dopo un minuto di silenzio, il romito disse lentamente e quasi scandendo le parole: 
- Figlio di Andrea Chiaramonte, t’ho aspettato lunghi anni… eccoti qui, dunque. Dio sia benedetto!... Siedi e ascolta. 
Attonito, Giovannello  ubbidì, e guardato ancora di più fissamente il vecchio, cedendo alla curiosità, gli domandò: 
- Chi siete? padre, chi siete?
- Lo saprai…


Luigi Natoli: Il Paggio della regina Bianca. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1401. L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato a dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1921.
Copertina di Niccolò Pizzorno
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