Eran passati otto anni
da quando aveva lasciato Palermo. Otto anni! Ora vi ritornava solo, come n’era
partito, e con in fondo al cuore la mestizia del passato, non spenta dagli
anni, ma divenuta come una patina distesa sul suo spirito. E riandando indietro
di immagini in immagini come i ricordi gliele suscitavano, rivedeva i suoi
amici. Erano vivi? Dov’erano? Che facevano? Erano felici? Mastro Bertuchello,
Manetto, messer Puccio e Lucia e Giuditta, e nonna Berta... Rivedeva tutti con
quel desiderio pieno di malinconia e di rimpianti, che le persone e le cose, a
cui si è affezionati e da cui si è separati, suscitano nell’anima.
Egli era arrivato quel
pomeriggio di luglio, era andato alla taverna del “Moro della Testaspaccata”,
aveva affidato a Simone il cavallo e le bisacce, dopo essersi riposato un poco,
prese alcune informazioni, era andato alla strada dei Balestrieri, senza veder
nessuno degli amici e dei conoscenti d’una volta. Attraversando le strade della
città aveva veduto qua e là le vestigia della strage fatta dalla pestilenza
recente. La vita risorgente, sebbene avesse ripreso il suo ritmo, e con maggior
celerità non aveva cancellato le orme della morte. V’erano ancora, e quante!
Case, le porte delle quali segnate con una croce indicavano che ivi era morta
di peste qualche persona, forse più di una, forse tutta una famiglia, spazzata
via come le festuche da un colpo di vento. E sui muri, accanto alle porte
tracce di fumo; forse dei bruciamenti delle masserizie. A ogni passo donne con
le bianche bende vedovili, uomini col cappuccio nero, figlioli abbrunati; e
volti emaciati da convalescenze lunghe e difficili, che contrastavano con
quelli sorridenti dalla soddisfazione egoistica di non essere stati colpiti dal
morbo.
La città per altro non
appariva mutata per nulla. Soltanto era più pulita, perché il magistrato del
comune, sotto il pungiglione della paura, aveva curato che non s’accumulassero
immondizie e carogne sui canti delle strade; e aveva promulgato bandi
severissimi contro i disubbidienti, temendo coi calori estivi un ritorno della
pestilenza.
Attraversando il
vicolo dei Mori e il tratto della rua Marmorea, non aveva incontrato nessun
conoscente; aveva riveduto botteghe a lui note, ma dietro i banchi di molte
aveva veduto altre facce nuove. Nessuno aveva posto mente a lui: segno che
nessuno l’aveva riconosciuto. Dopo otto anni era come se fosse arrivato in una
città straniera: come quando arrivò a Tebe di Negroponte, che era la capitale
dei ducati d’Atene e Neopatria.
Ve lo aveva mandato il
duca Giovanni, che, dopo la cacciata dei Palizzi, sapute le sventure che lo
avevano colpito aveva preso Pirruccio ai suoi servizi, come valoroso e capace
uomo d’armi, e come persona da fidarsene. E vi aveva trascorso otto anni,
guerreggiando ora contro i Greci, ora contro i pirati turchi, che tentavano
scorrerie negli stati del duca, ora contro bande di Bulgari, che spingevano a
gualdane da predoni. Ma spesso, invece che coi nemici doveva contrastare coi
“vigeri” ossia coi governatori delle varie terre dei ducati: Catalani i più,
avari e disonesti; qualcuno dei quali egli dovette spesso persuadere più colla
spada alla mano, che con buone ragioni, a fare il dover suo e lasciarlo fare
agli altri.
In quegli otto anni di
vita aspra e dura, il suo volto si era fatto più maschio, più vigoroso; come
intagliato da un rude scalpello in un pezzo di granito. Una ruga profonda si
apriva diritta fra le sopracciglia, come se un pensiero inesistente le
contraesse; e gli occhi si erano alquanto incupiti, o lampeggiavano una luce
fredda come i riflessi di una lama. Ma spesso la nostalgia della patria lontana
addolciva quello sguardo e spianava la ruga; e la mestizia desiderosa gli
inteneriva il cuore. Quelle colline calcaree, quegli uliveti, quelle sponde di
fiumicelli fioriti di oleandri e ginestre, sotto il cielo turchino, i templi
antichi che il sole rivestiva di luce, i silenzi pieni di memorie, tutto gli
ricordava la sua Sicilia. Quanto c’era da passare per giungervi!...
Luigi Natoli: Il tesoro dei Ventimiglia è il secondo volume del romanzo Latini e Catalani (Mastro Bertuchello e Il
Tesoro dei Ventimiglia), grande romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo
del 1300, al tempo del regno d’Aragona, del conte di Geraci Francesco
Ventimiglia e dei fratelli Damiano e Matteo Palizzi, sullo sfondo della guerra
fratricida fra Latini e Catalani. I due volumi sono la trascrizione delle opere
originali pubblicate con la casa editrice La Gutemberg rispettivamente negli
anni 1925 e 1926.
Mastro Bertuchello –
Pagine 575 – Prezzo di copertina € 22,00
Il Tesoro dei Ventimiglia
– Pagine 525 – Prezzo di copertina € 22,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
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