giovedì 6 dicembre 2018

Luigi Natoli: La dominazione romana in Sicilia. Tratto da: Gli schiavi


Nel lungo duello con Cartagine, durato circa un secolo, Roma, insignoritasi dell’isola, se n’era fatta una base per tenere a freno i popoli dell’Africa. La folla dei Romani e degli Italici vi si era accampata come un popolo dentro un popolo, del quale sentiva la superiorità nel vivere civile. Altrove Roma, dove assoggettava popoli barbari o di civiltà inferiore, colonizzava, trasformava, latinizzava; ma in Sicilia, dove trovava Siracusa, Acroganto, Catana, Centuripe, Tauromenio e altre città ricche, splendide, altamente progredite; dove, fiera e rozza com’era, aveva tutto da imparare, attese ad abbassare il livello dei cittadini. E li spogliò. I Siciliani ricchi si dettero ad imitare i nuovi padroni. Considerata come ager publicus, proprietà dello Stato, i conquistatori si diedero ad accrescere le loro terre con la frode e con i ladroneggi, in una gara di rapacità e di invidie. Ma la coltivazione richiedeva un gran numero di braccia; quelle dei Siciliani richiedeva molta spesa; quelle degli schiavi costava assai meno. E Roma inviò in Sicilia grandissimo numero di prigionieri di guerra, altre migliaia ne fornivano i pirati, che facevano continue scorrerie nelle coste dell’Asia e dell’Africa, e anche in quelle della Sardegna e della Sicilia, rapivano i giovanetti e le fanciulle e andavano a venderli a Delo, grande mercato umano. In Sicilia se ne faceva anche allevamento, facendo accoppiare gli schiavi, poiché era legge che i figli procreati dagli schiavi fossero proprietà del padrone. 
Così la Sicilia era popolata da pochi ricchi, Romani i più, e da molti poveri, che erano Siciliani, e da schiavi non siciliani quando venne al mondo Caio Cecilio. Cresciuto nella ricchezza, l’aveva aumentata. Non era stato indegno del suo avolo, di cui aveva in più la superbia e la crudeltà. In una delle sue infrequenti gite a Roma, aveva contratto matrimonio con una giovane sabina, Tazia Flammea, e ne aveva avuti un maschio, Manlio Cecilio, che ora toccava i vent’anni; e una femmina, Cecilia, che ne aveva sedici. 
Oltre la villa dell’Atichio, dove trascorreva si può dire tutto l’anno, possedeva una bella casa a Lilibeo, ma vi passava, e non sempre, due mesi: dicembre e gennaio. Vi giungeva trasportato in lettiga dai servi cappadociani, e seguìto da una scorta armata per la poca sicurezza delle strade, infestate da ladroni, quasi sempre impuniti. Erano infatti schiavi addetti alla pastorizia, e lasciati dai padroni ignudi, i quali ricorrevano a quel mezzo per vestirsi. Ad uno d’essi, che una volta s’era lamentato di non avere un cencio di che coprirsi, Caio Cecilio aveva risposto cinicamente:
- O che forse non passano viandanti per le strade?
I pastori approfittarono del consiglio; ma Caio Cecilio, per poter percorrere quella distanza di venticinque stadi (7), che intercedeva tra la villa e la città, prendeva le sue precauzioni. 
La villa di Caio Cecilio Pulcro, come la sua casa, era piena di ricchezze. 


Luigi Natoli: Gli schiavi. Romanzo storico siciliano, ambientato al tempo della dominazione romana e delle guerre servili.
Nella versione originale pubblicata dalla casa editrice Sonzogno nel 1935
Pagine 387 - Prezzo di copertina € 22,00
Disponibile presso Librerie Feltrinelli e in tutti i siti di vendita online.
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