Dunque una insurrezione?
Come un povero re Manolillo qualunque, il quale
venuto in uggia o in dispetto ai sudditi, è mandato a spasso, così, dai miei
lettori, in uno scoppio irrefrenabile di indegnazione… letteraria sono stato
detronizzato; peggio ancora; come fossi un Luigi XVI sono stato minacciato di impiccagione
o decapitazione, o dileggiato da tutti i Simon che formano i tre quinti dei
lettori d’appendice.
L’indegnazione è stata suscitata dallo
scioglimento inaspettato e impreveduto del Paggio della Regina Bianca;
scioglimento che non è andato a verso dei lettori, che si aspettavano,
probabilmente, qualche terzetto melodrammatico fra i personaggi principali.
Il direttore mi ha dato un
fascio di lettere, provenienti da parecchi paesi della Sicilia; alcune delle
quali manifestano la loro indegnazione con forme grammaticali che rivelano la
profonda cultura dei loro autori; altre si esprimono con forme di galateo che
indicano negli scrittori direi quasi una specie di analfabetismo del galateo.
Ora queste in special modo, le impertinenti cioè, firmate o no o con dozzine di
nomi, lungi dal provocare in me una reazione di sdegno, mi procurano un momento
di irrefrenabile ilarità, e accrescono il mio appetito. E la vita è così poco
gioconda, ed ho tante e tante malinconie d’intorno, che io son grato a queste
brave persone del momento di allegria che offrono al mio spirito.
Chi vi dice che William Galt non abbia avuto
ragioni per troncare repentinamente il romanzo; o meglio per condensare gli
ultimi capitoli in uno, e sbrigarsi. Mettiamone una: per esempio, non si
sentiva più la voglia di scrivere. Quando qualcuno degli scrittori delle
lettere non ha più voglia di giocare a primiera o allo scopone nel patrio
circolo, può forse esser costretto a giocar suo malgrado? E quando egli ha
pieno lo stomaco, ha forse più la voglia di mangiare un altro piatto di
maccheroni? E quando è stanco da lungo e disastroso cammino, e non si sente più
le gambe di andare innanzi, non si mette forse a sedere anche per terra? Questo
potrebbe essere uno dei casi miei, cari lettori. Come ogni semplice mortale,
per quanto William Galt, io avrei potuto essere stanco; e non ci sarebbe nulla
di strano. Alla fine ho pubblicato uno dopo l’altro quattro romanzi, che
formerebbero, se stampati, cinque grossi volumi di quattrocento pagine per uno,
che non è poco; e per quanto romanzi d’appendice, a fondo avventuroso, a grandi
tinte, d’effetto, pure c’è in essi una parte, che, forse sfugge alla parte più
grossa dei lettori, certo è sfuggita ai venti o trenta scrittori delle lettere,
ma coloro che se ne intendono sanno che costa qualche fatica: ed è la
ricostruzione storica dell’ambiente e lo studio del costume. Sapessero le cure
scrupolose che metto soltanto per la esattezza topografica!...
Ora tutto ciò costa un grande lavorìo del
cervello, e se i lettori pensano che con altri pseudonimi e col nome che mi
danno i registri dello Stato Civile, ho in quest’anno scritto e pubblicato
altri lavori di importanza maggiore che non siano i romanzi d’appendice; e se
riflettono per poco che mentre contemporaneamente ho lavorato intorno a queste
tre o quattro opere diverse di contenuto, di forma, di finalità, di intenzione,
ho pure ogni giorno scritto e mandato invariabilmente le cartelle per l’appendice
della giornata, gli scrittori delle lettere dovrebbero maravigliarsi che non ho
pensato a mandare, più presto a quel paese, il Paggio e i suoi compagni.
Ma, lasciando da parte questa ragione
fisiologica, che potrebbe avere il suo peso, e altre ragioni mie che è inutile
dire, o che cosa volevano dunque i lettori? Durante la pubblicazione del
romanzo c’era chi mi scriveva di farlo finire a un modo, e chi di farlo finire
a un altro: chi la voleva cruda e chi la voleva cotta: v’erano i partigiani di Tarsia, di Iana, di Giovannello e di
Simone: v’era chi voleva a ogni costo
che la regina Bianca diventasse l’amante
di Giovannello, mentre essa fu
onestissima; chi voleva che Giovannello
ridiventasse conte di Modica, mentre quest’ultimo rampollo dei Chiaramonte morì
senza lasciar nessuna traccia di sé, come una nube che dilegua al sole… Insomma
cento pareri, cento desideri, che ad appagarli, se avessi dovuto
preoccuparmene, avrei dovuto scrivere cento Paggi
paralleli.
Fortunatamente io avevo la mia idea.
L’autore, anche se scrive giorno per giorno la
puntata da pubblicare, ha già nel cervello la trama, e sa dove ha da arrivare. Il
Paggio non poteva e non doveva avere altro scioglimento che quello che ebbe. Prosaico?
Ma… Affrettato? Può essere e l’ho detto. Al pubblico non è piaciuto? Mi rincresce,
ma non ho proprio che farci. Fischia? Si accomodi, non gli do torto, ma non
riconosco d’averne io. Scrive male parole? Mi diverto io, dopo aver divertito
lui con quattro romanzi… e mi apparecchio a divertirlo col quinto.
Col quale – direbbe l’oramai celebre Oronzio E.
Marginati – gli stringo la mano, e a rivederci… col Vespro.
William Galt.
Luigi Natoli: Il paggio della regina Bianca. Ricostruito nella versione originale pubblicata dalla casa editrice La Gutemberg.
Pagine 702 - Prezzo di copertina € 23,00
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