Non erano i Chiaramonte
così ricchi quanto i Ventimiglia, nè così addentro nelle grazie del re; ma
vantavano più alte e più antiche origini. Si dicevano discendenti da Carlo
Magno; e la tradizione di questa discendenza, anni più tardi, il più possente
della casa, avrebbe fatto dipingere sul soffitto del grande salone dello Steri.
Avevano una fanciulla in
casa, Costanza, figlia di Manfredi I, orfana di recente, che il fratel suo
Giovanni avrebbe voluto accasare col conte Francesco. L’unione di queste due
famiglie significava avere il dominio del regno. Giovanni era più giovane di
messer Francesco, ma più ambizioso. Aveva anche lui sostenuto incarichi del re
presso la corte imperiale; aveva combattuto con valore contro gli angioini,
mirava forse a più alti uffici, ai quali certamente il parentando coi
Ventimiglia avrebbe dischiuse o agevolato la via.
Che il conte avesse già
una corona di figli illegittimi e un’amante, non era cosa che potesse impedire
un matrimonio. Chi non aveva allora figli naturali? Sopra di essi non pesava la
vergogna che nei secoli posteriori segnò la loro nascita: i padri ottenevan per
loro signoria e uffici; e non mancavano nobili case che avevano per capostipite
un bastardo. Re Tancredi non ebbe forse sangue illegittimo? E messer Orlando d’
Aragona non era un bastardo del re Federigo?
Messer Francesco poteva
ben tenersi attorno i figli, e forse anche l’amante; ma doveva per obbligo al
suo nome, ai suoi maggiori, prender moglie una gran dama.
Gli furon posti intorno
amici, congiunti, servitori, per suggerire, insinuargli nell’animo questa
necessità. Il vecchio servitore ebbe promessa di ricco dono, se giungeva a
persuadere il suo padrone. Messer Francesco non se
ne dava per inteso. Quando, qualche volta, il suo pensiero si fermava sui
suggerimenti del servitore, bastava uno sguardo tenero e profondo di donna
Margherita, per spazzar via, come un colpo di vento, quelle idee lievi e malferme
come foglie ingiallite.
Nella Pasqua del 1322,
in un torneo tenutosi nelle feste per la coronazione dell’infante Pietro, che
re Federico si associava al trono, messer Francesco Ventimiglia vide a un
palco, fra altre dame, la fanciulla dei Chiaramonte, Costanza.
Era così bella, così
gentile, così affascinante, che messer Francesco non potè non ammirarla.
Certamente ella sarebbe stata una degna contessa di Geraci. Avrebbe recato non
soltanto la beltà e la ricchezza, ma anche lo splendore di un nome, che in quei
giorni sopravanzava su tutti. Il suo orgoglio si destò: l’idea di quelle nozze,
che da prima aveva scacciato come assurda, cominciò a sembrargli conveniente e
possibile. Ci pensò sopra.
Batti oggi, batti
domani, la vinse. Messer Francesco domandò la mano di madonna Costanza, e
giammai nozze suscitarono tanto consenso e tante invidie, quanto quelle, che
salirono alla importanza di un avvenimento storico. Esse furono celebrate nel
maggio di quell’anno con pompa regale.
Madonna Margherita non si oppose,
non si dolse, non si adirò. Quando il conte un po’ impacciato le annunziò la
necessità di quelle nozze, chinò il capo rassegnata, il conte non vide il lampo
che quei begli occhi sfolgorarono prima di chinarsi, né le lagrime che
luccicavano tra le palpebre. Vide quella sommissione inaspettata, quella
mansuetudine silenziosa, e se ne commosse.
Quando messer Francesco
verso sera, se ne fu andato, Madonna Margherita si gittò sul letto piangendo
disperatamente di dolore, di collera, di gelosia. I sogni che aveva vagheggiato
per sé e pei figli svanivano. Ella non sarebbe mai stata altro che la ganza del
nobile conte, e i suoi figli, bastardi. Altri avrebbe raccolto l’eredità che
ella aveva sperato pel suo Franceschello; quella Madonna Costanza avrebbe con
le sue carezze obbligato il conte a scacciare la povera amante. Tradita,
abbandonata, forse miserabile, che sarebbe stato di lei? Che dei figli?...
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