"I nostri romanzi sono una lettura eletta ed altamente appassionante, essi sono opera del grande WILLIAM GALT"
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- La produzione letteraria di Luigi Natoli edita I Buoni Cugini editori
- Calvello il bastardo. Grande romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento
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giovedì 19 dicembre 2024
Luigi Natoli: Un presepe alla vigilia della rivoluzione del 1848... Tratto da Chi l'uccise? Romanzo storico siciliano
Luigi Natoli: Qualche giorno prima di Natale il tempo s'era rasserenato, e un bel sole splendeva nell'azzurro cielo... Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano
L’inverno di quell’anno si annunciava triste e minaccioso; cattivi raccolti, scarse importazioni, commerci ristagnati, miseria e desolazione dovunque. Dalle provincie accorreva alla capitale una folla di uomini e donne, di vecchi e di fanciulli, attirati dal miraggio di una ricchezza che alle loro menti pareva disposta perchè tutti vi attingessero; e dalla fama dei provvedimenti ai quali il Senato ricorreva, con una facilità che poteva creare l’illusione di uno stato finanziario floridissimo, e che invece trascinava l’amministrazione municipale al fallimento.
mercoledì 18 dicembre 2024
Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII. Racconto storico, il primo scritto dall'autore a quattordici anni.
Come son diventato scrittore? veramente io dovevo darmi alla pittura, e la studiai qualche anno, a riprese, quando ero un ragazzetto di dieci a dodici anni.
A farmi mutare strumento concorse il mio professore di seconda ginnasiale, padre Vincenzo Ramirez, che una volta in pubblica classe, mi disse: “Spero di vivere tanto da leggere le cose vostre stampate”. Buona e cara memoria di maestro, che troppo fidò!... Dio gli perdoni di aver fatto di me uno scribacchiatore.
Nella vita letteraria entrai per tempo: a quattordici anni scrissi un romanzo; che sei anni dopo mia madre (quali illusioni non crea l’amore materno?) volle farmi stampare; e – quando si dice la predestinazione! – era un romanzo storico siciliano! E fu stampato giusto nel 1877.
Luigi Natoli: Costumanze natalizie. Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie.
Quando per la prima volta si sente il suono della ciaramella, un sentimento di gioia sorride in tutti i cuori: essa è l’annunciatrice del Natale.
I ragazzi costruiscono il presepe, o lo acquistano bello e fatto. È una piccola scena, che di solito rappresenta una montagna, nella quale si aprono due grotte. Per le rocce si usa il sughero che è scabroso e le imita bene; qua e là ci si mettono casette, torri, fichidindia di argilla dipinta, capanne. E poi vi si dispongono i pastori, che così si chiamano tutti i personaggi: in una grotta mettono Maria, Giuseppe, il Bambino, l’asino e il bue; e dinanzi alla bocca della grotta il suonatore di ciaramella, il pifferaio, i pastori che offrono doni. Altri pastori e pastorelle si spargono per le rocce: quale con un fascio di legna, quale dormente, o spaventato dalla luce, o spingendosi innanzi un asinello carico di cavolfiori: altri pastori dentro la seconda grotta attendono a far caci e ricotte.
La notte di Natale si accendono lampadine che illuminano la scena; ed è una festa pei ragazzi. E se si può, si fa venire il ciaramellaro a suonare la pastorale e a cantare:
E così si aspetta il domani, che è la festa grande, e in tutte le case c’è pace e gioia, come se vi fosse sceso Gesù Bambino a benedire con le sue manine gli uomini di buona volontà.
Pagine 210, ill.
Prezzo di copertina € 19,00
La copertina di Niccolò Pizzorno riproduce quella dell'epoca.
martedì 3 dicembre 2024
Luigi Natoli: Non parricidio quello del 4 dicembre 1563, ma uxoricidio, come sospettò il Pitrè... Tratto da: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue.
Luigi Natoli: Ella sentì lo stridore della lama e un brivido gelato le corse per le vene... Tratto da: La Baronessa di Carini e altri racconti con fatti di sangue
Guardò giù nel piano; un gruppo di cavalieri che ella non distingueva ancor bene, saliva già la collina; uno di essi andava innanzi, incitava il cavallo, come per infondergli lena; il cavallo incurvava la nobile testa sul petto fumante, ed allungava il passo su lo scosceso sentiero che serpeggiava fra le rupi.
Donna Caterina guardava con sospettosa curiosità; chi potevano essere quei cavalieri? E quale urgenza li pungeva? E che venivano a cercare nel castello? Quando furono più vicini, il cavaliere che andava innanzi levò la testa in su. Donna Caterina trasalì; un fremito ghiacciato serpeggiò per le vene; le gambe le tremarono; stette come inchiodata dal terrore nel balcone.
Aveva riconosciuto suo padre...
I cavalli erano arrivati su la spianata; il signor barone, veduta la figliuola, aveva cacciato gli sproni nei fianchi del cavallo, levando il pugno minaccioso verso di lei. ella vide i cinque cavalieri svoltare l’angolo, e poco dopo sentì risonare i ferri sul selciato della corte. Allora fece uno sforzo, entrò nella sala, e si appoggiò alla spalliera di un seggiolone: in quel momento la porta si aprì con fracasso; il barone don Vincenzo, seguito da un bravaccio, balzò nella sala come l’avvoltoio su la colomba.
Si fermò innanzi alla figliuola, incrociando fieramente le braccia sul petto, e guardandola quasi per scoprire sul suo volto le tracce degli ultimi baci peccaminosi.
Ella tremava, pallida, atterrita, non osando levare gli occhi su quelli del padre, sul cui aspetto aveva letto chiaramente la sua condanna.
Stettero un minuto così, in silenzio, l’uno di faccia all’altra; il bravo, bieco e triste, se ne stava aspettando, su la soglia dell’uscio. Donna Caterina si sentiva venir meno; perché la sala non sprofondava, inghiottendola? Perché non moriva ella in quel punto, per sottrarsi alla vergogna, alla collera, al castigo?
Ah, ella lo sapeva bene, lo sentiva dentro di sé, perché era venuto il padre, ma furono quelle le parole che le vennero su le labbra, ed ella le disse forse per nascondersi la spaventevole risposta che le agghiacciava l’anima. E ripetè, senza sapere quello che si dicesse, fuori di sé:
- Perché siete venuto, signor padre?
- Sono venuto per ammazzarvi! – rispose il barone cupamente, e sguainò la spada.
Ella sentì lo stridore della lama uscente dalla guaina e un brivido gelato le corse per le vene: si buttò in ginocchio, giungendo le mani con una espressione disperata di preghiera e di dolore. Una rapida visione le passò innanzi agli occhi, la visione del peccato; morire senza un ultimo conforto, senza il conforto di Dio? Si risovvenne delle parole di frate Arcangelo, del tempo trascorso senza pregare, della chiesa fatta per lei un ritrovo d’amore, dello scandalo seminato, dell’infamia che pesava sopra di lei, della dannazione dell’anima... Una spaventevole visione infernale! Voleva farla morir così? Voleva dannarla a una disperazione eterna? Senza fine? Senza tempo?
- Signor padre!... – supplicò – signor padre, lasciatemi dunque confessare.
- Confessarti? – stridette con un sogghigno feroce il barone – confessarti?... domandi un confessore? E per quanti mesi non hai avuto bisogno di confessarti? Di’!
Le si accostò, sollevandole ruvidamente la testa e piantandole gli occhi negli occhi.
- Dillo! Quanti mesi sono che trascini il mio nome nel fango? Che ti abbandoni negli abbracci impuri di un mio nemico? Che insozzi la casa mia, che non conosce infamia?
Ella si coperse il volto con le mani:
- Oh abbiate pietà di me, abbiate pietà... Esterrefatta, disperata, non sapendo a qual partito appigliarsi, donna Caterina balzò in piedi, fuggendo verso le stanze. Il signor don Vincenzo le si slanciò dietro, bestemmiando, ella fuggiva verso la sua cameretta...