giovedì 28 novembre 2024

Luigi Natoli: Ed intanto la peste infieriva, per una siccità aggiuntasi ad altri mali... Tratto da: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII

Correva allora il febbraro 1647 ed in Palermo scorgevasi una calca, un’affluenza insolita. Le granaglie venivano meno anche in questa città, ma non osando il comune far ciò che aveva fatto quello di Messina, soffriva una perdita di cento scudi al giorno. 
E non ciò solo: numerose turbe venivano dall’interno dell’isola, dove il pane o non si vedeva, o si comprava caro, per abitare dove il pane si dava a buon mercato. Intere famiglie, lacere, smunte, trascinandosi dietro vecchi e ragazzi, erravano di notte, nell’imperversare dell’inverno, per le piazze e per le vie, senza asilo, languenti pel digiuno, rendendo funesta la città con quell’apparato di miseria. Si confidava nel futuro ricolto, ma le pioggie incessanti, infracidirono il grano nei solchi, e fu necessario seminarlo nuovamente. Ciò naturalmente diminuiva i viveri, mentre le turbe sopravvenute aumentavano il consumo. 
L’ammasso di queste turbe, per così dire, stivate nella capitale, le morti che per la fame si succedevano con frequenza, aggiunsero, solita compagna della carestia, una fiera pestilenza; la quale si estese tanto, quanto maggiore era il numero degli abitanti, e s’ebbe nuovamente a vedere lo spettacolo orrendo di gente affamata, presa dalla peste, morire sul lastrico priva di aiuto. 
Ad ogni passo porte chiuse, e sulla soglia stesi cadaveri puzzolenti, o ammalati, che poco aveano di vita, e dovevano contemplare quello sconcio spettacolo; qua e là uomini e donne difformati dalla fame o dal contagio contorcersi tra gli spasimi dell’agonia senza un gramo di assistenza; altri vagavano in mezzo a tanto orrore, con una cera di spavento; e bambini stecchiti, macilenti spremere invano le smunte mammelle, in cerca di latte, ed agonizzare sulle braccia delle madri; ed i genitori con occhi stralunati cercare un pezzo di cuoio, un osso spolpato, schifosi animali, da porgere ai figli; altri con le unghia raschiare rabbiosamente l’erba che cresceva nelle muraglie, e rosicchiarla avidamente, e contenderla con altri ammalati, che l’avrebbero voluta per sollevare le perdute forze. Né il governo, né i ricchi pensarono di rimediare in alcun modo; essi col più perverso egoismo pensavano a loro, cui la fame nulla, il contagio pochissimo danno facea. 
Solo schifosi monatti percorrevano le strade su carri carichi di morti, gettativi come legna, e bestemmiavano e trincavano, facendo un contrasto di orrore con i gemiti dei moribondi. Pochissimi, e del popolo mezzano, in quel frangente, soccorsero quanto meglio poterono, la misera plebe, e tra questi la famiglia Velasquez; e Giulio, da essa nascosto, non ebbe paura di mostrarsi pubblicamente per aiutare chi soffriva. Ci fu chi, vistolo, fece la spia, ma non parendo prudente farlo arrestare in quel punto, si aspettò che passasse il flagello, tenendolo sempre d’occhio. 

Ed intanto la peste infieriva, e moltiplicandosi le vittime, per una siccità aggiuntasi agli altri mali, divenuto strabocchevole il numero, si dovette convertire, per cura di gente pietosa, qualche chiesa in ospedale; e del clero specialmente i Crociferi, molti si mossero allora per assistere chi di peste e chi di fame languiva. 
Ma non bastando i rimedii umani, si corse ai soprannaturali, e, contro il parere di pochi, fra cui Padre Giovanni, che in quella pestilenza parve agli afflitti l’angelo consolatore, si trasse dal duomo, dove esisteva, una antica effigie del Crocifisso, creduta opera dell’Apostolo Nicodemo, e con grande processione si portò nella Chiesa di S. Giuseppe, di poco edificata, e vi si espose. Per più giorni di seguito fu un affluire di genti al tempio, processione di fedeli d’ogni sesso ed età, vestiti di sacco, sparsi di cenere, flagellandosi in pubblico; tralasciato ogni lavoro, ove non fosse rivolto all’estinzione del contagio, e da per tutto preghiere e processioni e penitenze, che colpivano ed esaltavano le menti commosse.
Finalmente il male cominciò a estinguersi, la pioggia invocata venne; il miracolo parve fatto, e fu una festa da non si poter narrare...


Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII.
Racconto storico. 
L'opera è la fedele trascrizione del racconto originale pubblicato a Palermo nel 1877 dallo Stabilimento Tipografico diretto da P. Pensante. La prima opera dell'autore, incontrata per un fortunato caso.
Pagine 114 - Prezzo di copertina € 15,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=giulio%2520federici
Su tutti gli store di vendita online. 
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se Villabianca 102). 

mercoledì 27 novembre 2024

Luigi Natoli: Era l'ottobre del 1646... Tratto da: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII. Racconto storico.

 
Se sdraiato sotto la tenda di una barchetta, movete dal capo Zafferano a mezzogiorno, vi si para innanzi una veduta incantevole, che anco vostro malgrado, siete nella necessità di ammirare. Figuratevi un cielo di un azzurro caldo, trasparente e quasi sempre limpido, un mare ancor più azzurro, increspato lievemente sulla sua superficie, che par sorrida, ed orlato alla riva di abbagliante spuma. A sinistra le montagne di capo Zafferano, correndo a vallate sino al monte Grifone, dal quale si parte una catena non interrotta di monti, che, segnando un arco in una valle aperta, va a finire col monte Pellegrino, a destra. Negli spazii lasciati dalle valli si scorgono altre catene, e poi delle altre, che si perdono con l’azzurro del cielo. Nella valle, in riva al mare, in mezzo a verzura ed a fiori sempre vivi, sorge Palermo; bella, altera, coraggiosa, specchiandosi nelle limpide acque del golfo per mirarvi le sue superbe bellezze, come voluttuosa odalisca del Bosforo nelle acque del bagno. Allora voi sarete costretto a sorridere, e a mandare un saluto alla storica città.
L’autunno in Sicilia di giorno è quasi sempre sereno, di notte spesso rinfresca la terra delle sue piogge; quasichè il sole, pria di seppellirsi nelle nebbie invernali, voglia risplendere per l’ultima volta, ad onta del verno che si avvicina, e conceda a questo la sola notte. 
Noi siamo in un’epoca remota nel nostro racconto, e fa d’uopo che i miei dieci lettori mi ci accompagnino, se avranno tanta pazienza: ad ogni modo, ancorchè voi mi lasciaste, io continuerò la mia storia sino alla fine. 
Era l’ottobre del 1646, il sole sprazzava tra certi nugoloni a strisce orlate di fuoco i suoi ultimi raggi, i quali tingevano di una luce vermiglia le cupole ed i più alti edificii della città; spirava un venticello leggero, il quale, a misura che il sole cadeva, ringagliardiva, e spingeva le nubi, che s’imbrunivano, e davano al mare una tinta fosca. Alla malinconia della natura moribonda s’univa in quel tempo lo spettacolo, più che affligente, della miseria, in cui versava Palermo, anzi tutta la Sicilia. 
Che si potea vedere in una città, dove la tirannide più spietata era coperta dal velo dell’ipocrisia? Ove il governo non avea altra cura dei sudditi, che smunger loro danaro anche dal sangue? e quando noi diremo dei sudditi, non sono da intendercisi i nobili e il clero, chè anzi la tirannia veniva principalmente da essi; ma il solo popolo minuto, come dicevasi, la sola plebe, che si cercava di avvilire con l’ignoranza e la superstizione, per renderla soggetta ciecamente alla nobiltà e al Clero. I quali non erano più quelli dei tempi normanni, difensori del proprio diritto, oppositori agli atti dei re; ma erano servi dei potenti di Spagna, per potere spadroneggiare a loro bell’agio sui vassalli e sulla plebaglia, sul rifiuto del mondo. 
Trasportatevi con l’immaginazione nella Palermo degli Spagnuoli; camminate per quelle strade squallide, silenziose, dove di quando in quando non incontrate altro che accattoni cenciosi da muovervi a schifo, o cadaveri di gente affamata, che vi faranno abbrividire. Le porte delle case chiuse, le botteghe deserte e molte di esse segnate con una croce; chi sa quante vittime furono colà mietute dalla peste! Mettete a canto ciò i nobili adulatori, pieni di gemme e d’oro, che con un solo bottone del giustacuore potrebbero sfamare centinaia di infelici, e che invece dànno feste, dànno divertimenti, nei quali il popolo non fruisce che della sola vista delle magnificenze proprie dei tempi spagnuoli. Eppure se qualcuno osava di alzar la voce e reclamare i diritti del popolo, non i tiranni, ma la stessa nobiltà gli scagliava addosso l’orde degli sgherri del Sant’Offizio, o gli alguazili, o i micheletti, sprezzatori dell’odio che animava il volto di coloro; che, forse, avrebbero fatto ritornare i tempi del 1282. Ecco qual era il governo di Spagna in Sicilia, governo che le lapidi del tempo chiamano felice!...
A poco a poco le nubi s’erano distese sul cielo, e l’aere s’era fatta buia. Un uomo erasi fermato silenziosamente nel vasto piano che è d’innanzi al Palazzo reale, al quale di tratto in tratto volgeva lo sguardo con un lampo indefinibile d’odio...


Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII.
Racconto storico. 
L'opera è la fedele trascrizione del racconto originale pubblicato a Palermo nel 1877 dallo Stabilimento Tipografico diretto da P. Pensante. La prima opera dell'autore, incontrata per un fortunato caso.
Pagine 114 - Prezzo di copertina € 15,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=giulio%2520federici
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La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), La Nuova Bancarella (Via Cavour), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Macaione (Via M.se Villabianca 102). 

martedì 26 novembre 2024

Luigi Natoli: Due parole di prefazione. Tratto da: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII

Prefazione dell'autore:

Chi legge s’aspetterà forse una delle solite prefazioni, fatte per disporre il lettore al compatimento, e che invece ottengono effetto contrario. Io sono nemico accanito delle prefazioni, e se fo questa, è per dirvi, che quello che vi presento è il mio primo lavoro, che non lo ho scritto nei momenti d’ozio per cacciare la noia, e che lo pubblico senza incoraggiamento degli amici. Frasi usate in cento e cento prefazioni, foggiate con lo stesso conio; le quali, con la loro affettata disinvoltura, tentano di velare l’orgoglio letterario di chi scrive. Sta in due; o si ha la ferma convinzione che il lavoro non va, ed allora perché pubblicarlo? O il lavoro va, se non a due piedi, con tre, ed allora perché invocare il compatimento del pubblico? Per allontanare la critica? State fresco: allora tenetevi a casa; del resto la critica si fa alle grandi opere; i nostri romanzucci i critici nemmeno li guardano.
Io non credo il pubblico sì gonzo da bersi quelle triviali proteste, e dico la verità, che, spero, i miei lettori accetteranno.

Scrissi questa tiritera cinque anni fa, quando contavo poco più di quattordici anni. Potete figurarvi quanto fosse meschina. In questi cinque anni l’ho corretta tre volte, aggiustata, accresciuta, ordinata, ed ora mi azzardo a metterla in istampa. A dire il vero, questo povero libro vien fuori timido e vergognoso come una sposa la dimane delle nozze; non sapendo che viso farà il pubblico, in tempi, che i romanzi crescono come funghi; eh via! uno più, uno meno, non fa gran caso.
Ed ora al perché ho scritto e pubblicato questo racconto. Quando lo scrissi, non mi passava pel capo né lo scopo per cui dovea scrivere, né l’ombra della ruota del torchio; lo scrissi per scrivere, come ai nostri giorni si mangia pel piacere di mangiare, ecco tutto. Ma quando lo correggevo, già ero più grande, tanto e tanto si diceva di questa povera isola, non solo del presente, ma anco del passato, che tentai di dare un colorito politico al racconto; ma non so se ci sia riuscito. Venne in fine il ticchio della pubblicazione, fatto nascere da tante storie che si pubblicano meravigliosamente, e lo pubblico (e qui ve lo dico all’orecchio) per farmi un posticino in questa grande società.
Ad ogni modo se il lettore, nel leggermi proverà qualche diletto, avrò toccato il cielo col dito, perché, spero, me ne vorrà un po’ di bene.

Maggio 1877 – L. M. Natoli


Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII.
Racconto storico. 
L'opera è la fedele trascrizione del racconto originale pubblicato a Palermo nel 1877 dallo Stabilimento Tipografico diretto da P. Pensante. La prima opera dell'autore, incontrata per un fortunato caso.
Pagine 114 - Prezzo di copertina € 15,00
Copertina di Niccolò Pizzorno. 
Il volume è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (sconto 15% - consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
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domenica 17 novembre 2024

Luigi Natoli: Giulio Federici. Un episodio di Palermo nel secolo XVII. Racconto storico.

Isbn: 979-12-5547-038-0
Pagine 116 - Prezzo di copertina € 15,00
Copertina di Niccolò Pizzorno
 
Come son diventato scrittore? veramente io dovevo darmi alla pittura, e la studiai qualche anno, a riprese, quando ero un ragazzetto di dieci a dodici anni. 
A farmi mutare strumento concorse il mio professore di seconda ginnasiale, padre Vincenzo Ramirez, che una volta in pubblica classe, mi disse: “Spero di vivere tanto da leggere le cose vostre stampate”. Buona e cara memoria di maestro, che troppo fidò!... Dio gli perdoni di aver fatto di me uno scribacchiatore. 
Nella vita letteraria entrai per tempo: a quattordici anni scrissi un romanzo; che sei anni dopo mia madre (quali illusioni non crea l’amore materno?) volle farmi stampare; e – quando si dice la predestinazione! – era un romanzo storico siciliano! E fu stampato giusto nel 1877. 
 
A dire il vero, questo povero libro vien fuori timido e vergognoso come una sposa la dimane delle nozze; non sapendo che viso farà il pubblico, in tempi, che i romanzi crescono come funghi; eh via! uno più, uno meno, non fa gran caso. Ad ogni modo se il lettore, nel leggermi proverà qualche diletto, avrò toccato il cielo col dito, perché, spero, me ne vorrà un po’ di bene. 
 
Luigi Natoli

Ed oggi, con orgoglio ed emozione, I Buoni Cugini editori ripropongono ai lettori il primo lavoro dello scrittore e storiografo Luigi Natoli, quel racconto storico pubblicato unicamente nel 1877 dallo stabilimento tipografico diretto da P. Pensante che vide la luce grazie all'amore materno e che dopo 147 anni è disponibile in libreria e su tutti gli store online. 
Ambientato nella Palermo del 1647, il racconto che rivela in modo embrionale ciò che sarà il grande romanziere, si muove tra la crudeltà del Sant'Offizio e la rivoluzione di Giuseppe D'Alesi, cui il quattordicenne Luigi Natoli dedica un'ode. 
E le nostre ricerche continuano... 

I Buoni Cugini editori
Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra 

lunedì 4 novembre 2024

Luigi Natoli: 4 novembre e il Bollettino della Vittoria. Tratto da: Almanacco del fanciullo siciliano.

È festa, grande festa nazionale. Il 4 novembre 1918 l’esercito austriaco, sconfitto nella grande battaglia di Vittorio Veneto, volse in fuga; e il suo comando supremo dovette domandare un armistizio.
Ma già il tricolore sventolava a Trieste e a Trento, sospiro di ogni cuore italiano.
Per questa vittoria l’Italia ora è tutta quanta libera da ogni soggezione: la catena delle Alpi è tutta nostra; e nessuno straniero può più valicarla e accamparsi nelle nostre terre.
Quanti sacrifizi, però, quanto sangue è costata l’unità nazionale!
In alto il vessillo! E gridiamo gloria a coloro che ci diedero una patria unita, forte, grande.  

Il bollettino della Vittoria

Rileggi, ogni anno, il 4 novembre, il bollettino col quale il generale Diaz dava l’annunzio della vittoria. Ogni italiano deve tenerlo a mente: non per vanagloriarsi, ma per trarne ammaestramento, e adoperarsi ad accrescere grandezza alla patria con una vita virtuosa, degna di coloro che soffersero e morirono per farci liberi e grandi. 
Rileggi dunque:
“La guerra contro l’Austria-Ungheria, che sotto l’alta guida di S.M. il Re, Duce supremo, l’esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915, e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima, per quarantun mese, è vinta.
“La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre, ed alla quale prendevan parte cinquantun divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una czeco-slovacca, un reggimento americano, contro 73 divisioni austro-ungariche, è finita.
“La fulminea, arditissima avanzata del 29° Corpo d’Armata su Trento, sbarrando la via della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della 7a Armata e ad oriente da quelle della 1a, 6a e 4a, ha determinato ieri lo sfacelo totale del fronte avversario.
“Dal Brenta al Torre, l’irresistibile slancio della 12a dell’8a e della 10a Armata e delle Divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente.
“Nella pianura S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta 3a Armata, anelando di ritornare sulle posizioni che dessa aveva già vittoriosamente conquistato.
“L’esercito Austro-Ungarico è annientato. Esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni di lotta, e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiali di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi.
“Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri, con interi Stati Maggiori, e non meno di cinquemila cannoni.
“I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.
Diaz


Luigi Natoli: Almanacco del fanciullo siciliano. Libro sussidiario di cultura regionale e nozioni varie.
L'opera è la fedele trascrizione del libretto originale, pubblicato nel 1925 dalle Industrie Riunite Editoriali Siciliane. Corredato dalle immagini dell'epoca. 
Pagine 210 - Prezzo di copertina € 19,00
La copertina di Niccolò Pizzorno riproduce quella del libro originale. 
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=almanacco
Disponibile su Amazon Prime, Ibs, Feltrinelli, tutti gli store di vendita online e in libreria. 

Luigi Natoli: In occasione del 4 novembre, la commovente introduzione di "Ricordi di Clodomiro, mio figlio"

 
Serro nel profondo del cuore l’angoscia, respingo indietro le lagrime che fanno impeto agli occhi, per scrivere della mia creatura. 
Potrei commettere ad altri questo ufficio, ma non voglio; perché a nessun altro Egli rivelò l’anima sua, fuor che a me, che Egli amò devotamente e con orgoglio, che direi soverchio se si potesse dar misura all’amore suo filiale. Voglio scrivere io, il Suo babbo, non soltanto per dire il cuor che Egli ebbe, ma per isfogo del mio cordoglio; e perché parmi che il Suo spirito debba gioire di questa mia testimonianza di dolore e d’amore. 
Il frammento di bomba che nel piccolo cimitero di Staranzano scavò una fossa alla carne giovinetta, aperse una ferita insanabile nel cuor mio. Pure, in questa ferita, come in un sacrario, vive illuminata dalla luce purissima del voluto sacrificio l’immagine del mio Clodomiro; e più, contemplandola, si inacerba il rimpianto, più ella si ingrandisce agli occhi miei: perocchè dispogliata dalle materiali contingenze della vita, l’anima Sua mi si va sempre più rivelando diritta come una lama, tesa come un arco alla sua meta, austera nel concepimento del dovere, vigile e pronta al sacrificio, come quella di un confessore della fede. 
Nessuno sotto la gioconda irrequieta spensieratezza avrebbe supposto in Lui tanta gagliarda serietà di propositi e una fede così viva e operosa nei suoi ideali: chè questa fede Egli tenne dapprima chiusa nell’anima sua, col riserbo di un primo amore: né si rivelò, né si esplicò in azione, se non allo scoppio improvviso della guerra europea. Egli era a Parigi, quando gli eserciti tedeschi invasero il Belgio; e il grido della Francia non giunse invano al suo cuore. 
Pochi, forse, salutarono con gioia pari alla Sua l’alba del 24 maggio! Eppure in quel primo momento gli vietarono di partire pel fronte, perché i medici militari lo giudicarono inadatto alle fatiche di guerra: Lui che la guerra già conosceva! Egli fuggì: fuggì due volte; e così gli fu concesso di raggiungere il suo reggimento. Partì negli ultimi di maggio. Da allora stette sempre in prima linea; dovrei dire anzi sempre in trincea; che soltanto pochissimi giorni la sua compagnia andò in riposo. Modesto, sobrio, primo sempre ai pericoli, allegro, affettuoso, in tutta la lunga faticosa aspra avanzata per la conquista del Col di Lana, rese importanti servizi. Cento volte sfidò la morte: di giorno e di notte, sulla neve, sotto i reticolati austriaci, dovunque i suoi superiori Lo mandavano, sicuri dell’audacia, dell’abnegazione e dell’intelligenza del “Garibaldino” – come lo chiamavano. 
E non vantò mai l’opera sua; spesso lasciò ad altri il merito di Sue rapide e feconde iniziative. Inviato dal suo capitano, che lo amava, a iscriversi nel plotone allievi ufficiali, si rifiutò. Che importava un grado? Combattere bisognava; che anche da semplice soldato si poteva ben meritare dalla patria.
Non pensò mai a sé. Più di una volta, sfidando la morte, andò a raccogliere qualche compagno gravemente ferito, e se lo caricò sulle spalle, invano bersagliato dalle fucilate austriache. Gli shrapnels, le bombe, le palle austriache che Gli uccidevano i compagni al fianco, pareva rispettassero la sua balda giovinezza: Gli cadevano ai piedi senza esplodere, o Gli foravano il berretto senza colpirLo. Le valanghe precipitavano su la Sua capanna in vedetta avanzata, senza abbatterla; la neve Lo copriva durante il sonno su per la montagna, e Lo svegliava il domani ilare e svelto, fra compagni, ahimè, che non si svegliavano più!... S’era acquistata una fama di invulnerabilità, che Gli faceva sfidare la morte, sorridendo. Ma senza spavalderia. Non potei indurLo mai, nelle brevi licenze passate con me, a scrivere o a narrare episodi che Lo riguardassero: quelli che io conosco, Gli sfuggivano, quasi senza volerlo, dalla bocca, incidentalmente; e accennandovi, cercava di non lumeggiar troppo Se stesso; e qualche Suo bel tratto eroico o generoso cercava di ridurre, non tanto per modestia, quanto pel timore che potesse apparire una vanteria. 
Cedette alle insistenze dei superiori, e andò al corso degli allievi ufficiali, soltanto quando si persuase che da ufficiale poteva rendersi utile. Nominato aspirante nel maggio del 1916 fu destinato al 24° che fronteggiava il nemico tra i ghiacciai del Seekofel. Vi andò preceduto dalla fama di audace e volenteroso; e la riconfermò nell’eseguire incarichi, degnamente encomiati dal Comando della Brigata. Altri avrebbe forse fatto valere le lodi per averne ricompense o avanzamenti; Egli non se ne curò. Io non ne avevo notizia che tardi, e brevemente. Non già perché Egli fosse avaro di lettere: mi scriveva anzi frequentissimamente, quasi ogni giorno: talvolta la notte dopo un’avanzata o dopo una ricognizione; chè io era in cima dei Suoi affetti. Ma appunto per questo, Egli cercava di non destare in me preoccupazioni ed ansie. 
Dai Suoi superiori del 24° il mio Clodomiro fu presentato con lettere così elogiative, che dal colonnello del 225°, senza neppur provarLo, Gli fu assegnato il comando di una sezione autonoma, detta Bettica. E bastò meno di una settimana perché Egli confermasse quella fiducia, e Si acquistasse l’affetto e la stima dei superiori e dei compagni. E chi, conosciutoLo appena, non Lo amava? Chi non l’avrebbe amato?
Il 17 giugno, di mattina, condusse le reclute al poligono di tiro, per addestrarle al lancio delle bombe a mano. Erano bombe a miccia, del tipo detto Sipe. Si lanciano, accesa la miccia, a una distanza di venticinque o trenta metri: fra l’accensione e lo scoppio passan sette secondi; il loro raggio di azione si estende a venti metri. Bisogna lanciarle subito. Ma, imperizia e, più, paura tolgono a una recluta la padronanza di sé. Essa lascia cadere la bomba accesa di qua del parapetto, in mezzo ai soldati. Lo scoppio è imminente. Non v’è che un attimo. In quest’attimo è la vita o la morte di tutti. Fra il terrore degli altri, il mio Clodomiro serba lo spirito agile e sereno; vede la miccia fumante consumarsi, prevede la strage, sente che uno deve affrontare la morte per gli altri. Lui. E si slancia sulla bomba, la raccoglie, la scaglia oltre il paraschegge. Salvi? Gli altri sì! La bomba scoppia prima di cadere; una scheggia colpisce al cuore l’eroico Figlio. Una sola: e l’uccide!...
- Qui! Qui! – grida toccandosi il petto. Poi mormora: – Povero babbo! Povera mamma mia!
E le Sue labbra si chiusero per sempre sui nomi adorati: non rimpiansero in quel momento l’acerbezza del destino, la giovinezza spezzata, i sogni infranti: dolorarono del dolore altrui. L’ultimo Suo pensiero fu per lo schianto dell’anima nostra...
La morte che non aveva osato colpirLo nella tempesta dei combattimenti, quando l’ira par che abolisca ogni senso di umanità; che non Lo aveva colpito eroe della strage, con l’arme insanguinata nel pugno; volle spegnerLo in un gesto di carità sublime; volle che tanta bella e fiorente giovinezza fosse irradiata della luce purissima del sacrificio, consapevolmente, volontariamente affrontato, sofferto per la salvezza degli altri!...



Luigi Natoli: Ricordi di Clodomiro, mio figlio. 
L'opera è la fedele trascrizione del libretto originale, pubblicato dall'autore nel 1920 in memoria del figlio Clodomiro, morto eroicamente durante la prima guerra mondiale il 17 giugno 1917.
Pagine 74 - Prezzo di copertina € 10,00
Il libretto è disponibile:
Dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it 
https://www.ibuonicuginieditori.it/shop-online?ecmAdv=true&page=1&search=clodomiro
Su Amazon Prime, Ibs, Feltrinelli e tutti gli store di vendita online.
In libreria presso:
La Feltrinelli libri e musica (Via Cavour e punto vendita Centro Commerciale Conca d'Oro), Libreria La Vardera (Via N. Turrisi 15), La Nuova Ipsa (Piazza Leoni 60), Libreria Nike (Via M.se Ugo 56), Libreria Macaione (Via M.se di Villabianca 102).