lunedì 9 settembre 2024

Luigi Natoli: Egli guardava il vecchio romito, illuminato di profilo dalla lanterna... Tratto da: Coriolano della Floresta, seguito a I Beati Paoli.

Intorno era tutto silenzio; nel quale, a quando a quando, trasportato dal venticello, giungeva all’orecchio del giovane il canto dell’acqua, che scorreva contrastando coi sassi, in fondo al burrone; e poi qualche grido indefinito, che si perdeva nell’aria; e poi il canto di un gallo, cui rispondevan altri galli, più lontani, a intervalli pari; o l’improvviso latrato di un cane. Voci di una vita che pareva assai lontana da quella grotta misteriosa, debolmente illuminata dalla lanterna; e della quale egli non sapeva la profondità, nè vedeva l’ingresso, nè vedeva i confini.
Dal suo posto egli guardava il vecchio romito, che sedeva un po’ più in là, illuminato di profilo dalla lanterna; con tocchi violenti di luce, che rivelavano l’energia dei tratti non domata dagli anni. La sua fronte spaziosa, la linea del naso e degli zigomi avevano qualcosa di ieratico e di solenne.
Sebbene vecchio, conservava tutti i capelli, folti e lunghi, come non era usanza dei frati; segno che non apparteneva ad alcun ordine religioso, benché vestisse un saio come quello dei frati cappuccini. La barba gli dava un aspetto venerando.
Il giovane lo guardava con curiosità e con simpatia, e di tanto in tanto scoteva il capo, come per un rinnovarsi di stupore. Egli infatti trovava strano quell’incontro: e che in quell’ora, nella campagna deserta e solitaria, il romito andasse a torno; più strana ancora la familiarità che aveva con quella grotta, nella quale, come egli aveva potuto vedere, il romito aveva un armadio, bende e chi sa quante altre cose ancora.
Già quella grotta medesima era atta a suscitare la maraviglia. Per quanto la lanterna non giungesse a rischiararne che una parte, questa era sufficiente per dare un’idea della sua forma.
Non era una grotta naturale: in tempi remoti – almeno così giudicava il giovane – era stata scavata nel tufo, in forma circolare, con una volta. Erano però visibili, qua e là, vestigia di muratura, come se un intonaco, o una superficie diversa avesse una volta ricoperto le pareti. Il sedile era anch’esso di tufo; ma vi era stato collocato di proposito, e serbava le tracce di una sagomatura, corrosa oramai dall’umido e dall’antichità.
Che cosa era stata dunque? Una cripta? un sepolcreto? una dimora di uomini di tempi remoti? il misterioso ritrovo di genti barbare e feroci? una di quelle grotte leggendarie che la tradizione attribuiva ai saraceni?
I saraceni erano nella memoria del popolo di Sicilia un popolo vissuto in epoche che si perdevano nella notte di un passato senza limiti; e al quale si attribuivano edifici, grotte, piantagioni secolari, di cui il popolo non sapea determinare il principio o l’origine.
La leggenda narrava anche di tesori incantati, sotterrati in queste grotte misteriose, e custoditi da esseri straordinari; e ricordava le opere tentate per sbancare le trovature; per disincantare cioè queste immense ricchezze; e le disavventure o la morte orribile incontrata dagli incauti, o privi di coraggio sufficiente o mal destri.
Il giovane guardava e pensava.
Quel vecchio egli l’aveva già incontrato un’altra volta, due anni innanzi a Napoli, in un’occasione singolare, e, per un curioso incontro assai somigliante a questo che gli capitava adesso. Anche allora, in un momento pericoloso gli era apparso per sottrarlo a un pericolo. Era dunque un inviato dalla Provvidenza?
Quest’idea glielo faceva riguardare con un sentimento di rispetto e quasi di venerazione.
La notte trascorse così: verso l’alba il romito che non aveva più aperto bocca, si alzò, e disse:
- Comincia a imbiancare il cielo. Aspettami un po’: vado a chiamare dei bravi contadini.
Il giovane si meravigliò. Quella grotta dunque era accessibile anche agli estranei; e il mistero di cui l’aveva egli circondata, svaniva. Aspettò.
Una mezz’ora dopo due giovani robusti entrarono nella grotta, portando una piccola scala a piuoli nella quale erano distesi dei guanciali.
Pian pianino, prima le gambe, poi il busto, il giovane fu adagiato sui guanciali: i contadini sollevarono la scala dalle due estremità, e preceduti dal Romito, che faceva lume, uscirono dalla grotta.
E rivide le stelle, e respirò la fresca aria del mattino: la luna era tramontata; ma già si diffondeva pel cielo il chiarore dell’alba, e le cose intorno apparivano più distinte.
Il giovane ebbe la curiosità di vedere da che parte usciva, per segnalarla nella memoria. Era una specie di fenditura, ornata di cespugli, che vi si stendevano a guisa di cortinaggi.
Un po’ più in là un’apertura più vasta, lasciava vedere parte di un’altra grotta circolare come quella donde egli usciva.
Se il giovane avesse avuto un po’ di lettura, avrebbe forse intuito che quelli dovevano essere gli avanzi di antichi bagni romani o bizantini, di cui i dotti lasciarono ricordanza che sorgessero sulle sponde dell’Oreto, dalla parte su cui sorge la Torre dei Diavoli...




Luigi Natoli: Coriolano della Floresta, seguito a I Beati Paoli.
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1914.
Pagine 1387 (due volumi) Prezzo di copertina € 30,00
Copertine di Niccolò Pizzorno
Il volume è disponibile:
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