
Il don non si dava ai maestri, tanto
meno ai bottegai di grascia o di frutta, o a gente minuta. C’era tutta una
scala di prefissi per indicare la classe o la sottoclasse a cui apparteneva la
tale o tal’altra persona. I facchini di piazza, gli spazzaturai e simili non ne
avevano nessuno; e gli si dava del tu, senz’altro, i fruttivendoli, i
pizzicagnoli e in generale tutti i bottegai o venditori ambulanti di frutta,
ortaggi; i carbonai, i friggitori e simili avevano il prefisso zu’ che
significava zio, vocabolo di rispetto; per cui il popolino dava loro del “vossia”;
i cocchieri, specialmente se padronali, premettevano al nome, ordinariamente,
gnuri o su’, signore o sior; gli artigiani volevano, e ci tenevano, tanto di
“mastru”; ma i sarti, i cappellai, i mercanti, i piccoli scritturali, i
commessi degli uffici, gli algozini, tutta la gente che stava fra i mestieri, e
le professioni liberali, gli impiegati regi del Senato e della Tavola o
pubblico banco, i magistrati volevano il don come i “galantuomini”.
“Galantuomini” erano appunto gli avvocati, i medici, i magistrati, gli
impiegati, quelli che vivevano di rendita, il ceto medio, insomma che
rappresentava anche la cultura e che si teneva distinto dal popolo, e dalla
gente di bottega, fossero anche gioiellieri o mercanti; “gente di banco” o
“mezzacanna”.
Zu’ Rosario aveva una clientela di
“mezzi galantuomini” col don; era la sua aristocrazia; se non che questa
clientela, che portava il nicchio e i capelli lunghi raccolti e annodati dietro
la nuca con un nastro, e vestivano la “giamberga”, e avevano il diritto di portare
spada, come tanti cavalieri, era di una specie singolare, che si rivelava
subito alla inclinazione del nicchio sopra un orecchio, alla curva sprezzante
della bocca, alla guardatura che parea dicesse: – “ehm! badate a parlar bene,
con me non si scherza”; – dall’andatura con un dondolamento delle spalle come
per farsi largo. Compare Vanni non era né zu’ Vanni, né mastro Vanni, né don
Giovanni. Poteva essere un boaro, un campagnolo, o poteva più ordinariamente
non esercitare nessun mestiere. Ma sfoggiava anelli e catene e ciondoli e
fazzoletti di seta; portava in tasca il rosario e il coltello, e aveva il gesto
volitivo e lo sguardo imperioso. Si incontrava nei mercati e dovunque si
facessero traffichi, negli studi dei notari, nelle pubbliche vendite. Lo zu’
Rosario li conosceva uno per uno, li salutava con una certa confidenza
rispettosa, e faceva loro credito, senza litigare e senza insistere pel
pagamento.
Luigi Natoli: La vecchia dell'aceto. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del 1700. Parla di Giovanna Bonanno, l'avvelenatrice passata alla storia come "la vecchia dell'aceto".
Nella versione originale pubblicata a puntate in appendice al Giornale di Sicilia nel 1927.
Pagine 562 - Prezzo di copertina € 22,00
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